Discorso alla Civiltà cattolica (/3): incompletezza nel pensiero e immaginazione nel discernimento


papa professore

La seconda parte del discorso di papa Francesco al Collegio degli Scrittori della “Civiltà Cattolica” si occupa della seconda e della terza parola-chiave, dopo aver illustrato la prima – la inquietudine – che abbiamo presentato nel post precedente (cfr. qui)

1. La incompletezza: Dio è “sempre più grande”

Anche di questa seconda parola, “incompletezza”, l’attacco è fulminante:

Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. Per questo dovete essere scrittori e giornalisti dal pensiero incompleto, cioè aperto e non chiuso e rigido. La vostra fede apra il vostro pensiero. 

La incompletezza del pensiero della fede significa apertura e disponibilità alla libertà dello Spirito di Dio, che contrasta con ogni chiusura e rigidità. Questo tratto qualificante del contributo intellettuale dei cristiani e dei cattolici assume un tratto decisivo nelle parole seguenti:

Fatevi guidare dallo spirito profetico del Vangelo per avere una visione originale, vitale, dinamica, non ovvia.

La profezia non sopporta ciò che è scontato, statico, convenzionale. Richiede piuttosto una “visione originale” che diventa vitale e dinamica. Tanto maggiore urgenza ha questa funzione intellettuale in un mondo descritto con i tratti della “cultura del naufragio” e della “cultura del cassonetto”, ossia di una cultura priva di mediazioni, che passa dal relativismo alla rigidità con assoluta disinvoltura. Di fronte a questa sfida contemporanea

Solo un pensiero davvero aperto può affrontare la crisi e la comprensione di dove sta andando il mondo, di come si affrontano le crisi più complesse e urgenti, la geopolitica, le sfide dell’economia e la grave crisi umanitaria legata al dramma delle migrazioni, che è il vero nodo politico globale dei nostri giorni.

Accanto alla parola “incompletezza” Francesco cita, come patrono, il P. Matteo Ricci, di cui ricorda la composizione di un “mappamondo cinese”, in cui apparivano anche terre lontane, e anche Roma, dove stava il papa. Sulla base di questa immagine si guarda al compito della riflessione cattolica del futuro con queste belle parole, rivolte al Collegio degli Scrittori:

Ecco, con i vostri articoli anche voi siete chiamati a comporre un “mappamondo”: mostrate le scoperte recenti, date un nome ai luoghi, fate conoscere qual è il significato della “civiltà” cattolica, ma pure fate conoscere ai cattolici che Dio è al lavoro anche fuori dai confini della Chiesa, in ogni vera “civiltà”, col soffio dello Spirito.

E’ evidente che il mappamondo cui siamo chiamati oggi, quando riflettiamo da cattolici sul nostro tempo, risponde profeticamente ad una duplice funzione. Da un lato mostra le scoperte, “dà nome” ai luoghi e illustra le caratteristiche della tradizione cristiana. Ma, d’altra parte, fa conoscere ai cattolici che “Dio è al lavoro anche fuori dai confini della Chiesa”, ovunque vi sia vera civiltà.

2. La immaginazione: le metafore come spazio dello Spirito

La terza parola, “immaginazione”, chiude il discorso in “modo maggiore”. E inizia, forse con una certa sorpresa, nell’orizzonte del discernimento. Poiché spesso riteniamo, a torto, che il discernimento possa essere la semplice “applicazione al caso concreto” di ciò che già ci è noto. E’ difficile che l’uomo – e il cristiano – pensi di aver bisogno della immaginazione per discernere. Ma questa è la via originale che Francesco indica proprio in apertura di questa terza parte del suo discorso:

Questo nella Chiesa e nel mondo è il tempo del discernimento. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente che conosce la via umile della cocciutaggine quotidiana, e specialmente dei poveri. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita. Ma bisogna penetrare l’ambiguità, bisogna entrarci, come ha fatto il Signore Gesù assumendo la nostra carne.

Il discernimento ha a che fare con la ambiguità strutturale della vita e con la “cocciutaggine quotidiana”. Vive di quella “inquietudine” e “incompletezza” che ci accompagna sempre e che possiamo affrontare penetrando la ambiguità alla presenza del Signore, “assumendo la nostra carne”. Questa assunzione della carne si oppone, diametralmente, ad ogni rigidità che, potremmo dire, pretende di discernere “a priori”, senza attraversare la vita con le sue ambiguità. Nel pensiero rigido non c’è spazio per Dio:

Il pensiero rigido non è divino perché Gesù ha assunto la nostra carne che non è rigida se non nel momento della morte.

Questo passaggio, di carattere strettamente teologico, apre la via ad una profonda e toccante valorizzazione della “immaginazione poetica e metaforica”, con cui il pensiero cristiano e cattolico può “stare nella carne” e assumerne la ambiguità per il discernimento:

Per questo mi piace tanto la poesia e, quando mi è possibile, continuo a leggerla. La poesia è piena di metafore. Comprendere le metafore aiuta a rendere il pensiero agile, intuitivo, flessibile, acuto. Chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore. È in grado di spalancare visioni ampie anche in spazi ristretti…

E dopo aver indicato in Andrea Pozzo l’ultimo “patrono” del suo discorso, Francesco indica alla ricerca del Collegio l’orizzonte artistico e poetico come sfida del presente e del futuro. E, in un testo conclusivo di alto valore esemplare, fa riferimento al pittore fiammingo Memling e al poeta francese Baudelaire, le cui immagini possono bene rendere la funzione che l’immaginazione svolge nella mediazione teologica contemporanea:

Coltivate dunque nella vostra rivista lo spazio per l’arte, la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Così avete fatto sin dagli inizi, dal 1850. Alcuni giorni fa meditavo sulla pittura di Hans Memling, il pittore fiammingo. E pensavo a come il miracolo di delicatezza che c’è nella sua pittura rappresenti bene la gente. Poi pensavo ai versi di Baudelaire su Rubens lì dove scrive che «la vie afflue et s’agite sans cesse, / Comme l’air dans le ciel et la mer dans la mer». Sì, la vita è fluida e si agita senza sosta come si agita l’aria in cielo e il mare nel mare. Il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento. E questa genialità aiuta a capire che la vita non è un quadro in bianco e nero. È un quadro a colori. Alcuni chiari e altri scuri, alcuni tenui e altri vivaci. Ma comunque prevalgono le sfumature. Ed è questo lo spazio del discernimento, lo spazio in cui lo Spirito agita il cielo come l’aria e il mare come l’acqua. Il vostro compito – come chiese il beato Paolo VI – è quello di vivere il confronto «tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo» (Discorso in occasione della XXXII Congr. Gen. della Compagnia di Gesù, 3 dicembre 1974). E quelle esigenze brucianti le portate già dentro voi stessi, e nella vostra vita spirituale. Date a questo confronto le forme più adeguate, anche nuove, come richiede oggi il modo di comunicare, che cambia col passare del tempo.

Sviluppare e approfondire l’insegnamento della Chiesa significa recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi. Per farlo bisogna ammettere che la vita non è mai in bianco e nero. E che per rappresentarla adeguatamente occorrono al pensiero della Chiesa “forme più adeguate, anche nuove, come richiede oggi il modo di comunicare, che cambia col passare del tempo”.

Nel discorso alla Civiltà Cattolica Francesco ha parlato apertamente e in positivo, con autorità e autorevolezza, indicando uno stile e una forma di pensiero cattolico. Ma, nello stesso tempo, ha anche risposto, indirettamente, a coloro che sanno solo “dubitare” di fronte ad ogni forma di pensiero “più adeguata e anche nuova” di cui ha urgente bisogno non solo l’espressione magisteriale della tradizione, ma anzitutto la esperienza autenticamente cattolica degli uomini e delle donne di oggi. Quella che non si confonde mai con una filosofia e che sa di poter far fronte al “depositum fidei” solo conservando uno spazio prezioso per l’ inquietudine nel cuore, per la incompletezza nel pensiero e per la immaginazione nel discernimento. Dalla fine del mondo ci è restituita la speranza in una teologia davvero autorevole e aperta.

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