Donne e ordine: S. Tommaso d’Aquino nel magistero (/5), di Riccardo Saccenti
Donne e ordine. Note sull’uso di Tommaso d’Aquino nei documenti del magistero. 5.: La societas fra uomo e donna: una tradizione ebraica
di Riccardo Saccenti
Tommaso richiama questa nozione “sociale” di subordinazione della donna nel secondo articolo della quaestio del Commento alle Sentenze che è al centro di queste note di studio. Qui l’Aquinate si chiede se la condizione di servo sia di impedimento all’assunzione del sacramento dell’ordine e nel corso della discussione si preoccupa di fissare la distinzione fra la subordinazione del servo e quella della donna che, come si è visto, espliciterà pochissimi anni dopo nella Summa theologiae per spiegare come la prima non dipenda dalla natura ma dal peccato, mentre invece la subordinazione della donna consegua dalle conseguenze della natura sociale dell’essere umano. La brevissima menzione della distinzione fra servo e donna nel Commento alle Sentenze è inserita per sviluppare un’argomentazione elencata nelle ragioni contrarie alla concessione dell’ordine a chi sia in una condizione servile a motivo del fatto che questo sacramento non è concesso alla donna, che pure è superiore al servo perché è data al marito come sua pari. Il testo recita:
Sembra che <la condizione di servo> rappresenti un impedimento quanto alla necessità del sacramento. Poiché la donna non può sostenere il sacramento a motivo della subordinazione, ma vi è una subordinazione maggiore nel servo, perché la donna è data all’uomo non come ancella, motivo per cui non è tratta dai piedi, allora anche il servo non si fa carico del sacramento1.
Il passo si riferisce al racconto biblico della creazione di Eva dalla costola di Adamo di Genesi 2, 21-23 e richiama il fatto che la stessa Scrittura sembra confermare la natura “sociale” della subordinazione della donna, escludendo che essa sia fondata sulla fisicità e sulle caratteristiche corporee. Un punto ribadito dal fatto che la donna viene presentata non come serva (ancilla).
A chiarire meglio l’uso di questo rimando biblico è ancora la quaestio 92 della Prima pars della Summa theologiae, dove l’Aquinate propone in maniera più estesa questa esegesi di Genesi 2, 21-23, nel quadro dello studio delle caratteristiche della creazione della donna. Vagliando il perché la Scrittura dica che Eva è stata creata dalla costola di Adamo, il dottore domenicano spiega che questo risponde alla necessità di significare due realtà diverse: da un lato, la natura della relazione fra uomo e donna e, dall’altro, il nesso fra Cristo e l’istituzione della chiesa. Spiega Tommaso:
Fu appropriato che la donna fosse formata dalla costola dell’uomo. In primo luogo, per significare che fra uomo e donna deve esservi un legame sociale. Infatti, né la donna deve “dominare sull’uomo” (I Tim 2, 12), e dunque non è formata dalla testa, né deve essere disprezzata dall’uomo, come se fosse soggetta al modo di una serva, e perciò non è formata dai piedi. In secondo luogo, a motivo del sacramento, perché dal costato del Cristo dormiente sulla croce sgorgarono i sacramenti, cioè il sangue e l’acqua, coi quali la chiesa è stata istituita2.
L’Aquinate usa qui in modo esteso l’interpretazione di Genesi 2, 21-23 secondo cui la creazione della donna dalla costola significa la condizione di eguaglianza, quanto alla natura, con l’uomo, ma anche la natura di un rapporto fra i due sessi che non si declina né nei termini della servitù né in quelli del dominio, ma piuttosto della condivisione della responsabilità coniugale. Tommaso, infatti, utilizza questa interpretazione in altri due passi del Commento alle Sentenze, nei quali essa è posta direttamente in relazione al consorzio matrimoniale: viene usta per spiegare la pari dignità di uomo e donna nella relazione che determina il matrimonio e che rende necessario il consenso reciproco che fa del matrimonio una societas3.
Una possibile fonte da cui l’Aquinate trae questa esegesi del racconto biblico della creazione della donna è lo stesso testo del Lombardo che sta commentando, che la richiama nella diciottesima distinzione del secondo libro, dedicata alla creazione della donna. Qui si legge:
Dato che per queste cause la donna fu creata dall’uomo, non da una parte qualsiasi dell’uomo, ma dal fianco di lui venne formata, affinché fosse mostrato perché veniva creata nell’unione d’amore: affinché non sembrasse, come nel caso in cui fosse stata creata dalla testa, che dovesse essere preferita all’uomo rispetto all’esercizio del dominio, o che, se fosse stata creata dai piedi, dovesse essere ridotta alla condizione servile. Poiché dunque era stata preparata per l’uomo non come signora né come ancella ma come compagna, non era stata creta né dalla testa né dai piedi ma dal fianco, perché l’uomo sapesse che era da porre al proprio fianco dal momento che egli avrebbe saputo che era stata tratta dal proprio fianco4.
Nonostante la presenza nelle Sentenze, tuttavia, questa specifica interpretazione della creazione della donna conosce una ricezione solo in alcuni degli autori più rilevanti del panorama teologico di lingua latina nei decenni precedenti l’Aquinate: non se ne serve, ad esempio, Bonaventura nel suo Commento alle Sentenze e ugualmente non se ne trova traccia nel commento al testo del Lombardo del maestro del futuro generale dell’ordine francescano, Odo Rigaldi. Una rapida e sommaria rassegna di testi, dei quali si offre in appendice a questa ricerca una trascrizione, fa risalire l’introduzione di questa esegesi nel medioevo latino a Ugo di San Vittore, che ne dà conto in un capitolo del De sacramentis christianae fidei, dove si legge:
Successivamente la donna venne creata come aiuto dello stesso uomo per la generazione. Poiché, se fosse stata fatta da altro, certamente non sarebbe stato uno solo il principio di tutti gli uomini. Tuttavia, fu creata dal fianco dell’uomo affinché fosse mostrato che era stata creata nella comunione d’amore e non sembrasse, come nel caso in cui fosse stata creata dalla testa, che dovesse essere preferita all’uomo rispetto all’esercizio del dominio, o che, se fosse stata creata dai piedi, dovesse essere ridotta alla condizione servile. Poiché dunque era stata preparata per l’uomo non come signora né come ancella ma come compagna, non era stata creta né dalla testa né dai piedi ma dal fianco, perché l’uomo sapesse che era da porre al proprio fianco dal momento che egli avrebbe saputo che era stata tratta dal proprio fianco5.
Il passo di Pietro Lombardo è modellato su quello del De sacramentis del Vittorino, che del resto è ben noto all’autore delle Sentenze che aveva frequentato proprio San Vittore per completare la sua formazione teologica e lì aveva iniziato la sua carriera di magister. A partire da questo passaggio parigino, fra l’ambiente vittorino e la scuola di Pietro Lombardo, questa interpretazione passa sia nella tradizione di lettura e commento delle Sentenze sia nell’esegesi biblica, secondo una modalità coerente col fatto che i quattro libri del magister sono il frutto di una produzione teologica e di un insegnamento imperniati sull’esegesi della Scrittura. Così, l’idea che la creazione dalla costola di Adamo significhi la condizione giuridica di socia della donna rispetto all’uomo, si ritrova nelle Sententiae del magister Bandino e in quelle di Gandolfo da Bologna così come nelle Glosse alle Sentenze dello Pseudo Pietro di Poitiers, che sedimentano il precipitato della ricezione del testo del Lombardo nei decenni finali del XII secolo. La si ritrova poi appena accennata nel Commento alle Sentenze di Ugo di Saint Cher, che data al 1233/5, e più ampiamente spiegata nelle annotazioni a margine delle Sentenze contenute nel manoscritto Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 691, riconducibili al francescano Giovanni de La Rochelle e databili fra il 1236 e il 12456. Lo stesso autore, che è fra i responsabili della stesura della Summa fratris Alexandri, riformula il principio nelle sue Quaestiones disputatae de legibus, dove la questione dell’origine della donna ritorna allorché si discute del matrimonio come istituto di diritto naturale che rende i coniugi comites generationis, formulazione che poi entra nella stessa Summa fratris Alexandri7.
Per quanto riguarda l’esegesi biblica, l’interpretazione della creazione della donna che rimonta a Ugo di San Vittore si ritrova nel Commento al Genesi di Stephen Langton, dove si legge:
La donna non è stata creata dalla testa o dai piedi ma dal fianco. In questo modo si vuol far capire che non deve essere signora né ancella ma compagna8.
In termini del tutto simili se ne trova menzione nelle Postille al Genesi di Ugo di Saint Cher, dove è detto:
La donna è stata però formata dalla costola dell’uomo, non dalla terra, affinché l’uomo l’amasse di più. Dalla metà poi, non dalla testa, non dal piede, affinché non fosse ritenuta né signora né in qualche modo soggetta, ma compagna9.
La fonte di questa interpretazione della creazione di Eva e dalla valenza simbolica della costola e del fianco dell’uomo quali segni di uno status di socia, viene ai magistri latini dal Talmud e in particolare dal midrash tratto dal Bereschit Rabba, dove si spiega in modo esteso e si discute questa lettura10.
Gli studi di Beryl Smalley avevano già fatto luce sullo stretto rapporto esistente, soprattutto nel XII secolo, fra esegesi latina e cristiana da un lato, ed esegesi ebraica e rabbinica dall’altro. L’attenzione dei teologi cristiani per questa fonte esegetica è diffusa ma ha certamente il suo centro di maggior rilievo proprio a San Vittore. Sia Ugo sia, nei decenni successivi, Andrea e Riccardo, mostrano una vasta conoscenza dell’esegesi ebraica e di quella che viene dalla tradizione talmudica in particolare, la quale diviene una delle principali fonti con cui confrontarsi nell’attività di studio e commento della Scrittura portata avanti nell’abbazia parigina. È attraverso questo canale, per il tramite specifico di Ugo di San Vittore, che l’esegesi rabbinica di Genesi 2, 21-23 entra nella letteratura teologica latina e contribuisce a sostenere l’idea di una sostanziale parità di dignità fra uomo e donna nel vincolo reciproco, la quale esclude tanto ogni forma di dominio e possesso quanto ogni forma di servitù. Essa introduce, piuttosto, la categoria giuridica della societas, fondata sul comune consenso che determina vincoli da entrambe le parti. È combinando questo dato esegetico di matrice rabbinica con l’elemento aristotelico della natura sociale dell’uomo, che si traduce nell’esigenza di stabilire un ordo gerarchico per il governo e della casa e del consorzio civile, che Tommaso d’Aquino introduce l’esigenza della subordinazione della donna come fatto proprio della “natura” umana che giustifica, a suo avviso, l’impossibilità per la donna di essere significatio rei nel sacramento dell’ordine.
(segue – 5)
1Thomas de Aquino, Super IV Sententiarum d. 25, q. 2, a. 2, qc. 1, arg. 4: «Videtur quod impediat quantum ad necessitatem sacramenti. Quia mulier non potest suscipere sacramentum ratione subiectionis. Sed maior subiectio est in servo; quia mulier non datur viro in ancillam, propter quod non est de pedibus sumpta. Ergo et servus sacramentum non suscipit».
2Thomas de Aquino, Summa theologiae Ia, q. 92, a. 3, sol., p. 446: «Conveniens fuit mulierem formari de costa viri. Primo quidem, ad significandum quod inter virum et mulierem debet esse socialis coniunctio. Neque enim mulier debet dominari in virum [I Tim. 2, 12]: et ideo non est formata de capite. Neque debet a viro despici, tanquam serviliter suiecta: et ideo non est formata da pedibus. Secundo, propter sacramentum: quia de latere Christi dormientis in cruce fluxerunt sacramenta, idest sanguis et aqua, quibus est Ecclesia instituta».
3Cfr. Thomas de Aquino, Super IV Sententiarum d. 15, q. 2, a. 5, qc. 1, arg. 1; d. 28, q. 1, a. 4, expos.
4Petrus Lombardus, Sententiae II, d. 18, c. 2, ed. Brady, vol. II, pp. 416-417: «Cum autem his de causis facta sit mulier de viro, non de qualibet parte corporis viri, sed de latere eius formata est, ut ostenderetur quia in consortium creabatur dilectionis: ne forte si fuisset de capite facta, viro ad dominationem videretur praeferenda; aut si de pedibus, ad servitutem subicienda. Quia igitur viro nec domina nec ancilla parabatur, sed socia, nec de capite nec de pedibus, sed de latere fuerat producenda, ut iuxta se ponendam cognosceret, quam de suo latere sumptam didicisset».
5Hugo de S. Victore, De sacramenti christianae fidei I, 3, 35 (PL 176, 284BC): «Postea vero in adiutorium generationis de ipso viro mulier facta est. Quoniam si aliunde fieret, unum profecto principium omnium hominum non esset. facta est autem de latere viri ut ostenderetur quod in consortium creabatur dilectionis, ne forte si fuisset nec ancilla parabatur sed socia; nec de capite, nec de pedibus, sed de latere fuerat producenda ut iuxta se ponendam cognosceret; quam de iuxta se sumpta didicisset».
6Cfr. Testi in appendice
7Cfr. Iohannes de Rupella, Quaestiones disputatae de legibus, ms. Assisi, Biblioteca Comunale 138, f. 219vb. Cfr. Summa fratris Alexandri III, ed. Quaracchi, vol. IV-B, pars. 2, inq. 2, q. 4, c. 1, a. 2, sol., p. 360.
8Stephanus Langton, Super Genesim 2, 22, ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 14414, f. 5vb: «Mulier non est facta de capite uel de pedibus, sed de latere. Per hoc datur intelligi quod non domina, non ancilla debet esse sed socia».
9Hugo de S. Caro, Postillae in Genesim 2, 22, ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 14417, f. 14va: «De costa uero uiri, non de terra, formata est mulier et ema uir plus diligeret. De medio autem non de capite, non de pede, ne domina uel omnino subiecta putetur, sed socia».
10Cfr. Commento alla Genesi (Bereshit Rabba), a cura di A. Ravenna, UTET, Torino 1978, p. 141.