Del papato e dell’episcopato: interviene Severino Dianich


IL VESCOVO DI ROMA
«Pianta dei cippi, metti pali indicatori, sta’ bene attento
alla strada, alla via che hai percorso» (Geremia 31,21).
Molti pensano che il papa non sia un vescovo: i vescovi avrebbero la cura pastorale concreta e diretta delle comunità cristiane, il papa sarebbe solo il capo che governa la chiesa universale. E’ vero il contrario: il papa è papa solo in quanto è un vescovo, cioè il vescovo della chiesa di Roma. La chiesa, infatti, non è una realtà massicciamente unitaria, che poi si suddivide in tante provincie locali: è bensì un insieme di chiese locali che sono la chiesa di Cristo per la profonda comunione che le unisce fra di loro nell’unica fede.
Il ministero papale ha il suo fondamento nella figura di uno fra gli apostoli, Pietro, al quale Gesù ha consegnato il carisma di essere il garante dell’autenticità della fede e dell’unità della chiesa. Essendo stato l’apostolo Pietro il pastore della comunità cristiana di Roma, colui che viene nominato vescovo di Roma, eredita dall’apostolo Pietro anche il suo ministero verso la chiesa universale. Basti chiarire che l’espressione “il romano pontefice”, spesso usata per indicare il papa, vuol dire esattamente “il vescovo di Roma” e così sta scritto nel concilio Vaticano II: “Il romano pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (LG 23). Quando uno diventa papa, infatti, non viene consacrato con un particolare sacramento, cosa che avviene quando un cristiano diventa vescovo. Infatti l’ordinamento canonico prevede che, nel caso venga eletto uno che non è già vescovo (cosa possibile perché non solo i vescovi sono eleggibili al papato, né i cardinali devono necessariamente essere tutti vescovi), deve ricevere subito l’ordinazione episcopale e solo così può assumere il ministero papale.
Se un papa intende accentuare il fatto di essere il vescovo di Roma rispetto al suo ministero al suo compito di capo della chiesa universale, il suo ministero si arricchirà sempre di più della grazia della celebrazione dei sacramenti, della predicazione e della catechesi, del contatto con le comunità parrocchiali, più che svolgersi soprattutto sul piano della stesura di documenti, della firma di decreti, della elaborazione di ordinamenti canonici, di incontri di rappresentanza, di trattative diplomatiche. Inoltre la esaltazione del suo ministero di vescovo di una chiesa locale porta con sé la valorizzazione del ministero di tutti gli altri vescovi nelle loro chiese locali, con i quali egli condivide lo stesso ministero e lo stesso tipo di vita. La conseguenza è che molte responsabilità, che lungo la storia si è assunto il papa con la sua curia, possono ritornare alla loro sede naturale e originaria, che è quella dei vescovi: per ciascuno singolarmente nella sua chiesa e, per il collegio episcopale, nella guida delle comunità cristiane di una regione, di una nazione o anche di un continente intero. Sarebbe un ritorno, in forme che oggi, ovviamente, dovrebbero essere reinventate per risultare adeguate al nostro contesto, a quell’antica articolazione della chiesa e del ministero episcopale dei cinque patriarcati, con i loro sinodi episcopali per la guida di vasti raggruppamenti di comunità ecclesiali omogenee fra di loro per la loro storia e la loro cultura. Di tutto questo sembra che la chiesa di oggi senta il bisogno, perché sia esaltata in essa più l’opera della grazia di quella della legge e ogni comunità cristiana possa meglio impostare la sua missione fra gli uomini in mezzo ai quali essa vive.
 Severino Dianich
(fonte: www.vivailconcilio.it
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