Da un Instrumentum Laboris a un altro: le costituzioni sinodali differite
La Relazione di Sintesi (=RS) della Prima Sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei vescovi apre un enorme “cantiere ecclesiale”, sul quale, almeno per un anno, si leggerà la scritta “lavori in corso”. Come era chiaro già al momento della scelta di una “duplice assemblea”, questo passaggio del 2023 ha avuto, come esito, la trasformazione del Vetus Instrumentum Laboris in un Novum Instrumentum Laboris. La produzione di decisioni, come era inevitabile, è stata rimandata al prossimo anno, dopo il confronto ecclesiale, che dal centro tornerà alla periferia e troverà nuovo slancio e nuove argomentazioni.
La organizzazione del testo della RS in tre parti e 20 capitoli offre un quadro amplissimo di materie intorno a cui, per lo più, si riconosce che occorre riflettere ancora. Lo “status quaestionis” elaborato in queste 20 caselle presenta sempre un andamento tripartito: convergenze, divergenze e proposte.
Non ci soni deliberazioni, ma ci sono alcuni orientamenti chiari: primo fra tutti lo stile della “conversazione nello Spirito”, che ha permesso di identificare con cura la complessità delle questioni e di articolarle in modo ampio. Il risultato di questo amplio confronto è un documento a sua volta preparatorio. Qui, evidentemente, la coerenza tra metodo e risultato chiederà, alla fase successiva, una metodo diverso per ottenere non “costatazioni”, ma “deliberazioni”.
Un sintomo di questo necessario passaggio sta proprio nella “duplicazione” dell’Istrumentum Laboris, che rischia di ripetersi all’infinito. Certo, non è inutile una riorganizzazione dei temi nei 20 capitoli, con gli ascolti incrociati che si sono realizzati nelle sedute di preparazione. Ma è certo che lo stile del testo elaborato ha privilegiato la sintesi sapienziale alla dinamica profetica. Sia chiaro, il passaggio aveva una sua necessità intrinseca, poteva e doveva creare uno stile di confronto che, partendo dal basso, elaborava quadri interpretativi delle singole questioni, spesso eccessivamente dominati dal tema della “sinodalità”, che nel testo sembra talvolta la luce dalla quale ogni questioni può trovare soluzione. In realtà si tratta di una “forma ecclesiale”, che costituisce soltanto l’orizzonte, necessario ma non sufficiente, per entrare in modo corretto e propositivo nelle dinamiche storiche e nel dialogo con le coscienze dei soggetti.
Ciò che sorprende, nel documento prodotto, è una singolare composizione tra “grazia della esperienza” e “lavoro di approfondimento”. La grazia è un tratto che accomuna tutte le risonanze scritte e orali dei sinodali implicati. Ma il loro lavoro ha prodotto, oltre che uno stile ecclesiale nuovo, testi di identificazione imponente di un nuovo lavoro necessario.
Il tenore argomentativo è molto pallido, quasi da “status quaestionis”: è come la istruzione della causa, ma il “respondeo dicendum” è sempre sistematicamente rinviato di 365 giorni. La tecnica ha le sue ragioni, ma deve fare immediatamente percepire che ogni stagione ha il suo stile. E che perciò questo stile dell’ascolto, che è iniziato nel 2021 e che è continuato nella prima Assemblea, dovrà essere integrato da nuove logiche (di confronto sulle argomentazioni e di elaborazione delle deliberazioni), senza le quali alla logica della costatazione non si sostituirà mai la logica della deliberazione.
Ade un primo esame, nessuno dei 20 capitoli sfugge a questa logica del differimento grazioso con supplemento di lavoro. Una analisi dettagliata, per ora prematura, può essere sostituito solo da piccoli sondaggi. Che dischiudono compiti urgenti e indifferibili, con la provvidenziale opportunità di una “data di scadenza” brevissima: ottobre 2024. Così, per paradosso, quello che non si è fatto in 60 anni, si potrà/dovrà recuperare in 11 mesi! Una grande profezia ecclesiale, messa alla prova dal tempo che si è fatto breve, quasi all’improvviso. La luce del Concilio Vaticano II dovrebbe farsi più brillante proprio in questo prossimo anno. Ecco un primo sguardo a queste dinamiche urgenti attraverso l’intero spettro dei temi affrontati.
a) Sinodalità in generale
Già sul primo punto, sulla nozione di sinodalità, le proposte (RS 1 p-q-r) indicano il necessario approfondimento a livello teologico, canonico e con la riforma dei codici di diritto canonico. Qui appare evidente come il regime argomentativo, anche sullo “stile sinodale”, non ha ancora acquisito una sua lineare chiarezza né teologica né canonica. Lo stesso vale per la relazione tra Tradizione e segni dei tempi, che appare come bloccata al 1963 ed esposta come questione e non come opportunità (RS 2, f): ciò che il Concilio Vaticano II aveva elaborato come risposta, ricompare qui ancora come una semplice domanda. Singolare appare poi il fatto che la sinodalità possa essere l’effetto di una comprensione unitaria della iniziazione cristiana (RS 3, g) o del significato teologico della Cresima (RS 3, i); lo stesso vale per la trattazione del tema dei poveri, dove tra le proposte brilla soprattutto la diffusione della “dottrina sociale” (RS 4, n). Vi è poi tutta la sezione del dialogo interreligioso e interconfessionale (RS 5-7): alla esigenza di nuovi linguaggi e paradigmi nel rapporto tra fede e cultura (RS 5, n), si unisce il compito di studio da parte di commissioni miste (teologiche, storiche e canoniche) tra tradizione orientale e occidentale (RS 6, j) e analogo approfondimento teologico, canonico e pastorale si chiede per la “ospitalità eucaristica (RS 7, i).
Come è evidente, il richiamo delle questioni è abbastanza dettagliato, ma il ricorso alla argomentazione per rispondere è integralmente differito ad altra data.
b) I soggetti di una chiesa sinodale
Analogo andamento emerge dall’esame dei singoli soggetti della Chiesa sinodale. Anzitutto nella identificazione della Chiesa come “missione”, la domanda di approfondire in generale la relazione tra carismi e ministeri (RS 8, i) pone al lavoro del prossimo anno il compito arduo di una parola chiarificatrice e che orienti speditamente la Chiesa non solo a riconoscere le questioni, ma a risolverle. Lo stesso vale per il tema “donna”, su cui il resoconto delle posizioni circa il ruolo delle donna e sul suo accesso al ministero ordinato sembra restare ancora condizionato da una comprensione della tradizione come museo intoccabile e al tema del soggetto femminile ordinato come frutto di una “pericolosa confusione antropologica” (RS 9, j). Anche qui, la rinuncia alla argomentazione teologica e la presentazione sullo stesso piano delle diverse “posizioni” rimanda il compito al lavoro seguente, “se possibile” entro il prossimo anno (RS 9, n). Lo stesso vale per i religiosi e le religiose (RS 10), per diaconi e presbiteri (RS 11) per i Vescovi (RS 12) e per il papa e il collegio episcopale (RS 13): tutti vengono riletti in prospettiva sinodale, con richieste di revisione canonica e teologica di procedure importanti, come ad esempio la possibile obbligatorietà della nomina dei Consigli consultivi. Sul tema del “celibato” obbligatorio, in analogia con quanto detto sulla ordinazione della donna, la assenza di argomentazioni rimanda soltanto ad un approfondimento futuro, senza ulteriori specificazioni.
c) Lo stile di una chiesa sinodale
La terza parte, che ha per titolo “Tessere legami, costruire comunità”, inizia dalla questione della “formazione”, che si concentra sulla formazione dei ministri, con un ripensamento della Ratio fundamentalis indicato come dovuto e orientato alla sinodalità (RS 14). Segue poi il cap. 15, che appare il meno definito in tutto il testo e quasi un puro rimando ad un compito integralmente differito. Già il titolo “Discernimento ecclesiale e questioni aperte” dimostra l’imbarazzo verso il tema. Il suo contenuto si trova indicato in modo generico: “gli effetti antropologici delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, la non violenza e la legittima difesa, le problematiche relative al ministero, i temi connessi con la corporeità e la sessualità e altri ancora.” (RS 15,b). Qui si deve osservare una prospettiva diversa nel criterio di considerazione delle questioni, rispetto alle limpide parole del Vaticano II, che in GS 46 dice di procedere: “alla luce del Vangelo e della esperienza umana”. Il testo sinodale dice invece: “Per sviluppare un autentico discernimento ecclesiale in questi e altri ambiti, è necessario integrare, alla luce della Parola di Dio e del Magistero, una base informativa più ampia e una componente riflessiva più articolata. Per evitare di rifugiarsi nella comodità di formule convenzionali, va istruito un confronto con il punto di vista delle scienze umane e sociali, della riflessione filosofica e della elaborazione teologica.” (RS 15,c). La luce viene solo dalla Parola di Dio e dal Magistero, mentre i dati sono “base informativa”. Si capisce bene la esigenza, ma la formula conciliare è più avanzata di quella proposta (solo provvisoriamente) in questo testo. La espressione viene ripetuta anche nell’unica proposta, assai generica, che chiude il capitolo, dove si afferma: “Proponiamo di promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali,pastorali ed etiche che sono controverse, alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica e, valorizzando l’esperienza sinodale” (RS 15, k).
Anche gli ultimi numeri (RS 16-20), dedicati all’ascolto e all’ accompagnamento, al confronto con l’ambiente digitale, ai raggruppamenti di Chiese e al rapporto tra Sinodo dei Vescovi e Assemblea ecclesiale, presentano un profilo propositivo assai ridotto e un livello argomentativo estremamente timido.
d) Grazia donata e duro lavoro
Di fronte ad un testo di rielaborazione di uno “strumento di lavoro” in un altro “strumento di lavoro” si può restare perplessi. Il passaggio non è stato invano. Ma chiede ora un cambio di stile e una logica sinodale diversa. Da un lato, infatti, un cammino di riconoscimento reciproco, interno alla Chiesa, deve essere visto come un passaggio necessario, ma non sufficiente, se non approda ad un atto di riconoscimento delle realtà complesse, con le quali la Chiesa si trova a camminare. Una Chiesa che esce, per davvero, non può pensare che il mondo, così come si presenta, sia solo il frutto di una “moda passeggera”. Per questo all’approccio sapienziale, che ha dominato anche giustamente fino a qui, occorre aggiungere un tratto profetico, che dalla RS sembra semplicemente differito. Una profezia differita rischia di tener la Chiesa certo al coperto, ma anche al chiuso. D’altra parte per creare il consenso su punti delicati, ma decisivi, occorre offrire ragioni più forti, più profonde e più convincenti. La semplice elencazione di “posizioni diverse” non dà ragione delle argomentazioni su cui le posizioni riposano e sull’orizzonte ecclesiale e spirituale che le alimenta. Non avere l’istinto di controbattere è una virtù da maturare, che però degenere in vizio se l’orientamento comune viene paralizzato dal gioco delle opinioni diverse. La dinamica dello Spirito, con la sua libertà, crea lo spazio per nuove visioni complessive, capaci di integrare le identità e di mettere in moto nuove forme del riconoscimento. Ci sono cose nuove, ci sono “segni” che insegnano alla Chiesa nuovi linguaggi e nuove forme di annuncio. Il cammino verso una “narrazione dinamica” della Chiesa cattolica, riaperto solennemente dal Concilio Vaticano II, deve tradurre le proposte in costituzioni sinodali capaci di una sintesi nuova. Senza una mediazione teologica forte, questo sarà impossibile. Il lavoro di preparazione, che certamente è costato tanta fatica, chiede uno stile nuovo e un linguaggio deliberativo, che interpreti la tradizione, lasciando che la luce della Parola e quella della esperienza umana, in una nuova sintesi originale, permettano alla Chiesa di riconoscere il bene esistente e di dare nome al bene possibile, quando esce fuori di sé, come le chiede il suo Signore. Il cantiere di lavoro è aperto. E ha la data di scadenza. Questi sono forse i due elementi più importanti del testo appena approvato.