Semplicemente nullo: riforma del processo canonico e riforma della Chiesa


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Semplicemente nullo: riforma del processo canonico e riforma della Chiesa

Le prime valutazioni della grande riforma del processo canonico voluta da papa Francesco concordano nel definirla “rivoluzionaria”, come ha fatto anche Bruno Forte, domenica scorsa, sul “Sole 24 ore”. In effetti, le novità procedurali introdotte nel Codice di Diritto Canonico non sono né marginali né prive di significativi effetti sulla prassi giudiziaria del futuro. In particolare, la cornice che introduce la riforma del Codice sottolinea il desiderio di collegare più strettamente l’esercizio della potestà giudiziaria al ministero episcopale, radicando nella Chiesa locale la competenza originaria sulle cause.

Non si fa fatica a collocare questa grande riforma all’interno del percorso che va dalle prime parole pronunciate da Francesco dopo l’elezione, attraverso Evangelii Gaudium e Misericordiae Vultus e che attende un ulteriore svolgimento nel prossimo Sinodo ordinario e nel successivo Giubileo della misericordia. D’altra parte, la riforma entrerà in vigore proprio l’8 dicembre 2015, giorno di apertura del Giubileo.

Bisogna tuttavia osservare che questa riforma potrà assumere il suo pieno valore solo all’interno di un movimento necessariamente più ampio. In effetti bisogna considerare una doppia distinzione che ci permette di intendere questo Motu proprio “Mitis Iudex Dominus Iesus” nella sua reale portata: occorre distinguere in primo luogo tra la sua necessità e la sua insufficienza e, in secondo luogo, tra i suoi effetti diretti e i suoi effetti indiretti.

  1. Una Riforma necessaria, ma non sufficiente

Da tempo la stessa base dei tribunali e degli avvocati riteneva necessaria una semplificazione e uno sveltimento del meccanismo processuale volto ad accertare la nullità del vincolo matrimoniale. Dunque la riforma ha una sua ragione intrinseca, che scaturisce dalla sua storia e dalle sue logiche interne. Ma, d’altra parte, risulta ingenuo pensare che i problemi della pastorale familiare si possano risolvere semplicemente attraverso una riforma procedurale che riguarda esclusivamente la nullità del vincolo. Tutto ciò che viene riformato riguarda soltanto l’ipotesi che un matrimonio risulti non essere mai esistito. Nulla dice, né può dire, di tutti quei casi in cui un matrimonio, davvero esistito, giunga a fallire. Per affrontare pastoralmente i matrimoni che falliscono tutta questa riforma risulterà comunque marginale. Bene ha fatto Francesco a liberare il campo da ogni ambiguità: il prossimo Sinodo dei vescovi non potrà nascondersi dietro questa riforma e dovrà affrontare l’altra parte della questione. Ossia l’accompagnamento delle vicende che sperimentano la crisi di un vincolo esistente e di cui non è messa in questione l’esistenza originaria. Una pastorale delle crisi matrimoniali che si riducesse soltanto ad uno sveltimento delle pratiche giudiziarie sarebbe solo un rimedio molto parziale e unilaterale.

  1. Effetti diretti e indiretti, desiderati e indesiderati

Non si deve trascurare, in secondo luogo, la differenza tra gli effetti immediati della riforma e gli effetti indiretti della stessa. Bisogna infatti ricordare che ogni legge, anche la legge canonica, non risponde soltanto ad esigenze o interessi legittimi, ma apre una via, diventa una pedagogia e fa scuola. Nel momento in cui il processo volto alla dichiarazione della nullità del vincolo diventa breve, gratuito e viene celebrato vicino ai soggetti, si rischia di orientare tutte le questioni che riguardano la crisi del matrimonio verso questa soluzione. Se nel frattempo non si provvederà ad articolare adeguatamente una pastorale matrimoniale che si occupi delle famiglie ferite, si rischierà di persuadere l’intero corpo ecclesiale che un matrimonio difficile è un matrimonio semplicemente nullo. A questo effetto indiretto, ma probabile, può rimediare soltanto una ulteriore conversione pastorale, che il Sinodo del prossimo ottobre dovrà assumere con determinata risolutezza. Senza una grande riforma della disciplina di una “pastorale non giudiziaria”, questa riforma delle procedure potrebbe trasformarsi in un boomerang. All’interno di una revisione più complessiva dell’intera pastorale familiare, questa riforma sarà invece il primo passo significativo ed atteso verso una conversione evangelica e misericordiosa, capace di riconoscere nel Signore non solo un giudice mite, ma anche maestro paziente, un compagno della sofferenza e un profeta della novità di vita. Così come la Chiesa non esercita solo la potestà di giudicare, ma anche quella di perdonare, di accompagnare e di gioire con lungimiranza. La grande riforma del processo – che deve essere riconosciuta come un obiettivo avanzamento della cura pastorale verso le crisi familiari – acquisirà il suo vero valore solo all’interno di questa figura più completa di Cristo e di Chiesa, verso cui si è incamminata con determinazione l’ azione riformatrice, fortissimamente voluta, fin dall’inizio, da papa Francesco. 

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