Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale


Dio-non-si-stanca-ultimo-libro-di-Stella-Morra_articleimagePubblico qui la mia prefazione al libro di Stella Morra, «Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale» (EDB 2015). Clicca qui per la traduzione francese. 

Questo libro, di cui per amicizia l’autrice mi ha chiesto una prefazione, mi sembra sia nato dall’incontro tra una ricerca e una proposta. Ricerca: quella che si identifica, credo, a Stella Morra stessa, fin dal momento, ora lontano nel tempo ma sempre nuovo anche oggi, in cui ha preso coscienza della fede cristiana ed è partita alla ricerca del suo senso e della sua pratica. Ricerca che ha richiesto allo stesso tempo impegno e riflessione, risultati e mediazione. Ricerca condotta, dunque,  non nella solitudine ma nel dialogo, nella discussione, nelle scelte e nei vincoli dell’esistenza. Nell’Azione Cattolica, negli spazi dell’Università, nelle istituzioni concrete della vita ecclesiale, nelle comunità parrocchiali e religiose, nelle amicizie. Questa ricerca incontra ora una proposta: quella di papa Francesco, riassunta e unificata nella parola «misericordia», da interpretare essa stessa nel quadro delle azioni e delle parole del papa, innanzi tutto in ciò che avrei l’audacia di definire un «manifesto», cioè il documento programmatico Evangelii Gaudium.

La ricerca di Stella Morra si rivolge a ciò che ella chiama la «forma», una parola ricca sia in estensione che in profondità e perciò assai difficile da definire: un insieme, il più possibile unificato, di convinzioni, di azioni, di sensibilità, di leggi, attraverso cui sia possibile vivere autenticamente il Vangelo. La diagnosi è che,  trascorso ormai mezzo secolo dal Vaticano II, non abbiamo ancora trovato la «forma» che ci possa permettere di avanzare più liberamente e speditamente. In effetti, la Chiesa, almeno in Occidente, è ancora abitata da una forma – certamente venerabile e che ha portato i suoi frutti – ma non adatta alla congiuntura presente. Questa forma plurisecolare può essere indicata con nomi diversi: «gregoriana», se ci si riferisce al papa Gregorio VII che l’ha messa in moto nell’XI secolo; «scolastica», se la si considera contemporanea all’Europa delle cattedrali; «tridentina», se si pensa alla maniera in cui il Concilio di Trento è stato applicato nella Chiesa dell’Occidente moderno; «romana», se si prende coscienza della forza di determinazione dei papi contemporanei, soprattutto i papi Pio (IX, X, XI, XII) nel definirla e mantenerla. Ora, non si tratterebbe oggi di «riformare» per l’ennesima volta questo insieme (riferendosi ad una purificazione attraverso un ritorno ad un passato valutato come ideale), ma di «ag-giornare», forse ancor più di «dare alla luce del giorno» una forma nuova.

Imprevedibilmente la lettura di questo libro di Stella Morra mi ha fatto tornare alla mente la figura emblematica di Pio XII e mi ha, d’altro lato, ricordato la riflessione di Claude Lévi-Strauss sul bricolage culturale. Di queste due suggestioni vorrei scrivere qui.

La «forma» classica dell’esistenza ecclesiale, di cui Stella Morra offre diverse analisi, è in effetti stata resa visibile in Pio XII in maniera pressoché perfetta. Romano di nascita, di appartenenza, di formazione e soprattutto di convinzione; tra i principali redattori del Codice di Diritto Canonico del 1917, legge perenne della società perfetta che è la Chiesa; diplomatico che ha rappresentato e difeso nelle politiche degli uomini il diritto e il primato della Chiesa romana; preoccupato di fondare la sua azione sulla verità cattolica stabilita e difesa dal magistero romano e insegnata, in particolare, all’Università Gregoriana dal padre Ledochovski, neotomista e suareziano ; rispettoso delle persone, ma istintivamente oppositore non solo delle eresie di sempre, ma anche alle pericolose aperture del pensiero moderno; pontefice molto pio che ha pregato e celebrato la santa messa per i vivi e i morti del mondo intero. Tutti questi aspetti e altri simili hanno fatto di lui fino alla morte l’icona della «forma» secolare del cattolicesimo. Per i romani anziani che l’hanno conosciuto, era e resta nella memoria «il Papa», di cui nessun successore avrebbe mai potuto ripresentare la grandezza.

E tuttavia, questo papa, che si pensava responsabile ultimo del genere umano in un secolo di sangue e orrore (penso all’enciclica Humani generis), ha paradossalmente aperto delle brecce nella forma romana che lui aveva portato alla sua perfezione, introducendo altri paradigmi: verso una Chiesa popolo di Dio e comunione, con l’enciclica Mystici corporis Christi ; verso un primato fondatore del simbolico come espressione e azione della fede e della vita cristiana, con l’enciclica Mediator Dei sulla liturgia; verso l’introduzione della conoscenza storica nella lettura e nell’interpretazione della Sacra Scrittura, con l’enciclica Divino afflante Spiritu. Ma anche nella direzione di un giudizio positivo sulla democrazia, con il messaggio di Natale del 1942, e verso un’apertura senza frontiere a tutti gli spazi della ricerca e della pratica umane, attraverso innumerevoli discorsi indirizzati ad ogni tipo di congressi e incontri e pronunciati con una sorta di convinzione vissuta della possibilità di un accordo tra la ragione contemporanea e l’Evangelo.

Ho scritto volutamente: «brecce»; tutto questo insieme infatti era ancora totalmente sotto il segno dello «stile» romano, ma era anche, senza saperlo, gravido di un’altra pratica, di un’altra sensibilità, di un’altra visione del Vangelo nella storia e nel mondo, – in definitiva di un’altra «forma».

Il Concilio Vaticano II ha raccolto gli elementi di questa forma nuova, senza premeditazione, ma spinto da una sorta di logica esistenziale, senza tuttavia essere in grado ancora di dare alla forma tutta la sua pregnanza. Non è che non si sia provato a farlo: il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Codice di Diritto Canonico del 1983 sono stati esattamente parte di questi tentativi del magistero cattolico; si potrebbero allo stesso modo elencare i titoli di di qualche grande opera teologica e i nomi di autori conosciuti; c’è inoltre la dinamica vitale delle diocesi, delle parrocchie, dei movimenti e delle iniziative nella Chiesa cattolica; e c’è soprattutto forse lo sforzo di riconoscere – e anche di possibili collaborazioni con – tutto ciò che non è Chiesa cattolica in vista di una Speranza comune. La domanda di questo libro sarà dunque allora: è possibile oggi discernere di questa «forma» desiderata contorni più precisi al tempo stesso esistenziali, dinamici, performativi e pure intelligenti ? Stella Morra pensa di si e ci propone di farlo considerando le risorse vive della parola «misericordia», così come la propone infaticabilmente papa Francesco nell’atmosfera profetica del suo modo di agire e nelle linee di forza dell’Evangelii Gaudium. Questo libro ci invita a condividere la ricerca e l’incontro allo scopo di adattare la «forma» giusta nella Chiesa e nel mondo contemporanei.

Ed è a proposito di questo che, per concludere, vorrei riprendere il tema del bricolage utilizzato da Lévi-Strauss per qualificare le culture umane: da una parte, ci si trova sempre in presenza di elementi intellettuali, affettivi, istituzionali, che nel tempo si sono costituiti in sistema e hanno funzionato più o meno bene; ma d’altra parte ci sono tentativi, pratiche, costruzioni nati più recentemente e che vogliono trovare un posto. Allora si accomoda qualcosa che, provvisoriamente, può aiutarci a tenere la strada. Con questa idea di bricolage, si evita di perseguire la chimera di una forma che si immagina operatoria e definitiva, di una coerenza senza alcun cedimento, e si accetta ciò che Roger Schutz chiamava la «dinamica del provvisorio». Si evita anche il pericolo di perdere i valori sperimentati della forma precedente; insomma, si resta realisti. Per ciò che concerne in questa prospettiva la «forma cristiana», la riuscita di questo bricolage sarà essenzialmente conseguita se gli elementi del presente (nel nostro caso Vaticano II nella congiuntura del millennio che viene) saranno veramente e non superficialmente determinanti nell’operazione, nella sensibilità e nell’azione della Chiesa – direi : «se saranno essi, e non più la forma classica, che daranno il ‘la’ alla sinfonia umana». E’ esattamente qui che la proposta di papa Francesco è, per Stella Morra, una tappa decisiva da ricevere e da mettere in pratica. Seguiamola in questo progetto.

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Traduzione francese

Il me semble que le présent livre, pour lequel l’amitié de son auteure m’a demandé une préface, est né de la rencontre entre une recherche et une proposition. Recherche : celle qui s’identifie, je crois, à Stella Morra elle-même depuis le moment, maintenant lointain dans le temps mais toujours neuf aujourd’hui, où elle a pris conscience de la foi chrétienne et est partie à la recherche de son sens et de sa pratique. Recherche qui a impliqué en même temps engagement et réflexion, performance et méditation. Recherche donc menée, non dans la solitude, mais dans le dialogue, la discussion, les options et les contraintes existentielles. Dans l’Action catholique, dans les espaces de l’Université, dans les institutions concrètes de la vie ecclésiale, communautés paroissiales et religieuses, dans les amitiés. Or cette recherche vient de rencontrer une Proposition : celle du Pape François, résumée, rassemblée dans le mot « miséricorde », à interpréter lui-même dans le cadre des actions et des paroles du Pape, avec au premier chef ce que j’aurais l’audace d’appeler un « manifeste », je veux dire le document programme Evangelii gaudium.

La recherche de Stella Morra porte sur ce qu’elle appelle la « forme », un mot riche à la fois en extension et en profondeur et par là même difficile à définir : un ensemble, le plus possible unifié, de convictions, de performances, de sensibilités, de lois, moyennant lequel il soit possible de vivre authentiquement l’Evangile. Le diagnostic est que, un demi-siècle maintenant après Vatican II, nous n’avons pas encore trouvé la « forme » qui nous permettrait d’aller plus franchement de l’avant. En effet, l’Eglise, au moins en Occident, est encore habitée par une forme, vénérable certes et qui a porté ses fruits, mais inadaptée à la conjoncture présente. Cette forme multiséculaire peut être désignée par plusieurs noms : « grégorienne »,  – si on se réfère au Pape Grégoire VII qui l’a impulsée au XIe siècle ; « scolastique », – si on lavoit contemporaine de l’Europe des cathédrales ; « tridentine », – si on pense à la manière dont le Concile de Trente a été mis en œuvre dans l’Eglise de l’Occident  moderne ; « romaine », si on prend conscience de la détermination des papes contemporains, surtout les papes Pie (IX, X, XI et XII) à la définir et à la maintenir. Or, il ne s’agirait pas aujourd’hui de « réformer » une fois de plus cet ensemble (mot qui implique purification par retour à un passé jugé idéal), mais de mettre à jour, davantage peut-être de « donner jour » à une forme neuve.

Curieusement, la lecture de ce livre de Stella Morra a fait ressurgir en moi la figure emblématique du Pape Pie XII et m’a d’autre part rappelé la réflexion de Claude Lévi-Strauss sur le bricolage culturel. C’est ce que je voudrais dire ici.

La « forme » classique de l’existence ecclésiale, dont Stella Morra donne plusieurs analyses, est en effet apparue en Pie XII de manière presque parfaite. Romain par naissance,appartenance, formation et surtout conviction ; rédacteur, parmi les principaux, du Code de droit canonique de 1917, loi pérenne de la société parfaite qu’est l’Eglise ; diplomate représentant et défendant dans les politiques humaines le droit et la primauté de l’Eglise romaine ; soucieux d’appuyer son action sur la vérité catholique établie et défendue par le magistère romain et enseignée, en particulier, à l’Université grégorienne du Père Ledochovski, néothomiste et suarézienne ; respectueux des personnes, mais spontanément opposé, non seulement aux hérésies de toujours, mais aux ouvertures dangereuses de la pensée moderne ; pontife très pieux priant et célébrant la sainte messe pour les vivants et pour les morts du monde entier, – tous ces aspects et d’autres semblables ont fait de lui jusqu’à sa mort l’icône_ de la « forme » séculaire du catholicisme. Pour les vieux romains qui l’ont connus, il était et il demeure dans leur mémoire « il Papa », dont aucun successeur ne pourrait retrouver la grandeur.

Et pourtant, ce Pape, qui  se pensait responsable ultime du genre humain dans un siècle de fer (je pense à l’encyclique Humani generis), a paradoxalement ouvert des brèches dans la forme romaine qu’il avait poussée à sa perfection, en y introduisant lui-même d’autres paradigmes : vers une Eglise peuple de Dieu et communion, avec l’encyclique Mystici corporis Christi ; vers un primat fondateur du symbolique comme expression et action de la foi et de la vie chrétiennes, avec l’encyclique Mediator Dei sur la Liturgie ; vers l’introduction de la  connaissance historique dans la lecture et l’interprétation de l’Ecriture sainte,  avec l’encyclique Divino afflante spiritu. Mais aussi, vers une appréciation positive de la démocratie, avec le message de Noël 1942, et vers une ouverture sans frontières à tous les espaces de la recherche et de la pratique humaines, moyennant d’innombrables discours adressés à toute sortes de congrès et de rencontres et prononcés avec une sorte de conviction vécue de la possibilité d’un accord entre la raison contemporaine et l’Evangile.

J’ai bien écrit : « brèches vers » : tout cet ensemble était encore bien marqué par le « style » romain, mais il était, sans le savoir, gros d’une autre pratique, autre sensibilité, autre vision de l’Evangile dans l’histoire et dans le monde, – finalement, d’une autre « forme ».

Les éléments de cette forme neuve, le Concile Vatican II les avait rassemblés, sans préméditation mais poussé par une sorte de logique existentielle, sans pourtant pouvoir encore donner à la forme sa prégnance. Ce n’est pas qu’on n’ait pas essayé : le Catéchisme de  l’Eglise catholique, le Code de droit canonique de 1983  sont justement de ces essais du magistère catholique ; mais on pourrait aussi aligner le titre de quelques grands livres majeurs et les noms de théologiens reconnus ; il y a aussi la dynamique des diocèses, des paroisses, des mouvements et entreprises dans l’Eglise catholique ; il y a surtout peut-être l’essai de reconnaissance, voire de possibles collaborations avec tout ce qui n’est pas Eglise catholique en vue d’une Espérance commune.  La question de ce livre serait alors : est-il possible de discerner aujourd’hui des contours plus précis à la « forme » désirée, à la fois existentiels, dynamiques, performants mais aussi intelligents ? Stella Morra le pense et nous propose de le faire en considérant les ressources vives de la parole « miséricorde », telle que la propose infatigablement le pape François dans l’atmosphère prophétique de sa manière d’être et dans les lignes de force de Evangelii gaudium. Son livre nous invite à partager la recherche et la rencontre en vue d’acclimater la « forme » juste dans l’Eglise et le monde d’aujourd’hui.

C’est ici que, pour conclure, j‘aimerais ramener le thème du « bricolage » utilisé par Lévi-Strauss pour qualifier les cultures humaines : d’un côté, on se trouve toujours en présence des éléments intellectuels, affectifs, institutionnels, qui jadis se sont constitués en système et ont plus ou moins bien fonctionné, mais de l’autre il y a des tentatives, des pratiques, des constructions nées plus récemment et qui veulent se faire leur place. Alors se bricole quelque chose qui, provisoirement, peut tenir la route. Avec cette idée de bricolage, on évite de poursuivre la chimère d’une forme enfin opératoire et définitive, d’une cohérence sans faille aucune, et on accepte ce que Roger Schutz appelait la « dynamique du provisoire ». On évite aussi le danger de perdre les valeurs éprouvées de la forme antérieure ; en somme, on reste réaliste. En ce qui concerne dans cette perspective la « forme chrétienne », la réussite de ce « bricolage » serait essentiellement acquise si les éléments du présent (ici Vatican II dans la conjoncture du millénaire qui advient) étaient vraiment et non superficiellement déterminants dans l’opération, la sensibilité et l’action de l’Eglise, – je dirais : « si c’était eux, et non plus la forme classique, qui donnent le ‘la’ de la symphonie humaine ». C’est ici que la Proposition du Pape François est, pour Stella Morra, une étape décisive à recevoir et à mettre en oeuvre. Suivons-la dans ce projet.

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