Duka alza un dubbio e Mueller schiaccia, ma dal museo

Già all’epoca del Sinodo sulla famiglia, prima ancora che fosse scritto il testo di Amoris Laetitia (=AL), il card. Mueller appariva molto distratto. Guardava sempre indietro e quasi escludeva che potesse esserci un domani diverso. Sembrava solo “retro oculatus” e di questo si faceva quasi un titolo di orgoglio. Ma successivamente, dopo aver finito il suo servizio come Prefetto, è come se avesse totalmente cancellato dalla memoria non solo il duplice appuntamento Sinodale del 2014-2015, ma pure la esortazione apostolica come suo risultato.
Così ora sembra non sopportare che, sulla base di AL, si possano dare, da parte del nuovo Prefetto Fernàndez, risposte diverse da quelle che lui dà, ignorando il contenuto di AL e prendendo come “fine ultimo” il pontificato di Benedetto XVI: come se la Chiesa fosse finita con la sua rinuncia all’esercizio del ministero petrino.
Così, in 4 lunghe pagine (che si possono leggere qui), fitte di rimandi al magistero di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI, e ancor più del Concilio di Trento, prova a mostrare come il “responsum” prodotto dal Dicastero per la Dottrina della Fede non abbia alcuna credibilità, non essendo fondato sull’unico magistero possibile, ossia quello anteriore ad AL. E’ il solito giochino banale di chi non aggiorna la teologia con il magistero vivente, e pensa di poter pontificare sulla base delle sue convinzioni personali, che pretendono di fermare le lancette della storia, di non onorare i segni dei tempi e di scomunicare tutti quelli che non lo imitano.
Proviamo a smontare questo castello di carte, con cui Mueller sostiene la “rottura” della risposta del Dicastero per la dottrina della fede rispetto alla “tradizione”. Certo, se la tradizione è un museo che contiene soltanto i documenti fino al 2014, allora Mueller potrebbe vantare qualche ragione. Ma la tradizione vivente ha attraversato una duplice convocazione sinodale e ha elaborato AL, che permette alla dottrina un significativo progresso, anche se Mueller non sembra essersene accorto.
Per offrire a Mueller qualche elemento per un giudizio più equilibrato, in modo che possa orientarsi in questa “ala del museo” a lui del tutto sconosciuta, vorrei iniziare non da AL, ma dalla Assemblea sinodale, alla quale Mueller ha partecipato troppo distrattamente, e quasi con il sussiego della autosufficienza: in quella assemblea, ad un certo punto, si è alzato per parlare un Vescovo francese, che allora presiedeva la chiesa cattolica di Oran, in Algeria, e che fece un discorso formidabile: invitò a riflettere sulla categoria di “adulterio”, che la Chiesa utilizza in una accezione che spesso non ha più riscontro nella realtà. Passare da una nozione “permanente” ad una nozione “istantanea” di adulterio sembrava, a quel vescovo, un passaggio obbligato per interpretare al meglio la Scrittura e la Tradizione.
Questa acuta osservazione equivale, nel testo di AL (numero 303), ad un passaggio che è sfuggito totalmente al card. Mueller: ossia il superamento di un modo “meschino” di intendere la relazione tra “legge oggettiva” e “volontà di Dio”, come metro di giudizio del comportamento di un soggetto battezzato. La ostinazione a fare del “principio dello scandalo” la norma fondamentale in materia matrimoniale è il frutto di uno strabismo clericale, di cui Mueller non riesce a liberarsi.
Infine, la domanda centrale su cui Mueller pretende di rispondere a Duka suona così: possono essere “assolti” anche coniugi in seconda unione che non rinunciano, almeno nelle intenzioni, alle relazioni sessuali? Mueller non spende una sola riga per chiarire a Duka – come sarebbe bene, visto che è stato non solo professore di teologia, ma anche Prefetto – il grande equivoco che soggiace ad una domanda così strana. Anzi, a ben vedere il card. Mueller neppure si accorge che si tratta di una domanda assai strana: in effetti, perché mai, se due battezzati sono risposati civilmente, dovrebbero rinunciare alle relazioni sessuali tra loro per poter essere assolti? La domanda non aveva senso finché qualche ingenioso giurista, nel 1981, suggerì una “via di uscita” per l’accesso al sacramento della comunione per i divorziati risposati. Così in quel testo di Giovanni Paolo II (Familiaris consortio) entrò quella previsione di “astinenza dall’uso del matrimonio” (chiamata anche “vivere come fratello e sorella”), almeno come proposito, quale condizione per poter ricevere la assoluzione e poter accedere alla comunione. Questo era possibile sulla base della definizione del Codice di Diritto canonico del 1917, che faceva del matrimonio il “diritto sul corpo del coniuge”. Se questa era la definizione del matrimonio, allora era possibile ipotizzare che il secondo matrimonio, in assenza di rapporti sessuali, fosse un matrimonio nullo e pertanto permettesse l’accesso alla comunione.
Anche in questo caso Mueller mostra una memoria corta. Purtroppo la “condizione giuridica” di quella soluzione è durata solo due anni. Già dal 1983 il nuovo Codice non prevedeva più quella definizione di “diritto sul corpo del coniuge” e faceva del “bonum coniugum” un nuovo bene del matrimonio. Un nuovo mondo, già nel 1983, si apriva almeno formaliter alla considerazione dei teologi e dei pastori, anche se abbiamo dovuto aspettare 33 anni prima di dare, a questa nuova visione, un minimo di traduzione disciplinare, proprio grazie ad AL. Per questo la domanda di D. Duka viene dal museo ecclesiale e merita una risposta pensata dalla strada, dalla piazza e dalla casa di oggi, come ha fatto il nuovo Prefetto. Se Mueller risponde a sua volta ben chiuso nel museo, può vantare una coerenza ammirevole, può contestare ogni “teologia di strada”, ma solo perché gioca con finzioni giuridiche e astrazioni dogmatiche. L’assenso dell’intelletto e della volontà alla dottrina non si guadagna nella statica imperturbabilità di un museo, ma nella dinamica meravigliosamente complessa della vita effettiva. E questo non è rottura o contraddizione con la tradizione, ma sviluppo organico e discernimento saggio della tradizione stessa. Proprio perché non dice più quello che dicevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Francesco è con essi in continuità, dinamica e non statica. Alla saggezza mostrata dal responsum dell’attuale Prefetto corrisponde la miopia e l’amnesia (un tantino troppo arrogante) dell’ex Prefetto.