Il papa bambino e il primo compleanno di Traditionis custodes
Domani sarà il primo anniversario di “Traditionis custodes”. Questo evento merita una riflessione un poco più ampia, anche alla luce del recente documento Desiderio Desideravi.
Dopo il sofisma di “Summorum Pontificum”, che aveva creato quasi “ex nihilo” la compresenza parallela di due forme rituali dello stesso rito romano, di cui una era la correzione dell’altra, si era creata nella Chiesa una condizione simile a quella della favola “I vestiti dell’imperatore”. Potevano vedere i nuovi vestiti rituali, doppi e intercambiabili, solo coloro che erano fedeli, ligi, affidabili. Gli “stupidi”, gli inaffidabili non vedevano alcuna possibile doppia forma e restavano assai perplessi. Così una serie di soggetti, molto al di là di coloro che erano interessati alla questione liturgica, ma per non perdere il valore simbolico aggiunto e per non uscire dalle dinamiche di potere, erano diventati, fino al 2021, “estimatori fedeli” della “doppia forma”. Due casi su tutti: da un lato era diventata un “criterio di promozione all’episcopato”; se ti dichiaravi disponibile a “non ostacolare” la forma straordinaria e addirittura ti facevi cogliere nell’atto di celebrarla, salivi di molto nella considerazione. Dall’altro era diventata “criterio di formazione in seminario”, di cui parlerò più avanti. Ma in tutto questo polverone, che durava dal 2007, non si era affatto considerato che, come nella favola, poteva uscire dala folla un “papa bambino”, che avrebbe potuto sempre dire, sia pure con 14 anni di ritardo, “il parallelismo rituale è nudo e vuoto”! Ossia che una idea teologicamente infondata, ecclesiologicamente pericolosa e liturgicamente distruttiva. Oggi, grazie a Traditionis Custodes, possiamo godere della parrhesia assicurata da questo papa bambino.
Ancor più un anno dopo “Traditionis custodes”, quando da poco abbiamo anche un documento che ne è figlio (Desiderio Desideravi = DD) e che ne chiarisce il senso e permette di identificarne la portata in una dimensione molto più ampia di una semplice “questione liturgica”. Per questo il significato del testo di un anno fa può essere interpretato a tre livelli diversi, su cui vorrei brevemente soffermarmi:
a) Sul piano teologico: TC ripristina la “logica elementare” e “unica sana” della vigenza universale di un’unico rito romano, senza alcuna possibilità – se non eccezionale o personale – di vigenza parallela di una forma “precedente” del rito romano. La logica di questo parallelismo universale , che SP aveva preteso di rendere disponibile per tutta la chiesa, non ha alcun fondamento né teologico, né dottrinale, né disciplinare. E’ un pasticcio e una mistificazione che sorprende siano stati permessi proprio da un “papa teologo”. Il “papa pastore” appare qui molto più teologo del predecessore. Perché TC non tutela solo la liturgia, ma anche la ecclesiologia, le forme del ministero e della spiritualità, dove non si può mai assumere come principio che “ciò che è stato sacro per le generazioni precedenti, deve restarlo anche per le successive”. Questo non è un principio teologico, ma un problema di comprensione distorta della tradizione, che non è anzitutto un monumento da custodire, ma un giardino da coltivare. TC non è anzitutto un documento sulla liturgia, ma sul senso e sul concetto di “tradizione”, che è una cosa troppo seria perché sia lasciata nelle mani inesperte dei tradizionalisti.
b) Sul piano ecclesiologico: TC ripristina la unità della Chiesa sul piano del suo linguaggio più originario, quello simbolico e rituale. Era evidente, fin dal 2007, che pensare ad una Chiesa che può avere, parallelamente, persino nella stessa parrocchia, due diversi calendari, due diversi spazi, due diversi tempi e ministri e testi e gesti della celebrazione era una cosa folle. Forse il fatto più grave, a cui TC ha reagito con decisione, è stato lo scandalo pubblico di una formazione parallela, dei seminaristi, in molti seminari USA e anche nel North American College di Roma. Solo dei superiori che vogliano futuri preti privi di una chiara identità, possono aver immaginato di dare loro la formazione liturgica secondo la forma riformata e, nello stesso tempo, secondo la forma che il Concilio Vaticano II ha esplicitamente voluto riformare. L’unità della Chiesa si costruisce con un insegnamento e una pratica rituale unitaria, non contradditoria e spiritualmente non lacerante.
c) Sul piano liturgico: Il valore di TC, sul piano liturgico, oggi è più chiaro grazie al recentissimo DD. Il recupero del grande valore del Movimento Liturgico (non di Nuovi Movimenti Liturgici reazionari) e della Riforma Liturgica (non di meschine Riforme della Riforma) riporta al centro le due istanze fondamentali chieste dal Vaticano II: il recupero della azione liturgica come azione di “tutta la comunità sacerdotale” esige un passaggio coraggioso e vero dall’atto di “riforma” all’atto di “formazione”. La ripresa di alcuni testi di R. Guardini, centrali in DD, chiarisce che questo non è solo il pensiero del Concilio o dei riformatori, ma dell’intero XX secolo. Si tratta di liberare le energie vere del linguaggio rituale (verbale e non verbale) come culmen et fons di tutta la azione della Chiesa. Questo oggi accade non più anzitutto in latino e in un rito dei soli preti e non della assemblea, ma in moltissime lingue, in numerose e diverse assemblee, le cui culture sono entrate, da 60 anni, nel patrimonio comune della grande tradizione ecclesiale. Una Chiesa che vuole “custodire la tradizione” non deve avere paura delle culture diverse con cui oggi possiamo fare esperienza della fede ed esprimere il nostro credo. Questo “tavolo comune”, che è possibile solo con la fine di SP, potrà permettere di valutare i limiti di ciò che fino ad oggi si è fatto e assumere con coraggio il cammino da compiere sul piano dei linguaggi verbali e non verbali. Un grande cantiere potrà aprirsi: perché la tradizione si custodisce camminando avanti, non arretrando.
Un bambino che dice “il re è nudo” e un papa bambino che dice “c’è una sola forma rituale universale nella Chiesa cattolica” sono due figure della “parrhesia” che libera lo Spirito alla sua azione nella storia. Chi è stato illuso non deve dire: “mi sento respinto dal papa”. Dica piuttosto, sono stato illuso di poter essere cattolico senza dover accettare la evoluzione e la riforma della mia Chiesa degli ultimi 60 anni, a partire dal Vaticano II. Questa è la illusione da cui liberarsi una volta per tutte. Un papa bambino, che parla al momento giusto, è un custode della tradizione più efficace di Massimi e Sommi Pontefici.
Veramente non mi spiego l’odio del prof. Grillo contro la Messa tradizionale. Quali sarebbero i movimenti liturgici reazionari? Esemplifichi, grazie. Perché sarebbe meschina la riforma della riforma? È dogma di fede la riforma di Paolo VI?
Sono 15 anni che scrivo su questo. Chi case dalle nuvole non è giustificato
Mi perdoni, è la classica risposta infantile di chi dice “Ho ragione io ma non ti dico perché, gne gne gne”. Io le ho posto delle domande a cui Lei non ha dato risposta; eppure le gradirei, dal momento che Lei è l’alfiere della liturgia fluida, l’aedo dei fasti di Mons. Bugnini e viene tenuto in fortissima considerazione (e relativa compensazione) negli atenei pontifici, nelle curie e nei “tavoli di lavoro”. Absit iniuria verbis: sono dati di fatto enunciati senza volontà di offendere.
Ci sono almeno 30 post di questo blog che le saranno di aiuto. Non posso ripetere con ognuno le cose che ho già scritto per tutti.
Io continuo a preferire il vetus ordo, mi ci trovo bene, non mi sento né un illuso né un respinto! il papa fa quello che deve fare per tenere buoni i vescovi, ma a me interessa poco! Io vado dove sto bene! Per ora nella mia diocesi, che è anche la sua, nulla è cambiato rispettoa a SP! Se cambierà, meno male che esiste la fraternità S. Pio X, dove valgono messe, sacramenti ….tutto insomma….come ha stabilito il papa bambino (appellativo ridicolo)! Grazie a you tube si può seguire tutto….come quando c’è stato il covid (sempre come ha stabilito la conferenza episcopale bambina). Poi io non sono un talebano e riconosco anche la validità del NO che frequento spesso! Apprezzo Tutta la ricchezza della Chiesa …..e non vedo in pericolo ecclesialita’ e tradizione! Un saluto!
Se si tratta la questione VO NO come un de gustibus la capisco bene. Ho però la vaga impressione che la messa sia diversa da ina sigaretta o da una marca di tabacco o di birra. Ogni oggetto ha le sue pretese
Non capisco perché, in presenza di un VO perfettamente valido dove mi sento a casa, dovrei frequentare messe scout o schitarrate dove mi viene il nervoso appena entro in Chiesa.
Quanta gente vedo migrare la domenica da una parrocchia all’altra a causa del de gustibus!
Non ci vedo nulla di male!
Non è difficile capirlo. Perché la condizione del suo de gustibus è viziata da due errori. Il VO non è perfettamente valido, ma non è più vigente. E accanto al VO non si può ridurre il NO a schitarrate. Due pregiudizi falsi impediscono una scelta lucida
Mentre il prof. GRILLO combatte contro i mulini a vento … in centinaia di altari … si intona l’INTROIBO AD ALTARE DEI … anche oggi, anche a Roma, anche a due passi da San Pietro.
… con i miei 54 anni ero uno dei fedeli più anziani.
… Benedetto XVI ci ha dato 2 insegnamenti fondamentali che ci teniamo come due perle teologiche di infinito valore:
– l’ermeneutica della continuità per l’interpretazione del Concilio;
– ciò che era SACRO per le precedenti generazioni continua ad esserlo …
TUTTO MOLTO SEMPLICE.
I mulini a vento sono arroganti con la testa dura, che pretendono di sostituire la loro sensibilita reazionaria alla grande tradizione ecclesiale
Siamo all’anniversario dell’intolleranza ecclesiastica in materia liturgica…..io credo ad una chiesa aperta a tutti …ergo anche agli estimatori della messa antica…. o vi è tolleranza di serie a e tolleranza di serie b???????,
Come si può tollerare ciò che contraddice il cammino comune? Che cosa si cerca: una immunità dalla stoeia?
Editto o meglio motu proprio d’intolleranza.!
Messe e sacramenti (penitenza e matrimoni) della Fraternità S. Pio X sono perfettamente validi, come stabilito dallo stesso papa Francesco!La validità, come diciamo noi ingegneri, è on off, non ammette sfumature di grigio! Il disegno è quello di spostare tutti i fedeli V O sulla FSPX che rimarrebbe mezza dentro r mezza fuori, tutelando la validità appunto di messe e sacramenti!
Quanto al non ridurre il NO a delle schitarrate, la invito a farsi un giro nella nostra città la domenica e poi mi dice! Dai tetti in su sono d’accordo con lei, ma dsi tetti in giù la realtà è un’altra!
Il superamento della autosufficienza della validità è proprio la differenza del Vat 2 rispetto a Trento. Ma vedo che le metafore estetiche prima e ingenieristiche poi la portano sempre fuori strada. Legga bene Desiderio Desideravi e capirà
La grande Tradizione ecclesiale me la spiega Benedetto XVI … e non un certo GRILLO …
È sicuro? Se legge TC e DD può capire che la ricostruzione della trad lit offerta da B16 in questi ultimi 18 anni è basata su prenesse congetturali del tutto unilaterali. Non basta avere la fama di teologi, bisogna anche dimostrarla.
Gent.mo Grillo,
oltre le polemiche. Se il rito codificato da san Pio V non è più valido, perché allora non abrogarlo? Se ha evidenziato difetti tali da aver causato storture effettive nella percezione che la Chiesa ha di se stessa, perché non proibirlo tassativamente, dichiarando al contempo la superiorità definita e suppletiva dell’ordo conciliare?
Abbiate il coraggio di dare evidenza fattuale alle vostre parole; altrimenti si tratta solo di inutile e vuoto e sofistico parlare.
Con i migliori e consueti auguri (e ne avete bisogno, perché non vi state mettendo solo contro quattro gatti di “tradizionalisti fanatici” da voi considerati tali)…
Il cjc è chiarissimo. Quando si fa una riforma generale, la nuova forma sostituisce la precedente. La abrogazione è di fatto. Ma i lirurgisti cattivi creano miti senza fondamento
Allora perché il Papa non lo vieta apertis verbis dichiarandobe la pericolosità ecclesiale? Scusate, ma l’atteggiamento è ipocrira.
Perché mai chiedere al papa quello che ha già fatto? Ma li legge i testi che pretende di criticare? Ipocrita mi pare chi parla di TC e DD senza averli letti.
Il papa non ha ancora vietato nulla. Coraggio. Un ultimo passo: abolite esplicutamebte la quo primum tempore, dichiarandone l’invalidità perpetua ex origine in nome del CVII. Finora avete tergiversato: ora concretezza!
Che cagnara! Grazie caro prof Grillo per le apprezzatissime e condivise riflessioni. Il polverone che sollevano é chiaro indice di quanto la sciagurata e inaccettabile scelta operata con il summorum, abbia portato a una drammatica confusione e tentazioni isolazioniste in troppi fedeli.
È bellissimo il modo in cui si definisce “cagnara” o “polverone” chi osa non essere d’accordo col professore. Perché mai “la sciagurata e inaccettabile scelta del Summorum Pontificum” la disturba così tanto? E, tenga presente, tanto per scandalizzarLa ancora di più, Benedetto XVI non doveva neppure “concedere” il rito antico: era, è e sarà sempre consentito, checché ne pensiate voi hater
Eccoli, sono arrivati i dottoroni dell’ekklesiologia a pontificare sulla liturgia e sulla teologia. Il punto è: voi odiate la liturgia antica, perchè esprime al grado massimo sia la natura intrinseca del Corpo Mistico, di cui la S. Messa, oblazione del sacrificio di Cristo, rappresenta forse, e qua riprendo le parole del teologo (vero) R.G. Lagrange, l’atto principale dello stesso, sia la sana teologia cattolica, intesa come scienza subalterna a quella di Dio, ma che rende il teologo viator e che gli consente una visione di Dio sub ratione deitatis non clare visa, ma obscure per fidem cognita. La messa vecchia non è che ha generato quella nuova. Qua cascate tutti come birilli, ma non perchè incapaci di osservazione: semplicemente perchè volete che la vostra tesi sia assolutamente valida, e quindi piegate la natura e i fatti a vostro piacimento. Ma questa non è scienza, anche e sopratutto in ambito filosofico, apologetico e teologico. La messa nuova ha generato una chiesa fluida: perchè nella sua natura è pensata per disorientare il credente. Non esiste “ma”: è un dato di fatto. Siete su una posizione indifendibile. Avete mai fatto un giro nei nostri seminari, per vedere cosa insegnano in materia liturgica e in materia teologica? Siamo a livelli di zozzerie mai visti. La liturgia è diventata una sorta di giocattolo assembleare: la stragrande maggioranza dei fedeli italiani non crede nella presenza reale di Gesù Cristo sotto gli accidenti del pane e del vino. Fluttuazione statistica? Colpa dei tempi? Ebbene: mica sono i tempi a generare lo spirito novatore della vita della Chiesa?
Caro prof. Grillo, lei rimprovera il rito antico, dicendo che è incompatibile con il cammino comune. Ma questo è in palese contrasto con quanto propugnato dal pontificato di Papa Francesco, dove tutti sono liberi di sentirsi parte dell’unica vera Chiesa, che comprende anche quella cattolica (le ricordo, infatti, il subsistit che, a meno di interpretazioni rischiose ma ancora tollerabili come quella di mons. Gherardini, indica proprio che la Chiesa cattolica non è la Chiesa di Cristo, ma ne fa parte come una parte del tutto, o come la natura fa parte della persona). Quindi non capisco: quale sarebbe il peccato della messa antica in merito al senso di ecumenismo che fonda questo brillante pontificato? Se i riti di Pachamama sono accettati e benedetti dal pontefice, non capisco dove risieda un problema. E poi è vero: non è sufficiente il carisma di teologo, serve anche una prova di titolo e una dimostrazione! Per questo ho sempre detto che Gesù, non avendo un dottorato in teologia, molto probabilmente è stato sovrastimato.
Il Signore vi benedica.
EC
Caro Edoardo, nel grande minestrone che somministri non c è molto di nutriente. Le parole di Francesco, non le mie, puoi pensare di ridurle a barzelletta?
Mi piacerebbe sentire il parere del professore in merito: https://www.ecclesiadei.it/lasciamoci-toccare-davvero-dalla-liturgia/
Il parere è già nel testo
Gracias, prof. Grillo.
La tradizione è qualcosa che viene tramandato, per definizione. Non si può fissare una data, oltrettutto estremamente recente in termini di storia della Chiesa, il 1970 circa, e dire che la tradizione incomincia lì perché è in quegli anni che tutto è cambiato. E’ un diktat ridicolo. E chi lo ha cambiato, la SC? La SC ha cambiato molto, ma non tutto, niente affatto tutto. Se la riforma fosse stata più saggia, meno radicale e meno dilettantesca, seguendo con maggiore correttezza le indicazioni della SC, non saremmo qui a leggere un suo articolo che sa un po’ di newspeak orwelliano, dove la tradizione è il cambiamento, l’antico è il nuovo, il futuro è il passato, e il diluvio di commenti che ha attratto. A me sta anche bene la sua definizione di tradizione, “…che non è anzitutto un monumento da custodire, ma un giardino da coltivare.” Però che tipo di giardino è, solo sperimentale dove si provano a rotazione sementi venute dai quattro angoli o selezionate con grandi studi genetici oppure un giardino dove posso trovare anche le gustose albicocche che produceva mio nonno e le sue prugne reine claude così gustose? O questi ultimo frutti, per il fatto che esistevano prima del 1970 e anche del 1570 sono proibiti? E da chi, di grazia? Da Domineddio? Da morir dal ridere. Preferisco non essere considerato cattolico, se questo è il prezzo (dipende poi da chi esprime questo verdetto), ma conservare un poco di sanità mentale.
La cosa grave è che lei sia così convinto di quello che dice, da pensare di non essere più cattolico pur di tenersi in testa la sua idea di liturgia come “le albicocche del nonno”. Qui io vedo un problema di fede e di identità ecclesiale molto più grande delle “inclinazioni liturgiche”. Un cammino ecclesiale svenduto per un piatto di lenticchie. Il giardino della tradizione non è affatto sperimentale, ma è vivo. Ciò che è morto non fiorisce più. E i passaggi di riforma fanno discernimento. Questo dice TC e DD e se non lo capisce il problema diventa di fede, non semplicemente un problema liturgico. Il cammino ecclesiale non si può ridurre ad emozioni individuali.
Caro professore, mi sta forse dicendo che credere a TC e DD è un fatto di fede? Pensavo la cosa si limitasse al Vangelo e a non molto altro. Quanto alle emozioni, è sicuro di esserne al riparo, da quelle progressiste intendo? Oppure dobbiamo dire che ci sono emozioni cattive ed emozioni buone? E chi lo decide?
Caro Mario, lei usa argomenti relativistici per essere integralista. Mi sta dicedendo che conta solo “credere nel Vangelo” e tutto il resto è relativo? O che il giudizio sulle emozioni è irrilevante? Io le sto solo dicendo che se un documento ufficiale, delle comunione cattolica, le dice che c’è un solo rito vigente, e lei si ostina a pensare che può celebrare con i riti che vuole, questo è un problema ecclesiale e teologico non piccolo, che non si può risolvere in modo solo “soggettivo”. D’altra parte le riconosco che questa è proprio la impostazione di Summorum Pontificum, che ha soggettivizzato la tradizione liturgica. Perciò la invito a non seguire i cattivi maestri.
Comunque, sei stato tu a dire “anche non essere più cattolico”, quindi tu stesso riconosci che vi è un problema di fede e di identità nella prassi liturgica. Lo hai detto tu e hai detto bene. Vorrei solo che ragionassi in modo conseguente e non usando, di volta in volta, argomenti fondamentalistici o relativistici.
Caro professore, io non ho detto di non essere più cattolico. Ho detto che se per essere considerato tale (e dipende sempre da chi) occorre accettare tutti i diktat che si susseguono, con un papa che dice una cosa e l’altro che la smentisce e la vieta, preferisco tirarmi di lato ed aspettare che passi la stagione delle mattane. Qui c’è forte odore di pensiero unico, e pensare che il concetto di “cattolico” sarebbe in teoria proprio l’opposto, del pensiero unico. Se la Chiesa (anche qui, vedere che vuol dire questa parola, fede organizzata uomi gerarchie o altro) non sa che farsene di quanti hanno qualche modesta obiezione, non so che farci, mi sembra una situazione patologica.
Questioni alla base
https://gpcentofanti.altervista.org/la-fede-distorta-dal-razionalismo/
Caro prof. Grillo,
la grande intuizione – ma in realtà è lapalissiano a chiunque legga serenamente Sacrosanctum Concilium – di Benedetto XVI fu che la riforma liturgica, anche nella sua forma tipica e non solo nelle aberranti eccentriche applicazioni, aveva ampiamente *tradito* le direttive dei padri conciliari (non sto a farle l’elenco dei tanti punti disattesi, li saprà senz’altro meglio di me).
È vero che la Costituzione chiamava anche a una riforma (ma, rectius, instauratio) generale dell’ordinamento; e che è senz’altro un documento frutto di compromessi, con indicazioni spesso ambivalenti; ma è altrettanto innegabile la distanza tra la visione di una riforma moderata (“Innovationes, demum, ne fiant nisi vera et certa utilitas Ecclesiae id exigat”, SC 23) come quella che si può in tutta onestà trarre da SC e il prodotto del tutto innovativo del Consilium.
Che questo risultato fosse lontanissimo da quanto i padri conciliari potevano ragionevolmente e auspicabilmente prevedere è testimoniato da più e più parti (a titolo di puro esempio, ma se ne potrebbero addurre in quantità, v. https://www.newliturgicalmovement.org/2022/07/destroying-liturgical-peace-to-shore-up.html – e la prego di contenere la sua antipatia per i “nuovi movimenti liturgici” così mai pestiferi per guardare, piuttosto, al merito delle testimonianze).
Insomma: il re è nudo, la riforma ha tradito il Concilio.
Il papa bambino è quello che riconosce questa lapalissiana realtà.
Non quello che cerca di sopprimerla d’imperio nascondendosi dietro alla foglia di fico dell’approvazione dei libri liturgici riformati da parte di Paolo VI e Giovanni Paolo II (DD 61). L’invocato principio di autorità è poco più di un argomento retorico, anche abbastanza risibile visti i tempi che corrono (ridicolezza accentuata da quel latinismo redivivo, “libri liturgici riformati ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II”), e non certo di merito.
E ci mancherebbe: Paolo VI, di quella riforma, fu l’autore morale; e nemmeno poteva sconfessarla il de facto immediato successore – con un po’ più di tatto e rispetto per il predecessore dell’attuale pontefice che, spiace dirlo, non smette di umiliare, su questo punto come in molti altri, l’ancora vivente Ratzinger insieme alla memoria del suo papato (e che – ma DD come TC omette convenientemente di ricordarlo – concesse ampio uso della Liturgia antecedente, chiedendo agli ordinari di fare generosa concessione di quanto concedeva col suo indulto).
Ratzinger questo profondo iato lo vedeva e mirava, col tempo, a correggerlo.
Lei e la sua scuola lo volete normalizzare e istituzionalizzare, contro le evidenti indicazioni del Concilio ad oggi disattese.
D’altra parte lui, a differenza sua, al Concilio era presente.
Gentile Carlo, mi pare singolare che lei concluda con l’argomento che chi era presente ha ragione, e chi non c’era ha torto. Spesso, nella storia, comprendono molto meglio quelli che arrivano dopo. Vede, la sua ricostruzione è del tutto unilaterale. Dimentica che il giudizio di Ratzinger risulta fin dall’origine segnato da una sorta di “senso di colpa”. Come tutti i “padri del Concilio”, Ratzinger non è mai stato libero nel giudicare i suoi esiti. E ha lasciato parlare molto più la affettività che la ragione. Così è arrivato a scrivere SP, che, dal punto di vista teologico, si basa su un sofisma falso. Viceversa Francesco, che non era presente al Concilio, ha visto bene questo limite emotivo del documento SP e ha saputo porre fine al paradosso di una vigenza parallela di riti che si contraddicono. Non è Francesco che umilia Benedetto, ma Benedetto che ha umiliato la sua ragione con un attaccamento viscerale al passato. Mi creda, la sua ricostruzione è del tutto infondata, perché non ha sufficientemente chiaro il vizio sistematico della lettura ratzingeriana della vicenda. Buone cose
Stimato professore,
Come avrebbe dovuto comprendere dal mio commento, non sono in realtà un gran patito del principio di autorità. Il mio argomento non è affatto che chi era presente abbia ora necessariamente ragione, e chi non c’era necessariamente torto. Altrimenti io, nemmeno trentenne, dovrei essere necessariamente nel torto.
Ma se si fosse premurato di verificare la fonte che le segnalavo, andando al di là di quella che posso immaginare essere la sua grande antipatia per quegli ambienti (ma d’altra parte, io non sono forse su queste pagine?), avrebbe evitato di definire la mia ricostruzione come “del tutto unilaterale”.
Perché non lo è.
È ampiamente *plurilaterale*. Più e più voci, da più sensibilità diverse, testimoniano che quella del 1969 fu una operazione davvero radicale, a fronte di un mandato conciliare estremamente limitato: da destra, come nelle lunghe memorie del Card. Stickler (che trova sempre su NLM); e da sinistra, col lapidario commento del p. Gelineau: “Questo va detto senza ambiguità: il Rito Romano che conoscevamo non esiste più. È stato distrutto”.
Ed è proprio sulle note del Gelineau che, personalmente, mi sento di farle una concessione: è vero che il teorema delle due forme del rito romano è fragile, a essere generosi, e sofistico, a essere più spietati.
Perché il Concilio aveva chiesto la riforma del rito romano. Il Consilium ha prodotto un rito vaticano, con qualche somiglianza vestigiale col rito romano storico, e qualche somiglianza superficiale con alcune indicazioni dei padri conciliari (mentre la più parte fu invece de plano ignorata).
Quindi con un po’ di onestà intellettuale – ma questa è ancora molto in là da venire – presto o tardi bisognerà riconoscere che il rito vaticano (o paolino che dir si voglia) *non è* il rito romano.
Ratzinger aveva la intenzione prospettica, anche comprensibile, di rinforzare il tenue legame tra il rito “riformato” e quello storico, forse nell’intento di recuperare al primo una legittimità che altrimenti sentiva traballante.
Non sta a noi giudicare se la creazione di un rito liturgico sia operazione in primo luogo possibile, e che possa comunque reggersi pressoché sulla sola volontà di un pontefice.
Il rito vaticano può tranquillamente continuare a esistere (a chi se ne fa strenuo fautore di risolvere le suddette, e altre, spinose questioni).
Ma bisognerà trovare il modo di dare diritto di cittadinanza, perché evidentemente diritto nativo, a quel rito che precedentemente viveva indisturbato nella Chiesa (e attualmente vittima di una vera e propria colonizzazione ideologica). Checché ne dica lei, che questo diritto di cittadinanza non lo avesse perso con la “riforma” lo riconobbe, prima di SP, la nota commissione di 8 cardinali interrogata sul punto da Giovanni Paolo II (mi perdoni il ricorso all’auctoritas, ma credo sinceramente che i porporati fossero più ferrati e di me e di lei in materia tanto canonistica – che è quel che conta – quanto liturgica).
Il modo più semplice e immediato per “risolvere” la questione, se non è quello estremamente “pratico” (e debolmente teorico) di Benedetto XVI, mi pare dover essere quello la creazione di una chiesa sui iuris che usi del rito romano come rito liturgico proprio.
Quello che non è pensabile, se non da un ideologo, è che il rito romano possa essere semplicemente estirpato: non lo è stato negli anni ’70 quando i “tradizionalisti” erano tre gatti, non lo sarà certo oggi che contano qualche milione di laici, e migliaia di sacerdoti in in tutto il mondo.
La realtà è più grande dell’idea.
Eventualmente, e le faccio un’altra concessione, anche il rito romano (autentico) potrà/dovrà conoscere delle caute riforme: meglio detto, anch’esso abbisogna di un restauro attento e devoto, e di superare certi manierismi ben poco liturgici; ne abbisogna per sé stesso, più che per un mandato conciliare.
Ma già oggi per com’è celebrato nella maggior parte dei casi (messa dialogata, dosato ricorso al volgare, cura nel canto gregoriano, partecipazione consapevole dei fedeli, etc.), il rito romano corrisponde molto più alle direttive dei padri conciliari di quanto lo faccia sia la “Messa tipo” vissuta in parrocchia (…e fuori: ma ce lo vede S. Giovanni XXIII davanti alla Missa super materassinum?!), che la “Messa tipica” nei nuovi libri liturgici.
Lei continua a cadere nella negazione della tradizione. È inguaribile. La saluto
Spiace vederla chiudere apoditticamente il discorso, ma d’altra parte non ho certo diritto a una risposta nel merito.
Cordialità!
Caro professore, il signor Carlo Schena dice in modo più completo quanto io le ho detto in risposta al post del 25 luglio dedicato a Desiderio Desideravi. Al nocciolo, anche Schena (come molti cattolici e vari osservatori esterni al cattolicesimo) concorda sul fatto che la riforma Bugnini va oltre la SC, tradisce cioè la costituzione conciliare. Non credo, a differenza di quanto lei dice, che le mie siano illazioni. E non riesco a capire che significato abbia rispondere a Schena accusandolo di “…continuare a cadere nella negazione della tradizione”. Insomma, a me dice che prendo lucciole per lanterne, a Schena dice che si ostina a negare la tradizione. Quale? Ormai conosco abbastanza le sue tesi, professore, per sapere che lei ha un concetto di tradizione che identifica quest’ultima con le scelte del potere papale. Lei è decisamente antistorico, in piena sintonia con una chiesa contemporanea tesa a reinventarsi, il che va ben oltre il rinnovarsi, e non può che creare seri problemi. Poiché a un certo punto Paolo VI ha avallato nonostante noti e notevoli dubbi la riforma Bugnini, pentendosi assai presto, lei dice che questa è la tradizione. Non mi sembra così semplice. Chiunque può leggere SC e, soprattutto se ha buona memoria del VO o se può sperimentarlo in una delle sue ormai semi clandestine manifestazioni, può valutare quanto sia stato snellito, ammodernato, aggiornato con notevoli apporti in lingua volgare, e quanto invece sia stato profondamente cambiato, fino a venire stravolto.
Sono assai sorpreso per il fatto che, con la vostra foga di dimostrare l’assunto che “dopo il Concilio” ci sono soltanto malviventi come Bugnini e Paolo Vi, riusciate davvero a dire cose assurde e azzardate e temerarie senza neppure un briciolo di vergogna. D’altra parte avete un buon maestro nell’unico papa che per voi è “traditio”, ossia Benedetto XVI, che ha inaugurato questa catena di insulti contro Paolo VI,c he avrebbe “tradito il Concilio”. Vede, la cosa curiosa è che lei attribuisca a me un concetto di tradizione ridotto a “potere dei papi”. Solo perché so che c’è un “oltre Pio V”. Voi ragionate come se ci fossero solo due papi nella storia: Pio V e Benedetto XVI. E sarei io quello “antistorico”? Solo perché conosco anche GIovanni XXIII (ma non solo quello che parla del latino), anche Paolo VI, anche GIovanni Paolo II e Francesco? La teoria che avete imparato da Benedetto vi ha messo delle fette di salame sugli occhi. D’altra parte è stato lui, fin dagli anni 70, a inaugurare questa sequela di ingiurie verso Paolo VI e il tradimento conciliare. Io credo che sia sana tradizione e ragionevolezza ritenere che siano molto più fedeli al Concilio Paolo Vi e Francesco di questa piccola catena di uomini risentiti, che non accettano la storia, la cultura e la forma che la tradizione ha assunto nel XX e XXI secolo. Il criterio del giudizio sulla tradizione liturgica non è garantito di essere nel giusto se parte dal risentimento e dal pregiudizio. Purtroppo non mi pare che riusciata a capirlo e discuterne ancora risulta inutile.
Ora gli argomenti sciocchi non avranno più spazio. Chi si immunizza dal reale non soffrirà troppo
The western world laughs at you, Cricket!
Your snide effete lashes at your interlocutors is telling- and we laugh at you. Even if you are the bug in Francis’ ear and he believes it to be his “conscience,” we all know from Pinocchio that a bug is not conscience. A Cricket merely chirps for his own amusement, making noise by the slapping of his own fragile and slender legs.
We laugh at you and pity you, even as you sneer, you sad small little man.
Prof. Grillo, più che altro, a leggere da esterno alle discussioni tecniche su materie liturgiche, si può notare un malcelato livore che lei usa nel riferirsi a Benedetto XVI.
Questo lo si nota in svariati post e mi domando come mai non prova a usare termini meno ironici o derogatori.
Mi pare che lei scambi con livore immotivato ciò che io invece intendo da almeno 14 anni come critica teologica sistematica la responsabilità di Benedetto XVI e di aver fornito argomenti deboli e affettivi a soluzioni poco equilibrate e gravide di problemi. La questione riguarda carenze gravi di teologia sistematica
Sarebbe interessante se qualcuno rendesse leggibile per chi non conosce bene l’inglese il post a firma Alphonse Becker. Mi sembra fin troppo duro, ma….