Gli scritti di Teresio Olivelli rivelano la figura di un giovane che è stato coraggioso protagonista del suo tempo, icastico modello di una Chiesa in uscita, che non ha paura di inoltrarsi nel mare aperto della storia, affrontando anche la veemenza delle tempeste e la contraddittorietà di onde anomale e malvagie. La sua testimonianza è stimolo per i laici, specialmente per i giovani, ad essere parte attiva di una Chiesa ospedale da campo, aperta a tutti soprattutto alle persone fragili e ferite.
Informazioni sull'autore
Nasce il 7 gennaio 1916 a Bellagio (CO) e nel 1926 si trasferisce con la famiglia a Mortara (PV), diocesi di Vigevano. Nel 1938 si laurea in giurisprudenza a Pavia. Partecipa attivamente all’Azione Cattolica, poi alla Federazione Universitari Cattolici Italiani (FUCI) e alla Conferenza di S. Vincenzo de Paoli. Nel 1938 è professore assistente all’università di Torino e inizia l’adesione al fascismo: ritiene che in esso ci siano elementi compatibili col cristianesimo e intende valorizzarli cercando una cristianizzazione del fascismo stesso che in seguito capì non essere possibile. All’entrata in guerra dell’Italia, parte per la Russia con il grado di sottotenente degli Alpini, per condividere la sorte di quanti sono costretti ad andare al fronte. Fa pregare e conforta i più deboli. Porta Cristo in quelle trincee di morte. Nella tragica ritirata, mentre tutti fuggono, egli soccorre i feriti. Rientrato in Italia, rifiuta di mettersi al fianco dell’ideologia anticristiana nazista ed è avviato ai campi di prigionia. Fuggito, si affianca alla resistenza cattolica: assume un ruolo formativo e di diffusione del valore morale della rivolta. Lotta con le idee e con gesti di solidarietà: le sue armi sono l’amore al prossimo e il sacrificio di sé. Fonda il giornale Il Ribelle, scrive la preghiera Signore facci liberi, nota come “preghiera dei ribelli per amore”. È perseguitato dai nazisti, perché si ribella all’odio e diffonde i valori dell’umanesimo cristiano. Arrestato, è deportato nei lager di Fossoli, Bolzano, Flossenbürg ed Hersbruck, dove assume atteggiamenti religiosi e caritativi: fa pregare e consola, soccorre spiritualmente i malati e i più deboli, donando anche la sua scarsa razione di cibo. I nazisti lo colpiscono continuamente, perché odiano la sua fede e la sua testimonianza cristiana; ma lui non serba rancore e li perdona. Il 31 dicembre 1944 si lancia in un estremo gesto di amore: fa da scudo col proprio corpo ad un giovane brutalmente pestato dal kapò; questi gli sferra un violento calcio al ventre. Portato nell’infermeria di Hersbruck, muore il 17 gennaio 1945. Il 16 giugno 2017 Papa Francesco lo ha riconosciuto martire della fede e il 3 febbraio 2018 è stato proclamato beato al palasport di Vigevano (PV) dal Card. Angelo Amato.