Diaconato femminile e sinodo: questione di autorità o di anatomia?


La tradizione ha elaborato una “teoria del sesso femminile” per fondare la risposta sui requisiti soggettivi necessari alla ordinazione. Il fenomeno, teologicamente parlando, non è molto antico. Salvo alcune espressioni, che si possono trovare qua e là nella Scrittura, nei Padri, nella tradizione giuridica, sinodale e papale, almeno fino al XII secolo non emerge una vera teorizzazione del “soggetto da ordinare”. Non è difficile osservare che l’apparire del tema sta all’interno dell’affinarsi della definizione non in positivo, ma in negativo.

a) Impedimenti o sostanza?

Prevalentemente, ma non esclusivamente, la via non è quella dei “requisiti”, ma quella degli “impedimenti”. Del soggetto da ordinare non si parla per ciò che deve avere, ma per ciò che non deve avere. E’ interessante notare che non vi è traccia di tutto questo nelle Sentenze di Pietro Lombardo. Per il grande maestro parigino le questioni che minacciano la ordinazione riguardano soltanto o la “simonia” o l’età. Nella grande catena che discende dai Commentari alle Sentenze, neppure in Alberto Magno abbiamo uno sviluppo degli impedimenti che comprenda, strutturalmente, il “sesso femminile”. Nel suo allievo diretto, Tommaso d’Aquino, troviamo invece un “sistema complessivo” di impedimenti. Impedimento è quella circostanza che rende inefficace (o invalida) la ordinazione. Tutti possono essere ordinati, salvo coloro che hanno un “impedimento di autorità”. L’elenco degli impedimenti è illuminante, perché mostra come per Tommaso ogni battezzato possa essere ordinato, salvo i casi in cui il soggetto sia impedito o dal “sesso femminile”, o dalla “incapacità o minore età”, o dalla “schiavitù”, o dalla “condizione di figlio naturale” o dalla “disabilità”. Questa soluzione ha due vantaggi: non solo articola in diverse dimensioni l’ostacolo alla ordinazione, ma anche lo interpreta in modo lineare come una “mancanza di autorità”. Tutti questi 6 impedimenti sono “condizioni di minorità”. La menomazione può derivare dalla sorte, dalla età, dal contratto o dalla natura. Non possono diventare “ministri di Cristo”, e quindi assumere una autorità, coloro che sono socialmente, fisicamente, contrattualmente o naturalmente privi di autorità. Ogni impedimento deve essere argomentato e così fa Tommaso. La tradizione medievale e moderna si fonda su questo modo di ragionare, influenzato in profondità dal magistero del Dottore angelico.

Già prima di Tommaso, tra i giuristi medievali, che pure hanno contribuito alla elaborazione del concetto di “impedimento” (soprattutto in ambito matrimoniale), si sviluppa un altro modo di pensare, che è capovolto. Tommaso pone come primo impedimento il “sesso femminile”, e lo identifica “necessitate sacramenti”, mentre tutti gli altri sono “necessitate praecepti”, sono cioè superabili con il possibile mutare della condizione dello schiavo, del figlio naturale o del minore. La donna è invece collocata in una concezione che la costringe ad una “incapacità naturale”, almeno per ciò che riguarda la “eminentia auctoritatis”. La soluzione opposta è quella che appare nei “decretisti” (come Uguccio o Roberto di Flamesbury) ed è quella di fare del sesso maschile parte della sostanza dell’ordine. Nasce l’espressione “sexus est de substantia ordinis” che sarà ripresa sul piano giuridico e che costituisce la base della soluzione che appare nel CJC del 1917. Questo modo di ragionare è capovolto rispetto a quello degli impedimenti: non si tratta di identificare il sesso femminile come impedimento, ma il sesso maschile come requisito sostanziale. Ciò che cambia, in modo significativo, soprattutto nelle riprese contemporanee, è il modo di argomentare: mentre l’impedimento deve essere sempre giustificato, la sostanza può essere semplicemente affermata o addirittura presupposta. Affermare che il sesso maschile è parte della sostanza del sacramento dell’ordine può restare una affermazione apodittica, e avere come semplice conseguenza “marginale” la esclusione della donna dalla ordinazione.

b) Argomentazione o asserzione?

Pur avendo il medesimo scopo, le due argomentazioni hanno generato due approcci diversi alla questione. La prima linea ha sviluppato diverse argomentazioni dell’impedimento. Mentre la seconda linea ha piuttosto fondato la affermazione della riserva maschile, senza ulteriore giustificazione. La prima linea promuova una ricerca teologica delle argomentazioni, mentre la seconda approda ad una teologia di autorità, in cui la affermazione si spiega o con se stessa o con un legame diretto con la “volontà di Cristo”. Un altro dato interessante è che nel dibattito degli ultimi 50 anni, anche nel magistero cattolico si è passati dal primo al secondo stile: mentre Inter Insigniores propone argomenti per giustificare l’impedimento, Ordinatio sacerdotalis si limita a ribadire la natura sostanziale del sesso maschile e ne trae la mancanza di potere della Chiesa su un elemento che è di sostanza non per il sacramento dell’ordine, ma per la ordinazione sacerdotale.

Un effetto di distorsione, di questi due tipi di argomentazione, riguarda il modo di interpretare il “sexus femininum”: per il filone dell’impedimentum sesso femminile è la forma più esplicita e più chiara di “mancanza di autorità”. Per il filone della sostanza, il sesso femminile è semplicemente la negazione del sesso maschile. Per questo motivo la prima soluzione può essere aperta ad una risignificazione, mentre la seconda è digitale e non esibisce vere ragioni: se non sei maschio, non vieni ordinato. La ragione ultima è qui la anatomia, mentre là è la autorità. Un ragionamento sulla autorità potrebbe essere sostituito da un atto di fede sulla anatomia. E la assimilazione potenziale del sesso maschile del ministro ordinato alla Immacolata Concezione o alla Assunzione, per grado di autorità, sembra produrre una distorsione non irrilevante del magistero.

c) Umiliate e offese?

Per concludere questo ragionamento, vorrei mostrare le potenzialità sorprendenti della impostazione tomista. Per Tommaso, infatti, la questione del “sesso femminile” è una questione di “mancanza di autorità pubblica”. La correlazione tra sesso femminile e mancanza di autorità non è né naturale né rivelata. E’ una ricostruzione culturale, autorevole per molti secoli, ma che è entrata in crisi nel XIX secolo e nel XX secolo ha realizzato uno dei tre “segni dei tempi” che Giovanni XXIII ha profeticamente riconosciuto nel 1963, con Pacem in Terris. Una donna che “in re publica interest” – che entra nella vita pubblica – è una novità decisiva per ripensare profondamente la tradizione. Di fronte a questa novità, che ha ormai 60 anni, la Chiesa si muove ancora in due modi. Da un lato può riprendere il ragionamento sugli impedimenti, così come Tommaso lo ha impostato, ma con contenuti nuovi: diverso è oggi il figlio naturale, diverso è oggi il disabile, scomparso è oggi lo schiavo, diversissima è la donna. E un Tommaso di 700 anni più giovane potrebbe aver scoperto che il sesso femminile non è affatto privo di gradus eminentiae in fatto di autorità. D’altro lato la Chiesa potrebbe restare sulla impostazione “sostanziale”, sulla pura affermazione del maschile, di cui il femminile è semplice negazione. Nel ripetere questo argomento, che di per sé si presta ad essere semplicemente affermato, senza alcuna argomentazione, quasi come un destino, la Chiesa non deve stupirsi che le donne, semplicemente negate, si sentano umiliate e offese. La violenza di alcune apparenti soluzioni sistematiche è pari alla indifferenza con cui vengono spensieratamente ripetute. E di questo i teologi, anziché tacere, dovrebbero preoccuparsi.

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