Da Sinodo a Sinodo: il previsto e l’imprevedibile


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E' uscito ieri su "Settimana" questo articolo:

Sinodo: il previsto e l’imprevedibile.

L’ascolto dei vissuti, l’annuncio del Giubileo, la riforma del Codice e i “discorsi americani”

Il disegno di un “doppio Sinodo” dedicato alla condizione della famiglia nel nostro tempo, fin dall’inizio era stato accuratamente progettato e ben strutturato, secondo un progetto di confronto ecclesiale e di discernimento pastorale giustamente ambizioso. Da questa struttura “a due tempi” sono scaturite molte cose buone: sono cadute diverse maschere, si sono rivelate strade chiuse e datate, si sono aperte vie nuove e promettenti, si è data voce ad istanze nascoste e si sono riconosciuti i limiti di impostazioni e soluzioni giuste solo in apparenza. Ma, accanto a questo percorso “previsto” e anche “prevedibile”, si sono inseriti elementi “imprevisti”, che hanno ulteriormente trasformato e approfondito la considerazione del “tema famiglia” e il suo impatto sulla identità ecclesiale e sul suo rapporto con il mondo. Per fare sintesi di questi “due anni” – infatti il primo annuncio del duplice Sinodo è datato 8 ottobre 2013 – sarà dunque utile considerare queste diverse “componenti”, ossia l’ampio ascolto dei “vissuti”, l’annuncio dell’imminente Giubileo, la riforma del Codice e, novissime, i grandi “discorsi americani” di papa Francesco. In tutti questi elementi, che vengono a comporre il quadro nel quale si aprirà il Sinodo ordinario, si fondono previsione e sorpresa, progetto ed evento, programma e “fuori programma”. Il che non solo e non tanto è tipico di papa Francesco, ma qualifica infallibilmente la logica discreta e travolgente dello Spirito Santo.

Trovare il tono giusto

Il punto iniziale – che sarà anche quello finale – mette in luce una particolarissima qualità del percorso con cui la Chiesa si è disposta a considerare le “sfide pastorali della famiglia”: l’obiettivo deve essere forse un catalogo di lamentele, una condanna senza appello del mondo moderno, un elenco di inadeguatezze, unite magari con una “idealizzazione” senza limiti del “modello rivelato” di famiglia, da porre (e imporre) come criterio di ogni esperienza? Sul tema, in effetti, la tentazione era e resta molto forte: essendo un argomento naturalmente “di confine” tra natura, cultura e fede, la famiglia si presta ad essere affrontata, contemporaneamente, con approcci “gelidi” e “surriscaldati”. Trovare il tono giusto, sintonizzarsi sul tema è, appunto, condizione preliminare – delicatissima e decisiva – per intenderlo davvero, per discernere giudiziosamente e per agire di conseguenza. Su questo piano i “capolavori di sincronizzazione” vengono, in larga parte, dal genio pastorale e teologico (senza bisogno alcuno di “normalizzazione”) di papa Francesco. E’ il genio pastorale del Concilio Vaticano II, la sua vocazione a “tradurre” la tradizione, che ha trovato. in questi due anni, una sorprendente realizzazione in tutte le “prese di parola” del Vescovo di Roma: dalle omelie a S. Marta ai discorsi di apertura e chiusura del Sinodo 2014, dalla Esortazione Evangelii Gaudium alla Bolla Misericordiae Vultus, fino ai recentissimi “discorsi americani”. Tutti attestano la fatica generosa di una preziosissima sintonizzazione e sincronizzazione: per avere il tono e il tempo della propria epoca e della propria gente, come condizione di ogni possibile annunzio del Vangelo.

Ascoltare i vissuti

Allo scopo di permettere questo “servizio di sintonizzazione”, in vista della custodia della tradizione, occorre “mettersi in ascolto”. Abbiamo assistito ad un percorso di “conversione pastorale” che si è realizzato lasciando la parola a tutti coloro che “fanno esperienza di famiglia”, sia essa felice o infelice, sana o malata, feconda o infeconda, gioiosa o triste. La cosa, proposta a tutti, ha preoccupato non pochi. Ed è stata gestita, in alcuni casi, in modo imbarazzato, talvolta anche con risentimento e con rabbia. Ma anche questo è stato utile. Bisognava che fossero ascoltati e considerati proprio tutti i vissuti: sia di coloro che vivono la famiglia, sia di coloro che pensano come gli altri debbano viverla; sia di coloro che ne restano incantati, sia di coloro che la guardano con invincibile diffidenza. Ed è stato molto importante che, a diversi livelli, queste esperienze abbiano lasciato il segno: sia entrando – solo in parte – nell’Instrumentum laboris, sia toccando, comunque, le coscienze e i criteri di giudizio. L’ascolto era stato previsto, proprio come spazio riservato alla imprevedibilità e alla contingenza inesauribile delle vite.

Lasciarsi orientare dalla misericordia

Ma, accanto a questo programma, in modo imprevisto, abbiamo saputo che, poco dopo la fine del Sinodo 2015, sarebbe iniziato il Giubileo Straordinario della Misericordia, nel quale la logica del doppio appuntamento sinodale sembrava essere ripresa, estesa e solennizzata, per tutta la Chiesa. Con un effetto di singolare raccordo con il Concilio Vaticano II: nel giorno della “chiusura del Concilio”, 50 anni dopo, si aprirà il Giubileo della Misericordia. E la Bolla che lo indice interpreta il Giubileo in continuità con la lettura del Concilio come “evento di misericordia”, secondo le parole inaugurali di papa Giovanni XXIII e quelle conclusive di Paolo VI. Anche il Giubileo, a posteriori, può costituire una interpretazione del Sinodo come esigenza di aggiornamento e di traduzione della tradizione, capace di salvaguardare la dottrina del matrimonio e della famiglia solo a patto di sottoporla ad una grande opera di traduzione, di riformulazione e di adeguamento a quel Vangelo, che possiamo ora comprendere meglio, anche grazie al mondo di oggi. Imprevedibile irruzione di misericordia, che rilancia la “alleanza tra Chiesa e famiglia” in modo non fondamentalistico e con un nuovo rispetto per la concretezza dei soggetti implicati. Perché si esca, anche nella Chiesa, dalla “cultura dello scarto”.

Riformare il codice

Sulla stessa linea, ma su tutt’altro piano, si inscrive anche una seconda “sorpresa” che ha arricchito questo cammino intersinodale: in meno di un anno di elaborazione da parte della Commissione costituita ad hoc nell’agosto del 2014, papa Francesco ha introdotto, con il Motu Proprio Mitis Iudex, una radicale riforma del processo canonico di dichiarazione della nullità del vincolo matrimoniale. Con essa cambiano le regole del processo canonico, secondo una logica di maggiore prossimità pastorale, di minore complessità processuale e di maggiore rapidità. Con questa riforma si sono conseguiti due risultati considerevoli: da un lato si è liberato il Sinodo da questa incombenza, realizzando i “desiderata” del Sinodo 2014, con atto autonomo assunto dal papa; dall’altro si è prodotto un effetto quasi “ironico”, ma non trascurabile: ciò che infatti veniva proposto da alcuni (laici e cardinali) come “il massimo obiettivo possibile” del Sinodo ordinario – ossia una prudente riforma del processo canonico – è stato tradotto nel “minimo garantito”, realizzato già ben prima del Sinodo, affinché il Sinodo stesso potesse evitare di cadere nella illusione di dare risposte “pastorali” occupandosi solo di meccanismi giudiziari. Dogmatica giuridica e dogmatica teologica – non raramente alleate nel gioco in difesa – entrano a far parte del mutamento richiesto e non possono illudersi di poter “restare al balcone”. Anzi, nello stesso tempo, la teologia “di strada” più avvertita ha prodotto notevoli contributi, con pubblicazioni intense e appassionate, a vantaggio dei Padri sinodali e dei loro “argomenti”.

I “discorsi americani”

L’ultima sorpresa – la più prossima all’evento sinodale – è quella che abbiamo ascoltato nei grandi “discorsi americani” di papa Francesco, a Cuba e negli Usa. In essi sono apparsi con particolare chiarezza i criteri di “continuità con il Vaticano II” che orienteranno la imminente assise sinodale. Proviamo a considerarne i principali:

  1. Il mistero della “famiglia” non sta fuori dalla storia, non è semplicemente deducibile da una “natura” o da un “decreto” (divino o umano che sia), ma deve essere assunto, riconosciuto, favorito e difeso nel cuore stesso delle relazioni, personali e sociali. Per non farlo cadere nel relativismo, non può essere difeso in modo fondamentalistico. Non è “valore non negoziabile” ma cuore pulsante del “negozio di quartiere”! Il “negozio” diventa da “oggetto di negazione” a “soggetto di comprensione”.

Tempo fa, vivevamo in un contesto sociale in cui le affinità dellistituzione civile e del sacramento cristiano erano corpose e condivise: erano tra loro connesse e si sostenevano a vicenda. Ora non è più così. Per descrivere la situazione attuale sceglierei due immagini tipiche delle nostre società: da una parte, le note botteghe, piccoli negozi dei nostri quartieri, e dallaltra i grandi supermercati o centri commerciali…”.

  1. Per questa ragione, matrimonio e famiglia, in quanto “mistero di Dio che si rivela”, devono essere “oggetti di benedizione prima che di preoccupazione”. Lo stile ecclesiale deve imparare ancora meglio a compiere questo atto di riconoscimento e di lode, di fronte alla famiglia come “luogo di evangelizzazione”, che trascende ogni appartenenza e ogni convinzione:

Ogni persona che desideri formare in questo mondo una famiglia che insegni ai figli a gioire per ogni azione che si proponga di vincere il male una famiglia che mostri che lo Spirito è vivo e operante , troverà la gratitudine e la stima, a qualunque popolo, religione o regione appartenga”.

  1. Solo mutando l’ottica ecclesiale da negativa a positiva, da lamentela a lode, può mutare lo stile della “cura pastorale”. Una “alleanza” tra Chiesa e famiglia esige, oggi, un profondo ripensamento dello stile e del linguaggio con cui la chiesa “si muove” nei confronti della famiglia:

Un cristianesimo che si fa poco nella realtà e si spiega infinitamente nella formazione, sta in una sproporzione pericolosa. Direi in un vero e proprio circolo vizioso”.

  1. Questo mutamento produce una forma diversa di “cura”, che evita la “alleanza” perversa tra approccio fondamentalistico e cultura dello “scarto”.

Dobbiamo condannare i nostri giovani per essere cresciuti in questa società? Dobbiamo scomunicarli perché vivono in questo mondo? Essi devono sentirsi dire dai loro pastori frasi come: una volta era meglio; il mondo è un disastro e, se continua così, non sappiamo dove andremo a finire? Questo mi suona come un tango argentino!”

  1. Per questo, alla “riforma del processo per la nullità”, dovrà seguire la “riforma dello stile pastorale”, che si comprometta direttamente con le vite dei soggetti, che faccia appassionare alla vita fedele, al legame e alla generazione. In una tale prospettiva, diventerà chiaro e semplice riconciliare ogni cammino:

Se saremo capaci di questo rigore degli affetti di Dio, usando infinita pazienza, e senza risentimento, verso i solchi storti in cui dobbiamo seminarli perché davvero dobbiamo tante volte seminare in solchi storti anche una donna samaritana con cinque non-mariti si scoprirà capace di testimonianza. E per un giovane ricco che sente tristemente di doversi pensare ancora con calma, ci sarà un maturo pubblicano che si precipiterà giù dallalbero e si farà in quattro per i poveri ai quali fino a quel momento non aveva mai pensato”.

 

Nella luce di questa bella immagine evangelica si apre il cammino – anch’esso bisognoso di infinita pazienza e senza risentimento verso le difficoltà – con cui il Sinodo dei Vescovi dovrà rispondere alle “sfide” che la vita familiare lancia alla coscienza ecclesiale: alla Riforma del Codice dovrà seguire la Riforma degli stili pastorali, dei modi con cui la Chiesa sa riconoscere la comunione, sa condividerne il mistero e sa difenderne e rilanciarne la forza. E alla fine l’augurio da indirizzare al Sinodo suona così:

Dio conceda a tutti noi di essere profeti della gioia del Vangelo, del Vangelo della famiglia, dellamore della famiglia, essere profeti come discepoli del Signore, e ci conceda la grazia di essere degni di questa purezza di cuore che non si scandalizza del Vangelo”.

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