“Dobbiamo pregare anche con il corpo”. Una catechesi di Francesco (03.02.2021)
Nella catechesi di ieri mattina (che riprendo integralmente qui sotto), papa Francesco ha toccato uno dei punti decisivi del rinnovamente ecclesiale voluto dal Concilio Vaticano II: la preghiera liturgica. La uscita da uno “stile intimistico” della preghiera costituisce una delle risorse fondamentali per il rinnovamento dello Chiesa. Esso trova in tre concetti fondamentali il suo aggancio con la esperienza comune. Provo a metterli in luce in modo sintetico, quasi a introduzione del testo papale:
a) La liturgia è linguaggio di tutto il corpo, non solo della coscienza, dell’anima o del sentimento. Questa è la prima condizione, che invita ad uscire dagli stili intimistici della preghiera.
b) La liturgia è il fondamento di tutta la preghiera cristiana, poiché istituisce sia la relazione con Cristo sia quella con la comunità.
c) La liturgia non può essere “ascoltata”, ma deve essere celebrata da tutta la comunità ecclesiale, mentre il presbitero o il vescovo la presiede. L’atto del celebrare è atto comune.
Queste tre semplici affermazioni, messe in fila, aprono ad una ricomprensione della riforma liturgica come lo strumento che rende possibile una vera riforma della Chiesa. Solo una recezione limpida di questa riforma permette alla Chiesa di esporsi al suo Signore e di “uscire da sé”. Riconoscere il cammino compiuto, negli ultimi 60 anni, significa anche evidenziare quanta strada deve ancora essere compiuta, per uscire dalla inerzia delle forme “intimistiche” e “individualistiche” del pregare ecclesiale.
Ecco il testo della Catechesi di ieri:
23. Pregare nella liturgia
Si è più volte registrata, nella storia della Chiesa, la tentazione di praticare un cristianesimo intimistico, che non riconosce ai riti liturgici pubblici la loro importanza spirituale. Spesso questa tendenza rivendicava la presunta maggiore purezza di una religiosità che non dipendesse dalle cerimonie esteriori, ritenute un peso inutile o dannoso. Al centro delle critiche finiva non una particolare forma rituale, o un determinato modo di celebrare, ma la liturgia stessa, la forma liturgica di pregare.
In effetti, si possono trovare nella Chiesa certe forme di spiritualità che non hanno saputo integrare adeguatamente il momento liturgico. Molti fedeli, pur partecipando assiduamente ai riti, specialmente alla Messa domenicale, hanno attinto alimento per la loro fede e la loro vita spirituale piuttosto da altre fonti, di tipo devozionale.
Negli ultimi decenni, molto si è camminato. La Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II rappresenta lo snodo di questo lungo tragitto. Essa ribadisce in maniera completa e organica l’importanza della divina liturgia per la vita dei cristiani, i quali trovano in essa quella mediazione oggettiva richiesta dal fatto che Gesù Cristo non è un’idea o un sentimento, ma una Persona vivente, e il suo Mistero un evento storico. La preghiera dei cristiani passa attraverso mediazioni concrete: la Sacra Scrittura, i Sacramenti, i riti liturgici, la comunità. Nella vita cristiana non si prescinde dalla sfera corporea e materiale, perché in Gesù Cristo essa è diventata via di salvezza. Potremmo dire che dobbiamo pregare anche con il corpo: il corpo entra nella preghiera.
Dunque, non esiste spiritualità cristiana che non sia radicata nella celebrazione dei santi misteri. Il Catechismo scrive: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega» (n. 2655). La liturgia, in sé stessa, non è solo preghiera spontanea, ma qualcosa di più e di più originario: è atto che fonda l’esperienza cristiana tutta intera e, perciò, anche la preghiera è evento, è accadimento, è presenza, è incontro. È un incontro con Cristo. Cristo si rende presente nello Spirito Santo attraverso i segni sacramentali: da qui deriva per noi cristiani la necessità di partecipare ai divini misteri. Un cristianesimo senza liturgia, io oserei dire che forse è un cristianesimo senza Cristo. Senza il Cristo totale. Perfino nel rito più spoglio, come quello che alcuni cristiani hanno celebrato e celebrano nei luoghi di prigionia, o nel nascondimento di una casa durante i tempi di persecuzione, Cristo si rende realmente presente e si dona ai suoi fedeli.
La liturgia, proprio per la sua dimensione oggettiva, chiede di essere celebrata con fervore, perché la grazia effusa nel rito non vada dispersa ma raggiunga il vissuto di ciascuno. Il Catechismo spiega molto bene e dice così: «La preghiera interiorizza e assimila la Liturgia durante e dopo la sua celebrazione» (ibid.). Molte preghiere cristiane non provengono dalla liturgia, ma tutte, se sono cristiane, presuppongono la liturgia, cioè la mediazione sacramentale di Gesù Cristo. Ogni volta che celebriamo un Battesimo, o consacriamo il pane e il vino nell’Eucaristia, o ungiamo con l’Olio santo il corpo di un malato, Cristo è qui! È Lui che agisce ed è presente come quando risanava le membra deboli di un infermo, o consegnava nell’Ultima Cena il suo testamento per la salvezza del mondo.
La preghiera del cristiano fa propria la presenza sacramentale di Gesù. Ciò che è esterno a noi diventa parte di noi: la liturgia lo esprime perfino con il gesto così naturale del mangiare. La Messa non può essere solo “ascoltata”: è anche un’espressione non giusta, “io vado ad ascoltare Messa”. La Messa non può essere solo ascoltata, come se noi fossimo solo spettatori di qualcosa che scivola via senza coinvolgerci. La Messa è sempre celebrata, e non solo dal sacerdote che la presiede, ma da tutti i cristiani che la vivono. E il centro è Cristo! Tutti noi, nella diversità dei doni e dei ministeri, tutti ci uniamo alla sua azione, perché è Lui, Cristo, il Protagonista della liturgia.
Quando i primi cristiani iniziarono a vivere il loro culto, lo fecero attualizzando i gesti e le parole di Gesù, con la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché la loro vita, raggiunta da quella grazia, diventasse sacrificio spirituale offerto a Dio. Questo approccio fu una vera “rivoluzione”. Scrive San Paolo nella Lettera ai Romani: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (12,1). La vita è chiamata a diventare culto a Dio, ma questo non può avvenire senza la preghiera, specialmente la preghiera liturgica. Questo pensiero ci aiuti tutti quando si va a Messa: vado a pregare in comunità, vado a pregare con Cristo che è presente. Quando andiamo alla celebrazione di un Battesimo, per esempio, è Cristo lì, presente, che battezza. “Ma, Padre, questa è un’idea, un modo di dire”: no, non è un modo di dire. Cristo è presente e nella liturgia tu preghi con Cristo che è accanto a te.
Sì solo tornando sempre più al discernere concreto, divino e umano, di Gesù troviamo la via che scioglie i nodi, apre le strade.
https://gpcentofanti.altervista.org/i-concili-il-vino-vecchio-e-quello-nuovo/
Sì, certamente, si prega anche con il corpo, però nel precedente Rito il sacerdote si genufletteva, baciava l’Altare, faceva continuamente gesti di rispetto e di Adorazione, la Comunione veniva ricevuta in ginocchio. Ora non più… Non c’è una contraddizione?
Caro Giovanni
La contraddizione è nel rito preconciliare, che pensa di far muovere il corpo del prete e solo del prete di fronte ad una assemblea muta, ferma e spettatrice. Il corpo in gioco è quello della Chiesa, non quello del prete.
Grazie per il chiarimento.