Balthasar: una teologia della differenza sessuale senza corpo di donna (di Selene Zorzi)


Tra le istanze più sentite, nel dibattito ecclesiale contemporaneo, c’è quella che si riconosce nel motto “smaschilizzare”. La cosa non solo non è antitetica, ma corrisponde profondamente ad un altro verbo, diverso, ma coerente: “smascherare”. Per smaschilizzare occorre smascherare i pregiudizi che sono nascosti non solo nel senso comune, ma in quella che riteniamo “alta teologia”. Questo contributo di Selene Zorzi, che ringrazio di cuore, mostra bene, con una ampia e preziosa documentazione, il contenuto poco convincente della teologia che su femminile ha scritto un grande maestro come H.U. von Balthasar. E’ vero che uno dei destini dei grandi maestri è quello di essere mangiati in salsa piccante! (ag)

Balthasar: una teologia della differenza sessuale senza corpo di donna

di Selene Zorzi

Hans Urs von Balthasar è considerato uno dei maggiori teologi contemporanei e ha avuto forte influsso sulla teologia del XX secolo soprattutto quanto ai temi della differenza sessuale.

Molti teologi si appellano a Balthasar per sostenere l’innegabilità della “riserva maschile”, adducendo però l’argomento che Balthasar sarebbe troppo difficile da capire ed è frainteso. Sembra allora opportuno sintetizzare le sue teorie teologiche in merito che tentano (a nostro parere maldestramente) di misurarsi con le teorie della differenza sessuale. Concordiamo infatti con la teologa femminista Tina Beattie che sostiene che in Balthasar la riflessione sulla differenza sessuale costituisce il suo tentativo teologico più problematico da un punto di vista delle teorie di genere.1

È sulle seguenti riflessioni infatti che Balthasar fonda anche il suo noto binomio del principio petrino/mariano. Ma se la riserva maschile implica uno specifico significato sacramentale della mascolinità, come vedremo, non ne emerge uno corrispettivo per il corpo della donna.

1. Davanti a Dio un soggetto “asessuato”?

Beattie rileva anzitutto che ogniqualvolta Balthasar si riferisce al soggetto umano usa sempre un generico Mensch e quando parla del concetto di persona teologico usa Person. Nell’uno e nell’altro caso Balthasar sembra non fare mai riferimento alle persone sessuate e quindi tutto ciò che viene detto del soggetto davanti a Dio o delle persone in Cristo può essere applicato genericamente a entrambi i sessi.

Quando invece si passa alla considerazione della differenza sessuale dal punto di vista creaturale, Balthasar sembra valorizzarla fortemente:

due realtà diverse ma inseparabili l’una dall’altra, di cui l’una è la pienezza dell’altra, entrambe ordinate a una unità definitiva inafferrabile […] semplicemente due poli di un’unica realtà, due diverse attuazioni di un unico essere, due entia in un unico esse, un’esistenza in due vite […] con simili formulazioni esplorative si vorrebbe tentare di circoscrivere il mistero che l’uomo maschio in quanto uomo è da sempre presso la sua controimmagine, la donna, senza mai arrivarci, come anche viceversa é […] il mistero che l’io umano da sempre cercando si muove verso il tu ed anche lo trova … senza mai poter avere vero possesso di questa sua alterità. Questo dunque non solo perchè la libertà del tu non può mai essere a partire dall’io controllata da nessun sovraconcetto trascendentale, dato che ogni libertà umana si apre dal suo luogo soltanto verso la libertà assoluta e infinita, ma anche perché questa insufficienza si “incarna” nella costituzione diversa e complementare dei sessi” (TD II, p. 345).

In questo testo sembra esserci vera reciprocità tra i sessi: ciò che vale per l’uno vale anche per l’altro, vi sono soggetti che restano liberi in relazione, ciascuno incapace di possedere totalmente l’altro o di conoscerlo, anzi:

…entrambi, uomo e donna, sono non soltanto insieme, ma ciscuno per sé, immagine di Dio e quindi in tal modo risulta garantita l’immediatezza verso Dio” (TD III, 266).

Infatti «Nessuno dei due può essere per sé tutto l’uomo» (TD II,348).

Balthasar ammette che l’immaginario che relega il cielo alla mascolinità e la terra alla femminilità è svalutativo nei confronti del secondo elemento (TD II, 346); egli condanna le visioni misogine patristiche e scolastiche le quali mostrano il pericolo di una teologia che identifichi l’imago nella sola anima. Il teologo svizzero esclude anche la visione di Gregorio di Nissa secondo la quale il racconto di Gen si riferirebbe all’umanità creata nel complesso sessualmente indifferenziata (o androgina) mentre il racconto di Gen 2 si riferirebbe a quella sessualmente differenziata. Egli infatti afferma che la distinzione dei sessi fa parte dell’imago Dei.2

Quando però egli stesso si accinge ad affrontare l’esegesi di Gen 1 queste dichiarazioni di intento cominciano a suonare in modo diverso. Il teologo colloca la creazione della coppia umana alla fine di un processo creativo interpretato all’insegna della fecondità. In questo, l’imago si inserisce «in funzione divisoria tra fecondità infraumana e umana» (TD II, p. 348) e conclude che la procreazione umana illumina un aspetto della potenza creativa di Dio (p. 350). Si scoprirà più avanti che Dio ha chiaramente funzioni maschili rispetto alla creazione (cfr. TD II, pp. 351-360)

La Parola di Dio appare nel mondo come uomo maschio […] egli deve essere maschio, se è vero che la sua missione è di rappresentare nel mondo l’origine, il Padre” (TD III, p. 264).

Nonostante egli affermi che la polarità uomo donna pervada la creazione tutta (cfr. TD II, 344-345 e III, 263)3 in definitiva per lui «l’uomo davanti a Dio» sembra essere solo l’Adam maschio (TD II, 351). Quando infatti si muove a commentare Gen 2 afferma la primarietà dell’uomo maschio e la sua solitudine davanti a Dio (che prima doveva essere caratteristica di ogni persona in quanto tale).

Tre cose vengono in tal modo dichiarate: primo un primato dell’uomo maschio, che in questo suo primato è stato da solo davanti a Dio e con Dio, anche se potenzialmente e inconsciamente porta in sé la donna, che egli da sé però non si può dare. Poi il “non bene” della solitudine. In questo modo è anzitutto eliminata l’idea di un uomo archetipo androgino, che prima si fonda in se stesso e che solo dopo la divisione in due sessi avrebbe cominciato a sentire un desiderio inappagato, ma è eliminata anche la concezione che l’uomo (o il maschio) solitario potrebbe trovare conoscendo e nominando il mondo […] la sua propria realizzazione piena. Infine è dichiarata la derivazione della donna dall’uomo” (TD II, p. 351).

Da questo primo uomo maschio deriverebbe, secondo Balthasar, la donna.

Ecco allora che i veri assiomi su cui la teologia sessuale di Balthasar si muove cominciano a manifestarsi: ogni qual volta egli parla della donna la mostra sempre come secondaria e funzionale.

2. Una donna passiva e recettiva?

La donna viene descritta da Balthasar con una passività naturale, creaturale, mentre secondo lui l’uomo avrebbe una funzione attiva come quella divina.4 La donna accoglie, risponde, restituisce all’uomo; ella dà all’uomo qualcosa di nuovo solo perchè il dono di lei integra quello di lui. La donna rappresenta solo una risposta (Antwort) per l’uomo, anzi una duplice risposta: «è responsione in quanto riproduzione» (TD III,266).

La donna rispetto all’uomo rappresenta un doppio principio: risposta e frutto» […] si può dedurre di qui una consegna analoga per il rapporto tra Dio e la creatura. Abbiamo già accennato che la creatura rispetto a Dio non può essere che secondaria, corrispondente al “femminile”” (TD III, p. 267).

Beattie rileva che, riguardo alla creazione della donna, Balthasar si esprime con termini che indicano una violenza (di Dio) sull’uomo, il quale in realtà sarebbe originariamente (il) «solo davanti a Dio»: ella è «tolta», «strappata», «presa fuori» (TD II, 351). Subliminalmente, la donna viene presentata come una minaccia all’autonomia e completezza dell’ “uomo di fronte a Dio”. Inoltre se la donna è contenuta nell’Uomo, ella non è il suo vero “altro”.

C’è da ricordare che l’esegesi ha confermato che ha ‘adam non è un termine che implichi mascolinità, ma si riferisce ad “ogni terrestre”, secondo la mentalità ebraica (adm infatti indica il rosso e adamà è la terra: sarebbe bene tradurre quindi il terrestre). E mentre in Gen 1 la sessuazione è originariamente teomorfa, in Gen 2 l’ish appare solo con la creazione della donna, ishah. Balthasar invece pensa ad Adam sempre come uomo maschio concreto, sulla traiettoria della problematica tipologia Adamo-Eva e Cristo-Maria di provenienza patristica e non è un caso quindi che egli sia condotto a interpretare la sessualità umana in riferimento al «grande archetipo Cristo-Chiesa» (TD II., p. 352).

Cristo come persona divina, è ad un tempo vero uomo, ed anzi uomo maschio, ed ha in tal senso una certa analogia come secondo ed ultimo Adamo verso il primo” (TD III, p. 268).

Cristo non manca di nulla ed è analogo al primo uomo.

… dalla ferita di colui che dorme ormai sulla croce viene tratto e formato il volto della donna di cui l’uomo non può fare a meno. Il mistero dell’uomo e della donna della prima creazione lo dimostra, questo mistero però riceve la sua ricchezza massimamente misteriosa solo nel mistero del Cristo-Chiesa” (Ef 5, 27) (TD III, pp. 268-269).

Questa Donna concreta (l’Immacolata) diventa quindi calice ecclesiale in cui si versa la sostanza del Figlio: ella, insomma, è un dono perchè egli possa compiersi (cfr. anche TD III,324). L’impressione che Balthasar identifichi la donna solo ed esclusivamente con Maria e «che si passi senza riflessione da una all’altra» è stata avanzata anche da alcuni teologi.5

Basandosi sulla concezione cattolica tradizionale che identifica Maria con la Nuova Eva, sposa e madre di Cristo Nuovo Adamo, la relazione tra Cristo e Maria assurge a prototipo della relazione tra i sessi. Questo implica che la relazione originaria uomo/donna culminerebbe in una relazione meta o sovrasessuale tra i sessi (TD II,388; V, 428).

La missione di Maria è descritta sempre nei termini di una sessuazione le cui caratteristiche sarebbero di passività in relazione alla «missione virile-divina del Figlio» (TD III, p. 325). Nel testo Gloria l’esperienza di Maria appare essere un progressivo “spossessamento” di sé: la madre deve rinunciare progressivamente a se stessa perchè si realizzi Cristo (cfr. TD III, p. 325).6 Maria però è una identità collettiva, è il corpo della Chiesa, è la stessa maternità della Chiesa. In quanto tale il suo corpo di donna significa il corpo della Chiesa e da ultimo di Cristo. Come la Chiesa, Maria è relativa, non autonoma: serve alla pienezza di Cristo. Come lei, la Chiesa deve levare lo sguardo da sé e volgerlo al Signore, interessandosi solo di rendersi superflua (Gloria VII, p. 453).7 Ella deve tendere verso l’uomo perfetto (Ef 4,13) fino a non essere più se stessa. La Chiesa deve essere riflesso, non gloria in se stessa; risposta glorificante, perché inclusa nella gloriosa Parola di cui è risposta (Gloria VII, p. 485). Maria coopera con Cristo: la sua azione è integrata «inclusa» (TD III, p. 324) in quella di Lui. Essendo tratta dalla costola, Eva mantiene una differenza personale da Adamo, la Chiesa invece non ha una tale distinzione di persona rispetto a Cristo, perché ne è il corpo. Così, marito e moglie, essendo distinti, non possono rappresentare in modo adeguato Cristo e la Chiesa, mentre la Chiesa deriva la propria natura e persona solo ed esclusivamente da Cristo. Nel Cristo, infatti, Cristo e Chiesa non sono due persone e la Chiesa è anche un “noi”.

Ora, si tenga in mente però che non avviene così per la donna concreta e nemmeno per Maria: perché ogni donna concreta è una persona distinta.8

3. Cristo e l’autorità come prerogativa maschile

D’altra parte Cristo per Balthasar rende presente nel mondo l’autorità del Padre e per questo è un uomo-maschio (Mann).9 Balthasar intende fondare nella Trinità il senso della sessuazione umana ma in essa egli riconosce il principio attivo del Padre, il principio ricettivo/attivo del Figlio e quello ricettivo passivo dello Spirito. La differenziazione sessuale si esprimerebbe in analogia a queste “funzioni” trinitarie, dove al maschile è attribuita l’attività e la generatività, mentre al femminile un’attività ricettiva.

Nel far questo il teologo sembra non riflettere sul condizionamento linguistico dei modelli epistemologici umani, senza riconoscere che egli in qualche modo divinizza dei modelli culturali di relazione tra i sessi.

Quando Balthasar descrive la relazione Padre-Figlio sull’analogia di Gen 2 si esprime riguardo all’“aiuto” con una terminologia che fa comprendere il significato subordinante che egli dà al termine “aiuto” di Gen 2 e implicitamente al ruolo della donna: le immagini con cui Balthasar lavora sono quelle di un Padre che non ha bisogno di un “calice” in cui liberare la propria fecondità, che non sarebbe sospinto a comunicare niente fuori di sé, ma che si dona per libero amore.

Va rilevato come l’immagine di un Dio autosufficiente stoni con l’idea di una persona divina strutturalmente relazionale. Sembra quasi che l’entrare in relazione faccia perdere qualcosa al Padre, sembra quasi che quel “calice” (con una allusione sessuale nemmeno troppo nascosta) non sia necessario, come non necessario sarebbe comunicare. Il Figlio, dice Balthasar, non si aggiunge come “aiuto” al Padre (TD III, p. 267). Sebbene così dicendo egli voglia probabilmente escludere il subordinazionismo in Dio, d’altra parte quando applica una sorta di “femminilità” al Figlio in TD III, p. 264, la terminologia dell’“aiuto” (il termine usato per la donna in Gen 2) è chiaramente difettiva, anche solo nel tono con cui le affermazioni sono fatte. Secondo Balthasar Dio (Padre) si dona con amore “primario”, così che nei confronti della creatura egli appare maschile e la creazione invece femminile (TD III, p. 267). Nei rapporti intratrinitari il Figlio è femminile nei confronti del Padre, da cui riceve, e maschile nei confronti dello Spirito a cui consegna. All’interno di questo quadro, Balthasar dice chiaramente, riprendendo la metafora patristica del logos spermatikos, che «missione naturale di ogni spirito creato è essere pronti per l’accoglimento del seme della divina Parola, per portare e far crescere questo seme in sé e procurargli una forma di maturazione» (TD II, p. 268).

Viene dichiarata l’evidente “femminilità” di ogni persona creata nei confronti di Dio. Ne consegue che Gesù sarà necessariamente maschio nella sua incarnazione e la Chiesa sarà Sposa di Cristo Sposo. Maria, che è la persona che incarna la perfetta risposta ricettiva dell’offerta “maschile” del Padre, sarà quindi il principio del carattere femminile della Chiesa.

La Chiesa è in prima istanza femminile perchè il suo elemento primo e onnicomprensivo è il suo dover dire-grazie-di-sé-ricettivo e comunicativo…” (Il volto mariano della Chiesa, p. 322).10

Il principio maschile e complementare sarebbe incarnato dall’ufficio ecclesiastico il quale rappresenta il Signore che elargisce doni e che

è stato istituito solo perchè ella non dimenticasse questa sua femminilità primaria, solo perchè ella fosse sempre colei che riceve e mai colei che possiede e dispone di se medesima (Il volto mariano della Chiesa, p. 322).

Se la metafora può funzionare per la Chiesa, si estragga tuttavia ciò che implica sul soggetto femminile e apparirà l’anomalia del discorso. Oltre alla problematicità di una secondarietà del femminile e della negazione in esso di una qualche caratteristica che possa essere primaria, resta la problematicità dello scollamento che si individua in Balthasar tra sesso e genere femminile. Non c’è infatti necessaria relazione tra sesso e genere femminile, perché il genere femminile può applicarsi al sesso maschile: ogni maschio di fronte a Dio è femmina, in quanto creato. La femminilità è quindi per Balthasar una caratteristica spirituale della creatura umana che può appartenere sia al corpo maschile, sia a quello femminile.11 Questa applicazione del significato simbolico della differenza sessuale sembra derivare da modelli stereotipati del femminile (Aristotele docet) e del maschile (l’ombra di Bonaventura).

4. Una analogia segnata da errori

Balthasar è cosciente dell’analogicità del rapporto tra il binomio Cristo-Chiesa e uomo-donna ma Chantal Amiot12 ha rilevato quattro errori in tale parallelismo: a) la negazione dell’uguaglianza tra gli esseri umani, dal momento che Cristo assume solo l’umanità maschile; b) la confusione tra Chiesa mistero e Chiesa istituzionale per cui viene usata per la Chiesa-mistero la simbologia matrimoniale in senso patriarcale, la quale però dà adito a esiti istituzionali subordinanti per la donna: questa si ritrova a non poter governare, insegnare o santificare, perchè sarebbe meno donna; c) l’identificazione ontologica per via di sesso che rende il prete uno sposo, con impatti problematici in una comunità di tutti uomini; d) l’idea che solo i maschi in quanto tali sembrano poter partecipare pienamente alla missione di Cristo e quindi essere propriamente persone (perché solo in lui la persona e la missione coincidono perfettamente). La studiosa critica Balthasar anche per il fatto di non misurarsi con un metodo storico-critico nella lettura della Bibbia, rendendo un dato culturale, come quello della sottomissione della donna, una necessità teologica.13

In questa teologia sponsale che tiene in gran conto la differenza sessuale, la donna è a tal punto sessuata da essere considerata solo “sessualmente” e limitata quindi ai ruoli di vergine, madre e sposa. Il solo criterio sessuale di identificazione a Cristo, inoltre, come ha sottolineato Piola, e che porta a vedere in tutti i maschi Cristo, implica che tutte le donne siano il non-Cristo.14 Tutto l’impianto balthasariano diventa quindi una reificazione ontologica del contesto patriarcale del dato biblico.

5. Un corpo contingente e secondario

Se si va a guardare da vicino il posto del corpo concreto della donna si noterà che in TD III,324ss esso appare contingente, inessenziale, secondario, perchè serve di fatto agli scopi dell’uomo, non avendo altro fine che completare l’esistenza di lui. Anche per quanto riguarda il discorso che Balthasar conduce sulla persona “materna” e “femminile”, sembra che non si riferisca ad un corpo di sesso femminile, ma primariamente ad un corpo collettivo e derivato, quello della Chiesa: infatti anche il corpo degli uomini maschi è “femminile” in relazione a Cristo. Secondo Beattie, questo modo di trattare l’identità sessuata contraddice l’intenzione ultima dello stesso Balthasar e del nuovo femminismo di Giovanni Paolo II. Una teologia dell’incarnazione, infatti, richiederebbe una forte attenzione al significato rivelativo del corpo. Balthasar, però, non assegna alcuna qualità alla donna che non sia derivata da (o responsoriale al) maschio. Ella viene all’esistenza solo per servire agli scopi di lui, affinché egli possa avere un’esistenza piena.

… la donna non è soltanto come altra parola e altro volto un lieto incontro, ma è inoltre l’aiuto necessario, la custodia, la casa dell’uomo, il calice appropriato per lui in vista della sua piena realizzazione… e tuttavia non di una fecondità primaria ma di risposta, costituita in modo da poter accogliere per sé la vana fecondità dell’uomo e portarla a compimento così da essere la gloria dell’uomo (1 Cor 11,7)… in tale visuale si può definire la missio della donna nei riguardi di Adamo come continuazione e conseguenza della sua processio da Adamo” (TD III, pp. 265-266).

Questo primato naturale dell’uomo maschio per il quale la donna è solo risposta «comporta che essa non possa essere che risposta personale (sposa) e risposta di riproduzione (madre); a livello cristologico il primato naturale dell’uomo diventa un primato assoluto»15.

Mentre il maschio appare monadico, singolare, statico, la donna ha le caratteristiche della dualità, della fluidità, della relazionalità e della dinamicità, della dipendenza (TD III, 272; Gli stati di vita, p. 324).16 Così per Balthasar, la femminilità sarebbe essenzialmente orientata all’altro e in due modi: sessualmente al maschio e maternamente al figlio (cfr. TD III, p. 287).

Il maschile simbolizza per Balthasar «la trasmissione di una forza vitale che viene da lontano e tende più lontano di se stessa» (Sacerdozio alle donne? p. 110)17. Da dove deriva Balthasar questa simbolizzazione della mascolinità?

6. La complementarità e il suo limite

A tale proposito, si deve aprire una finestra sul concetto di complementarità che Balthasar utilizza. Tale modello è stato molto contestato dalle femministe, in quanto non risulta effettivamente reciproco. Esso deriva dalla fisica, dove implica fenomeni diversi che non si sovrappongono e quindi non possono essere visti contemporaneamente perchè si escludono a vicenda. Passando dall’ambito meccanico a quello della relazione sociale tra sessi questo modello giustifica una distinzione netta dei ruoli sociali, così che la donna non potrebbe assumere spazi abitualmente occupati dagli uomini maschi perché “siamo diversi”. La donna dovrebbe quindi riempire quegi spazi lasciati vuoti dagli uomini, accettando di essere per l’uomo il di lui completamento. Tale modello dà vita ad una antropologia “a parti” che si completerebbero a vicenda in una perfetta sintesi. Ma nessuna donna come nessun uomo può trovare in un altro, uomo o donna, la sua totale completezza, perché essa viene donata solo in Dio. Invece proprio in questa “idolatria”, in questo fraintendimento, va individuata l’illusione che conduce oggi al fallimento di tanti progetti matrimoniali. Del resto, qualsiasi relazione umana tra persone – uomini o donne – implica sempre vicendevole scambio e dialettica. 18 Certo, sarebbe più semplice per gli uomini, qualora le donne non invadessero i loro spazi, ma questo non significherebbe una convivenza necessariamente armonica, perché non essendoci equità sociale non si dà vera pace. Proprio perchè uomo e donna sono differenti, rivestire stessi ruoli può arricchire la società. Il modello della subordinazione, come quello della complementarità, sono quindi problematici. Si sono tentate altre strade: il femminismo della differenza ha tentato di proporre il modello della “asimmetria” che è termine però inviso alle giovani generazioni. Si è preferito parlare di “scambio”, reciprocità, mutualità, dialettica. Il pericolo della contrapposizione e dell’opposizone frontale binaria resta sempre in agguato finché non si arrivi a trovare un modello che dica l’essere insieme o l’“a due voci”, per indicare che solo quando gli uomini e le donne potranno essere soggetti pieni e in relazione, l’umano potrà anche rivelarsi in modo completo, appunto ad immagine di Dio.

7. Un pensiero androcentrico

L’impostazione di Balthasar che attribuisce alla mascolinità e in tal modo a tutti i maschi il principio attivo e la femminilità, cioè il principio ricettivo, a tutti gli esseri umani, maschi e femmine, si regge su una concezione allo stesso tempo androcentrica, ma anche falsata dei rapporti umani. Essa, inoltre, costituisce una grande falla nello stesso sistema che vuole dare all’identità sessuata un simbolismo (genere2) che si leghi fortemente ai corpi storici (sesso) degli uomini e delle donne.

Questa visione simbolica della sessualità che ipersessualizza la storia della salvezza sembra pericolosa perché da ultimo non riconosce la valenza tutta umana della sessualità, come suggerisce il testo biblico di Gen1. Infatti, se da una parte egli parla di «dimensione planetaria» del rapporto uomo-donna, dall’altra il matrimonio è, a suo parere, legato al «vecchio eone».19

Il “femminile” balthasariano non sembra avere nessuna relazione con il corpo concreto delle donne. Dice Beattie: «nella misura in cui uomini e donne sono femmine in relazione a Dio, non c’è alcun luogo significativo per la differenza sessuale».20

8. La assenza della donna concreta

La donna concreta in Balthasar non c’è, se non come proiezione, come fantasia dei desideri di completamento dell’uomo, una idealizzazione che probabilmente – come Beattie dimostra diffusamente (pp. 163-183) – risente del rapporto ambiguo che Balthasar ha avuto con Adrienne von Speyr (+ 1967), la medico svizzera e mistica che assieme al marito ospitò nella sua casa il teologo per quindici anni e sul quale ebbe forte influsso. Secondo Beattie, la relazione del teologo con la Speyr spiegherebbe la violenta energia sessuale presente nella sua retorica teologica (p. 116). Secondo Rist, le stesse affermazioni della Speyr, secondo la quale l’atto sessuale per la donna sarebbe qualcosa di umiliante per la donna, avrebbe contribuito a formare in Balthasar quell’idea un po’ «talebana» dell’umiliazione dell’uomo davanti a Dio e della donna nei confronti dell’uomo.21

La donna, dice Balthasar riprendendo E. Przywara, è creata come suo “sogno”, pienezza, casa tramite la quale egli può incorporarsi (TD II,352). Rileva Beattie, a proposito di questo passo, che un individuo che esistesse solo per completare un altro, quale suo “sogno” o sua gloria, non sarebbe propriamente un soggetto con pieni diritti (davanti a Dio).22 La donna, in Balthasar, non è quindi un “io” ma solo un “tu” e non ha un significato effettivo per se stessa, in quanto esiste solo come l’altro dell’uomo, una proiezione, un necessario completamento dell’essere (di lui), lo spazio in cui la sua esistenza trova significato senza permettere a lei un analogo spazio di esistenza.23 Così, mentre il corpo femminile viene di fatto annichilito nella simbologia della vita ecclesiale, perchè iperenfatizzato nel “Femminile”, la donna concreta continua ad essere un problema per l’uomo, una domanda che in realtà non trova risposta, perchè è solo una proiezione di lui, una sua estensione e non essendo un vero ‘tu’, non può dare una autentica risposta. 24

Beattie, in conclusione, sostiene che con Balthasar ci si trova di fronte ad un anacronistico modello delle relazioni sessuali, dove si cerca di riaffermare il primato del maschio sulla femmina: questa teologia, al di là dei suoi principi dichiarati e del suo linguaggio fortemente inclusivo dell’identità sessuata, elide il corpo della donna, perchè mostra che solo tramite uno sradicamento del sesso femminile, l’uomo maschio può eliminare dalla teologia l’effettiva sfida che la donna, nel suo corpo concreto richiedente uno spazio, pone al suo sistema.

9. Una teologia premoderna?

In realtà, dunque, il sistema di Balthasar propone una teologia cattolica ancora premoderna dove la differenza sessuale non riguarda un essenzialismo biologico, ma si muove nell’ambito di schemi di genere. Gesù è maschio perché rappresenta Dio, in quanto origine, mentre la donna è secondaria e infatti rappresenta la creatura.

In TD III,325 il teologo svizzero mette in relazione la sessualità con la morte e la temporalità, così che si può dedurre che per lui la situazione paradisiaca originaria dell’uomo avesse una forma di asessualità. Egli dice esplicitamente più volte di non saper teologicamente rispondere se nel paradiso ci fosse unione sessuale, TD III,266. Anche il ruolo di Maria diventa significativo solo quando ella è necessaria alla venuta dell’uomo dal momento che la sua missione è assoluta, mentre lei è un processo mobile, oscillante (TD III,272 e 276), non avendo univocità. Balthasar ha difficoltà a riconoscere la realtà materiale della sessualità femminile e benchè renda onnipresente la femminilità, elimina di fatto il corpo della donna dalla scena della salvezza. Infatti, se in Maria la Chiesa diventa soggetto, è anche vero che la donna concreta si diafanizza in una collettività.

Balthasar non presenta mai la sessualità in termini positivi: essa è nella Teodrammatica sempre cifra di qualcos’altro, del desiderio escatologico di Cristo e della Chiesa o del terrore della carnalità, della mortalità o della morte.25 La verginità (nel paradigma della verginità di Maria) sarebbe l’«esclusione di tutta la vitalità e la fecondità, fisica e spirituale, dell’uomo, per ricevere maternamente in sé l’unica forma della Parola di Dio incarnata, custodirla, partorirla, accompagnare la sua crescita e il suo cammino» (Gloria I, p. 560) .

10. La sessualità e la morte

Inoltre, in Balthasar, c’è un intimo legame tra sessualità e morte. La sessualità, cioè, non è mai per lui l’incontro effettivo tra corpi che si desiderano reciprocamente ma il misterioso processo con cui l’uomo maschio si appropria della sua esistenza; la sessualità sarebbe per Balthasar più origine della morte che della fecondità e della gioia di vivere, tanto che egli mostra ancora i segni di una inaccettabile divisione tra eros e agape (TD V, pp. 405ss; 428) come di amore egoistico e disinteressato, benché certamente egli conosca l’indifferenza della loro essenza (Gloria III, 318, commentando Solov’ëv).26 Balthasar afferma che Adrienne per lui fu “sottratta da sempre all’eros”27, come se per un essere umano decaduto fosse possibile un “agape” puro, coincidente con lo stato di verginità. Anche in TD IV, 101 egli identifica l’eros con l’istinto della conservazione della specie. Bisogna riconoscere infatti che nonostante la critica a Nygren, la teologia cattolica fatica ancora ad ammettere che il desiderio di dare piacere all’altro, anche sessuale, negli esseri umani può essere attività spirituale che si fonde con l’autodonazione.28

In Balthasar non c’è un significato teologico della riproduzione umana. In questo egli sembra dipendere troppo da Gregorio di Nissa che considera la sessualità/genitalità fuori dell’imago. A fronte di un certo romanticismo della sessualità matrimoniale che si può ritrovare nei testi di Giovanni Paolo II e nel nuovo femminismo cattolico, Balthasar fatica ad attribuire un significato sacramentale alla sessualità umana e alla procreazione.29 Il matrimonio, per Balthasar, non è un bene in sé, ma esiste perché significa qualcos’altro, è un mezzo per altro. Il sesso va trasceso e così esso viene disincarnato e idealizzato, assumendo un senso solo verticale, non orizzontale. Secondo Beattie, Balthasar congela la sessualità e la divinità in modo da riaffermare una rappresentazione patriarcale di Dio, un Dio che appare essere oltre se non addirittura contro la vulnerabilità dell’incarnazione30 e per questo, secondo Beattie, la teologia balthasariana mostra una certa difficoltà a riconciliare la sofferenza incarnata dell’umanità di Cristo con la sua divinità. Per Balthasar, infatti, l’incarnazione risulterebbe esclusivamente un abbassamento femminilizzante della sua mascolinità divina.

11. Un corpo senza valore sacramentale

La teologia balthasariana sembra incapace di dare un significato sacramentale al corpo delle donne. Secondo Beattie, «finché la sessualità femminile resta l’altro irredento della fede cattolica, non ci sarà vera pace e riconciliazione nella chiesa finché l’uomo di chiesa non farà pace con la propria sessualità e con la capacità incarnata della donna di essere parte sacramentale della rivelazione di Dio»31.

Beattie suggerisce che uno dei modi per superare l’impostazione di Balthasar sarebbe quella di includere il corpo femminile nel linguaggio, nella rappresentazione e nel significato sacramentale (p. 187). La morte di Cristo infatti suggerisce che Dio è vulnerabile al nostro amore e la sua risurrezione esprime la fecondità che ha origine dalla morte di Dio, fonte di nuova vita per il corpo.

Nonostante alcune affermazioni “femministe” di Balthasar, in definitiva, questa teologia appare fondamentalmente impostata secondo uno schema androcentrico e subordinante circa la relazione tra sessi.

1 Cfr. Beattie, The New Catholic Feminism, pp. 93-94.

2 Cfr. Gli stati di vita del cristiano, Milano 1985, pp. 92; A. Scola, L’Imago Dei e la sessualità umana, in “Anthropotes” 1(1992) pp. 61-73, qui pp. 72-73.

3 Teodrammatica. II. Le persone del dramma: l’Uomo in Dio, Jaka Book, Milano 1978; III. Le persone del dramma: l’Uomo in Cristo, Jaka Book, Milano 1983.

4 Beattie, The New Catholic Feminism, p. 106.

5 Piola, Donna e sacerdozio, p. 493.

6 Beattie, The New Catholic Feminism, p. 107.

7 Gloria. Una estetica teologica. VII. Nuovo Patto, Jaka Book, Milano 1977 (or. Theologie: Neuer Bund, Johannes Verlag, Einsiedeln 1969).

8 Beattie, The New Catholic Feminism, p. 154.

9 Cfr. Balthasar, Pensieri sul Sacerdozio femminile, in “Rivista internazionale di Teologia e Cultura Communio” 150 (1996), pp. 17-24, qui p. 24.

10 Il culto di Maria oggi. Sussidio teologico pastorale, a cura di W. Beinert, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 309-325.

11 Cfr. Beattie, The New Catholic Feminism, p. 109.

12 Le ‘non’ balthasarian à l’accès des chrétiennes au ministère presbytéral. étude critique, in “Lumière et Vie” 44 (1995) 224, pp. 51-69.

13 Ibid., p. 65.

14 Cfr. Piola, Donna, p. 493.

15 Piola, Donna, p. 493.

16 Gli stati di vita del cristiano, Jaka Book, Milano 1985, pp. 315-335; cfr. Beattie, The New Catholic Feminism, p. 108.

17 Nuovi punti fermi, Rusconi, Milano 1980, pp. 107-112.

18 Cfr. M. Chiodi, La relazione uomo/donna come forma fondamentale della differenza, inTeologia” 32 (2007) pp. 11-35, che ritiene il modello complementare difettoso perchè l’altro sarebbe deducibile da me e non sarebbe veramente l’altro in quanto sarebbe solo il «mio (reciproco) simmetrico»; tale idea suppone un concetto individualista di “io” che «annulla l’alterità mentre la invoca», p. 24.

19 Cfr. Nuovi punti fermi, pp. 32-33 e 105.

20 The New catholic Feminism, p. 110, trad. mia.

21 La razza 2/2, note 80-81.

22 A tratti torna la tematica della donna-angelo: la donna istruita dall’angelo che sacrificandosi si trasforma nella stella che conduce l’uomo ad una «beata umiliazione», cfr. Nuovi punti fermi, p. 33.

23 Ivi, p. 110.

24 Ivi, p. 111.

25 Ivi, p. 157.

26 Cfr. TD IV, pp. 106-107.

27 Il nostro compito, p. 32.

28 Cfr. J. Rist, La razza 2/2, http://mondodomani.org/reportata/rist03.htm commentando Il Mistero Nuziale di A. Scola.

29 Cfr. H.U. von Balthasar, Nuovi punti fermi, Jaka Book, Milano 1983, p. 105; Beattie, The New Catholic Feminism, p. 160.

30 Ivi, p. 162.

31 Ivi, p. 183 trad. mia.

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