Della vera e della falsa immunità: pratiche e teorie di lotta al virus


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Di fronte alla pandemia, a questo contagio quasi incontrollabile, le strategie di risposta sono “strategie di immunizzazione”. Diventare “immuni al virus” diventa un obiettivo da perseguire più o meno efficacemente. Non è inutile provare a considerare, sul piano del “senso comune” e senza alcuna competenza specifica sul piano del sapere medico, epidemiologico e virologico, come considerare queste strategie. Alcune distinzioni possono essere utili per capire meglio che cosa sta accadendo.

a) Pratiche di immunizzazione e teorie di immunizzazione

Questa prima distinzione è molto evidente: da un lato si combatte il virus assumendo una serie di “dispositivi di protezione”, che vanno dal lavare le mani alla scoperta di un vaccino efficace. E’ evidente che alcune di queste pratiche sono del tutto provvisorie – le mani si lavano più volte nella stessa giornata – mentre altre sono definitive. Il sogno del “vaccino” è precisamente la ricerca di una pratica di immunizzazione definitiva. Una volta per tutte la immunità sarebbe garantita, potenzialmente a tutti. Ma accanto alle “pratiche” ci sono le “teorie”. Sia quelle che mirano ad una “immunità” non individuale, ma collettiva (ad es. la cosiddetta “immunità di gregge”) ovvero le teorie che negano la pericolosità del virus o addirittura l’esistenza stessa del virus. Fino alle “teorie del complotto”, che si immunizzano dal virus spostandone la questione sul piano di una narrazione diversa, politica, economica, sociologica, ecologica…

b) Immunità reale e immunità formale

La pratica di immunizzazione conosce, come ormai sappiamo bene quasi a memoria, tre livelli: mani, bocca/naso, distanza. Il contagio si tiene lontano alterando il “tatto”. Anzitutto le mani – con o senza guanti – ma che sempre devono essere “sanificate”. Il virus ci “tocca” attraverso l’organo con cui “tocchiamo”. Poi bocca/naso, che hanno trovato a protezione – propria e altrui – la mascherina. Infine la distanza, o, meglio, il distanziamento, che garantisce, almeno in senso generale, la mancanza di tatto, di contatto e quindi di contagio. Tutti questi livelli di “immunizzazione provvisoria” devono essere considerati con attenzione. Se li assumiamo solo formalmente sono del tutto inutili. Facciamo il caso della mascherina. La mascherina non funziona se la tieni sotto il mento, al gomito, o in tasca. Devi tenerla sul volto in modo che copra i due organi della espirazione e inspirazione: bocca e naso. Non serve a nulla una mascherina che copra solo la bocca e non anche il naso. E’ chiaro che si tratta di “attenzioni nuove”, che richiedono una grande cura e anche una certa pazienza. Ma la immunizzazione formale – ossia “portare la mascherina”, ma portarla in modo scorretto – non ha alcun valore.

c) Strategie di immunizzazione dalla realtà

Più radicale, e molto più rischiosa, è una strategia di immunizzazione più subdola e più radicale. Per “salvarmi” dal virus prendo congedo dalla realtà. Questo può avvenire in due modi, che sono agli antipodi:

– vi è chi “nega la pandemia”, nega il contagio, rivendica il primato della libertà, non sopporta alcuna normativa di restrizione nei comportamenti. Una traccia di ciò abbiamo visto anche apparire nel dibattito sulla dichiarazione di “stato di emergenza”. Negare che l’Italia stia vivendo anche oggi – non solo a marzo e aprile – una condizione di emergenza è stata una strategia di “immunizzazione dal virus” che ne nega (ormai) la incidenza. Anche giuristi di un certo prestigio si sono avventurati a negare la possibilità di definire questa condizione come “stato di emergenza”. Credo che sia stato saggio, anche sulla base delle dinamiche internazionali, non allentare la attenzione per tenere bassa la circolazione del virus.

– più insidioso è, invece, un altro modo di “immunizzarsi dal reale”. Che non è ideologico o di principio, ma pratico e di opportunità. Non neghi nessuno dei vincoli stabiliti dalle istituzioni, ma non li rispetti nel loro spirito. Porti sempre la mascherina, ma non è mai al punto giusto. Tieni le distanze quando non servono, e le accorci all’inverosimile quando invece sarebbero utili non solo a te. Questo svuotamento delle pratiche di immunizzazione è un modo di alimentare una “indifferenza” che rischia di essere pagata a caro prezzo, e magari non da noi.

Nella complessa pratica della immunizzazione dal virus abbiamo scoperto quanto è facile, per i filosofi e per i teologi, come per tutti gli uomini e le donne, perdere il confine tra “immunizzazione dal contagio” e “immunizzazione dal reale”. Per conseguire la vera immunità dobbiamo superare le “false immunità”, che ci vengono e da teorie senza equilibrio, e da pratiche senza vero respiro. Trovare la via per “essere immuni” rispetto al virus esige di lasciare la via mediante la quale siamo maestri nel restare immuni dalla vita: o perché pensiamo di averla già pensata prima ancora di averla vissuta, o perché pensiamo di poterla vivere solo a patto di non doverla pensare.

 

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