Donne e ordine: S. Tommaso d’Aquino nel magistero (/4), di Riccardo Saccenti
Donne e ordine. Note sull’uso di Tommaso d’Aquino nei documenti del magistero. 4: Aristotele «condotto per mano» dalla fede
di Riccardo Saccenti
A segnare la differenza fra le posizioni di Bonaventura e Tommaso sembra essere in gioco una diversa accezione di natura, con riferimento alla natura umana per come è coinvolta nel sacramento dell’ordine. Se il francescano, in una logica simbolica, fa della natura fisica dell’uomo il criterio dirimente, perché il genere maschile è immagine perfetta del Cristo e dunque segno significante ben più adeguato della donna, il domenicano invece suppone che la maggiore capacità dell’uomo di significare Cristo dipenda dalle conseguenze della natura “sociale” dell’uomo e dalle forme e prassi che questa determina, ossia dipenda dall’ordine delle relazioni che consegue dalla natura politica dell’essere umano che è fissata dalla filosofia morale aristotelica.
In questa direzione va un luogo della Prima pars della Summa theologiae in cui l’Aquinate, pochi anni dopo la stesura del Commento alle Sentenze, torna sulla questione della diversità di genere e del fondamento della subordinazione (subiectio) della donna all’uomo1. Qui Tommaso distingue fra la subordinazione propria del servo, che viene introdotta a seguito del peccato originale ed è caratterizzata dal fatto che il padrone utilizza colui che gli è soggetto per il proprio utile, e quella che invece ha a che fare con l’ordine della casa (ordo oeconomicus) e del consorzio civile (ordo civilis) e che si caratterizza per il fatto che colui che governa utilizza coloro che gli sono soggetti per l’utilità e il bene di loro stessi. Questa seconda tipologia di subordinazione esisteva anche prima della caduta perché è un tratto naturale del carattere politico e sociale dell’essere umano. Senza questa subordinazione, nota Tommaso, che pone i subordinati sotto il governo dei più sapienti, l’insieme degli esseri umani (humana multitudo) sarebbe privo del bene dell’ordine sociale e politico. È per questo motivo, legato al carattere naturalmente sociale dell’essere umano, che la donna è “per natura” soggetta all’uomo: non per ragioni fisiche ma per il modo in cui il consorzio sociale, espressione di un tratto qualificante della natura umana, si struttura in ordine (ordo), cioè in una gerarchia che attribuisce preminenza ad una parte sull’altra in ragione del conseguimento del bene di tutti, soprattutto di coloro che sono soggetti.
Nota l’Aquinate:
Vi è una duplice subordinazione. Una è quella di chi è servo, in ragione della quale colui che governa si serve di chi gli è soggetto per la propria utilità: e tale subordinazione è stata introdotta dopo il peccato. Vi è poi un’altra subordinazione legata alla amministrazione della casa e della comunità politica, in ragione della quale colui che governa si serve di coloro che sono soggetti in vista della loro utilità e del loro bene. E questa subordinazione esisteva anche prima del peccato: sarebbe infatti mancato alla moltitudine umana il bene dell’ordine, se alcuni non fossero stati governati da altri più sapienti. E così, è in conseguenza di tale subordinazione che la femmina è naturalmente subordinata al maschio: perché per natura nel maschio abbonda il discernimento della ragione2.
Il passo della Summa declina chiaramente il carattere della subordinazione “naturale” della donna all’uomo nei termini di un’espressione della socialità dell’essere umano e lo fa con un lessico che rimanda all’impianto filosofico aristotelico, nello specifico all’Etica Nicomachea. Coerentemente col metodo che impone al teologo di utilizzare la filosofia per conoscere le realtà create nella loro stessa natura e quindi poi poterle fare oggetto di una «ragione condotta per mano dalla fede» che nella creazione comprende più compiutamente (plenius) le cose che devono essere credute, Tommaso fa appello ad Aristotele già nel momento in cui spiega che la subordinazione legata al buon ordine e alla comunità politica esprime la natura sociale dell’essere umano.
Più in dettaglio, dalla frequentazione del testo dello Stagirita l’Aquinate matura l’idea che, per la moltitudine di esseri umani, l’esistenza del buon ordine che consente il bene soprattutto di coloro che sono governati, passi da una subordinazione che struttura sia le relazioni domestiche sia quelle che pertengono al consorzio politico. Tommaso dirà questo espressamente nel suo Commento all’Etica Nicomachea, che tuttavia data al secondo periodo parigino dell’Aquinate, fra il 1270 e il 1273, in una fase in cui la riflessione filosofica e teologica del domenicano si è ampiamente evoluta. Qui, egli osserverà:
Il bene proprio di ciascuna singola persona non può darsi senza “economia”, cioè senza la corretta amministrazione della casa, né senza la vita civile, cioè senza la corretta amministrazione dello stato, come neppure il bene della parte può darsi senza il bene del tutto3.
Gli aggettivi oeconomicus e civilis, usati nella Summa me, nel caso del secondo anche nel Commento alle Sentenze, rimandano al debito dottrinale che il teologo domenicano programmaticamente contrae con i saperi filosofici, i quali lo mettono in condizione di capire che cosa “natura” nel caso dell’essere umano, includendo in questa nozione la dimensione sociale.
Un riscontro ulteriore, cronologicamente vicino tanto al Commento alle Sentenze quanto alla Prima pars della Summa theologiae, viene dal Commento all’Etica Nicomachea di Alberto Magno, frutto di un corso (lectura) alla quale il giovane Tommaso, allievo proprio di Alberto presso lo studium domenicano di Colonia, aveva assistito negli anni appena precedenti il suo arrivo a Parigi nel 1251/2. È Alberto a spiegare come, nel testo aristotelico, la capacità di conoscere e perseguire il bene comune, che è una forma di prudenza, si articoli in due parti: «alcuni <beni> sono propri dell’economia, che consiste nell’amministrare con saggezza questi beni che riguardano la casa, e altri <beni> sono legati allo “stabilire delle leggi”, che è proprio di coloro che governano le comunità»4.
Dalla filosofia naturale e morale aristotelica viene anche l’osservazione secondo cui, per lo più, gli uomini risultano più inclini delle donne al discernimento operato dalla ragione. Sempre nel commento di Alberto all’Etica Nicomachea si legge che l’eccesso di materia “umida” nelle donne le espone più degli uomini ad essere condizionate dalle passioni, così che la complessione fisica costituisce non una causa necessitante ma uno stato di cose che favorisce una maggiore debolezza di carattere delle donne e dunque spiega perché, allorché la socialità umana si esplicita in un ordo, questo implica la subordinazione delle donne agli uomini. Spiega Alberto:
Nelle donne si loda in massimo grado la verecondia, perché in loro abbonda la componente umida, ragion per cui sono facilmente condizionabili dalle passioni ed è allora necessario per loro un freno alle passioni più turpi e bestiali5.
Nell’interpretazione che ne fornisce il maestro di Tommaso, Aristotele qualifica le donne come fortemente inclini all’incontinenza, non in senso assoluto, come se questo vizio fosse parte della loro natura, ma a motivo della debolezza della loro natura e della loro ragione. Osserva infatti:
Le donne non si dicono incontinenti in senso assoluto, perché sono piegate dalla debolezza della natura e da quella della ragione e sono condotte con le persuasioni di altri alle passioni piuttosto che condurre altri o loro stesse6.
Una ventina di anni dopo queste parole, Tommaso tornerà su quel luogo aristotelico per ribadire come la filosofia, ossia il sapere scientifico, restituisca una comprensione della donna che, se sul piano della realtà delle cose non evidenzia alcuna differenza con l’uomo perché la natura umana è una e unica, coglie invece una diversità legata al fatto che, per l’accidentalità delle complessioni fisiche, le donne sono per lo più maggiormente deboli rispetto all’uomo, circostanza che richiede una loro subordinazione a garanzia del loro stesso bene. Spiega Tommaso nel suo Commento all’Etica Nicomachea:
E pone l’esempio delle donne nelle quali, come nella maggior parte degli esseri umani, di poco eccelle la ragione, a motivo dell’imperfezione della natura corporale. E dunque, come nella maggior parte degli esseri umani, esse non guidano le loro passioni secondo ragione ma piuttosto sono guidate dalle loro passioni. Motivo per cui raramente si trovano donne sapienti e forti. E dunque <le donne> non possono dirsi continenti o incontinenti in senso assoluto7.
Questo retroterra filosofico è il suppositum del passo del Commento alle Sentenze relativo all’ordinazione delle donne e misura la peculiarità teologica di Tommaso rispetto, ad esempio, a Bonaventura, che invece si muove nei limiti di un assunto che fa della teologia e delle sue finalità il criterio selettivo di un ricorso ad altri saperi dai quali si intende trarre solo quanto necessario a meglio determinare il valore simbolico delle realtà create. Diversamente, Tommaso assume gli esiti del sapere filosofico, che spiegano le cose in ragione della loro stessa natura, e fa sì che questo sapere sia il terreno a cui si applica un’argomentazione teologica che intende penetrare la contemplazione delle cose divine. Portato sul caso specifico dell’ordinazione delle donne, questo metodo fa sì che Tommaso assuma dalla filosofia, che a metà del XIII secolo significa i contenuti del corpus aristotelico su cui si faceva lezione alla facoltà delle arti, sia ciò che riguarda la natura dell’essere umano come essenzialmente sociale sia la comprensione della diversificazione fra uomo e donna non in ragione di una diversa essentia ma a motivo della contingenza di attitudine determinata delle complessioni fisiche che, nella maggior parte dei casi (ut in pluribus), rendono le donne bisognose di tutela per il loro stesso bene. La gerarchia sociale, tanto nel governo della casa quanto in quello dello stato, è parte della naturale socievolezza dell’essere umano e dunque Tommaso la assume come un dato di fatto rispetto al quale il lumen fidei deve aiutare a spiegare come e perché i sacramenti, nel caso specifico quello dell’ordine, si determinino con le caratteristiche che hanno.
(segue – 4)
1Il testo della Summa theologiae viene citato dall’edizione S. Thomae de Aquino, Summa theologiae, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988.
2Thomas de Aquino, Summa theologiae Ia, q. 92, a. 1, ad 2um: «Dicendum quod duplex est subiectio. Una servilis, secundum quam praesidens utitur subiecto ad sui ipsius utilitatem: et tali subiectio introducta est post peccatum. Est autem alia subiectio oeconomica vel civilis, secundum quam praesidens utitur subiectis ad eorum utilitatem et bonum. Et ista subiectio fuisset etiam ante peccatum: defuisset enim bonum ordinis in humana multitudine, si quidam per alios sapientiores gubernati non fuissent. Et sic ex tali subiectione naturaliter femina subiecta est viro: quia naturaliter in homine magis abundat discretio rationis».
3Thomas de Aquino, Sententia libri Ethicorum VI, lectio 7, ed. Marietti, n. 1206: «Et dicit quod proprium bonum uniuscuiusque singularis personae non potest esse sine oeconomia, idest sine recta dispensatione domus, neque sine urbanitate, idest sine recta dispensatione civitatis; sicut nec bonum partis potest esse sine bono totius».
4Albertus Magnus, Super Ethica, ed. Kübel, p. 47165-67: «Quaedam sunt oeconomia, quae est dispensare prudenter de his quae ad domum pertinent, et quedam legispositiva, quae est regentium communitatem».
5Albertus Magnus, Super Ethica, p. 30222-26: «Et inde etiam est, quod in milieribus laudatur verecundia maxime, quia est in eis umidum adundans; unde sunt facile mobiles a passionibus, et ideo necessarium est eis retinaculum a passionirbus turpibus et bestialibus».
6Albertus Magnus, Super Ethica, p. 54547-51: «mulieres non dicuntur stimpliciter incontinentes, quia inclinantur mollitie naturae et defectu rationis et magis ducuntur persuasionibus aliorum ad passiones, quam inducant alios vel seipsas».
7Thomas de Aquino, Sententia libri Ethicorum VII, lect. 6, ed. Marietti, n. 1376: «Et ponit exemplum de mulieribus in quibus, ut in pluribus, modicum viget ratio propter imperfectionem corporalis naturae. Et ideo, ut in pluribus, non ducunt affectus suos secundum rationem, sed magis ab affectionibus suis ducuntur. Propter quod raro inveniuntur mulieres sapientes et fortes. Et ideo non simpliciter possunt dici continentes vel incontinentes».