Elogio dell’inesemplare (/3): una teoria della violenza (di Marcello La Matina)


head_1-2021

La terza parte del testo di Marcello La Matina, che si concentra su una “teoria della violenza” che la identifica in una difficoltà classificatoria. (ag)

C – Teoria dell’Inesemplare

  1. Individui genuini ed esemplarità imperfetta

Vorrei provare a sviluppare in una direzione semio-filosofica questa piccola teoria della violenza come scaturente dal conflitto tra individui diversamente qualificati rispetto alla specie. La violenza sarebbe causata da qualche individuo che ritiene minacciata la propria rappresentatività (= esemplarità) di campione genuino o esemplare (nel senso di Nelson Goodman) di una specie.1 Questa esemplarità, comincio col dire, non si possiede sempre. In base all’uso comune, le cose, le persone, si “deteriorano”, vanno incontro ad una perdita delle loro marche. Ciò accade in qualche caso come una pura accidentalità: è allora una consunzione che accade nel tempo o nello spazio. Altre volte, invece, la perdita di esemplarità può, in altro senso, essere una condizione durevole: in questi casi è il sistema che de-figura quegli individui che non riesce a classificare senza entrare in crisi. In ambo i casi, secondo la mia teoria, la violenza scaturisce come conseguenza di una difficoltà classificatoria.

Va da sé che gli individui che vengono considerati deteriori non lo sono in senso assoluto, ma soltanto agli occhi di altri individui che li ritengono debolmente esemplari. In molte culture, ad esempio, agli individui Donna, sono bensì ritenuti partecipi della specie Uomo; e tuttavia vengono considerati alla stregua di esseri inferiori ai maschi. Parimenti, avviene in molti contesti cosali che i portatori di uno stigma sociale vengano ritenuti degli esemplari-imperfetti da coloro che io qui chiamerei gli esemplari-al-quadrato. Va detto che tanto l’imperfetta quanto la piena esemplarità sono ovviamente frutto di supposizioni e contrapposizioni sociali. Questa premessa ci aiuta a rispondere alla domanda di partenza sulla violenza. La violenza è quel dispositivo ontico-ontologico che fa sì che un individuo che si ritiene massimamente esemplare prevarichi su ogni altro individuo che può considerare imperfetto o degradato (occasionalmente o no). Talché, l’esercizio della violenza ha come condizione necessaria, ancorché non sufficiente, quei contesti “amebeici”2 in cui qualche individuo supposé-esemplare si trovi a interagire significativamente con un dato individuo supposé-degradato. Non è qui questione di contrapposizione tra classi o specie, ma di “intensità” o gradualità all’interno di una stessa specie. In altre parole, quel che appare scatenare la violenza non è la differenza specifica, ma l’indifferenza co-specifica, ossia data tra individui in qualche modo membri di una e sola specie. Se ciò è plausibile, occorre chiedersi ora: posto che il primo esemplifica la specie (ossia, pretende di essere un fair sample di questa), che cosa esemplificherà (di cosa sarà sample) il secondo? Cosa esemplifica “il vecchio”, “la donna”, “il malato” agli occhi di un uomo che si suppone massimamente esemplare di Uomo?

2.1

Secondo la nota definizione di “esemplare” (sample) data da Nelson Goodman, un campione, un sample è tale, se e solo se è un esempio genuino (fair sample) delle proprietà che possiede (letteralmente o no). Esemplificare (sampling) implica quindi il possesso di certi tratti e la possibilità per altri individui di fare riferimento a questi tratti nell’uso di un qualche linguaggio.3 Conseguentemente, si dirà che il campione (sample) possiede una data proprietà, se ne è un esempio genuino agli occhi di chiunque usi un linguaggio per fare riferimento ad esso. Ciò chiarito, una risposta ragionevole al quesito: “cosa è esemplificato da una dato malato, da una data donna, da un dato vecchio?” può essere la seguente: ognuno di questi individui è supposto non possedere ciò che al tempo t0 esemplifica: il vecchio non è ritenuto un uomo pieno e la donna neppure: quest’ultima ontologicamente, il vecchio onticamente. Sicché, l’individuo che esercita violenza contro il vecchio o la donna o il malato esercita la sua pressione in nome e per conto della specie che crede di rappresentare (e “difendere” dalla indifferenziazione). Ora, su cosa viene esercitata la violenza del primo? Rispondo così: L’individuo che esercita violenza sulla donna o sul vecchio o sul malato lo fa in quanto ritiene ciascuno di essi un esemplare affetto da faiblesse, un campione debole, che non può e, perciò non deve – a giudizio del violento – esemplificare le proprietà che non possiede. La violenza pare sanzionare l’inesemplarità.

2.2

Tuttavia, che tipo di individuo è il campione inesemplare? Potrei rispondere così: in primo luogo, lo direi un individuo non in grado di esemplificare le proprietà della specie cui appartiene: il vecchio sta all’uomo come la donna sta all’uomo; ontico e ontologico appaiono al violento dei casi di degrado. (In un altro senso, si potrebbe dire che il campione debole sia l’individuo supposto sacrificabile. Può, in tal senso, la violenza essere considerata una forma degradata di sacertà? Questa domanda richiede una analisi apposita, che qui non faremo). In secondo luogo, il malato, il vecchio, la donna non li posso ascrivere a un genere o una specie. La donna non può essere inclusa in una specie a parte, perché essa è membro della specie Uomo senza essere un uomo (la donna è già sempre umana, senza dover essere un uomo; questo spiega la difficoltà per la filosofia di spiegare la differenza sessuale); il vecchio è anch’egli umano, membro della specie Uomo: ma per gli Antichi restava, se pur debole, un uomo.

Nella età postmoderna, il vecchio, ciascun vecchio, è ritenuto spesso un umano sacrificabile, perché non possiede quel che dovrebbe esemplificare. Egli non ha per così dire il diritto di rivendicare le proprietà di Uomo. E, se lo fa, se le esemplifica, si tratterà di un camouflage: la genuinità del campione è difesa allora contro il campione non genuino. Si comprende in questa luce la “somatolatria” che vediamo nelle vite di molti anziani, costretti dal paradigma specista a sembrare perennemente giovani. Una cartina di tornasole per questo procedimento è la pubblicità contemporanea, sempre ansiosa di presentare campioni (samples) enfatici, quasi caricaturali. E, poiché il campione pubblicitario non è la “cosa stessa” ma le assomiglia soltanto, questa credibilità può esser considerata un effetto retorico della veridizione prodotta dal discorso pubblicitario; un discorso spesso costruito grazie all’uso di testimonial – questi sì genuini – che vantino una credibilità indipendente. Comprendiamo così perché accada, ad esempio, che la pubblicità e i media sempre più spesso esibiscano fino all’ostentazione nell’uomo anziano i caratteri plastici dell’uomo greco policleteo, quell’uomo senza età che ancora diciamo “classico”: esso viene assunto come un modello senza tempo, equidistante così dal momento della nascita come da quello della morte. Il Doriforo di Policleto può così rivivere come riferimento occulto nel trash delle moderne pubblicità di farmaci per la prostata.

2.3

Tutto il mondo antico conobbe spirali di violenza sulle quali non possiamo qui soffermarci. diciamo solo che l’antropologia moderna è ancora troppo astiosa per riconoscere il debito profondo che la civiltà ha accumulato nei confronti del pensiero giudaico-cristiano in materia di rivelazione dei meccanismi occulti della violenza. Il lavoro di un antropologo come René Girard è disgraziatamente troppo poco apprezzato e isolato. Comunque sia, molti studiosi sono concordi nel ritenere che il Cristianesimo, l’annuncio di Gesù Cristo e, insieme, la travagliata storia del popolo di Israele costituiscano una singolare virtuosa eccezione allo specismo generatore di violenza che era largamente diffuso nell’Antichità classica e nelle società basate sulla logica sacrificale. Il giudeo-cristianesimo, in un modo davvero imprevedibile, ha introdotto nelle culture umane il sentore secondo cui un individuo debole è bensì incapace di comunicare alla propria specie, ma proprio per questo esso può essere “guardato” nella sua haecceitas, nella individualità (non della specie, ma) della persona.

(continua 3/4)

1 Cfr specialmente le teorie di Nelson Goodman in Facts, Fiction, and Forecast, Harvard Univ. Press, Cambridge (Ma) and London, UK 1954. Per una riflessione su questo ambito, vedi il mio contributo Esemplificazione, Riferimento e Verità in Marcello La Matina e Elio Franzini (a cura di), Nelson Goodman filosofo dei linguaggi, Quodlibet, Macerata 2009.

2 Ho chiamato “amebeico” ogni contesto di interazione sensitiva, umana od etologicamente significante, così come può essere trattata nel quadro della teoria esposta in Cronosensitività, cit. cap. 6.

3 Cfr. Nelson Goodman, Languages of Art. An Approach to a Theory of Symbols, Bobbs-Merrill, Indianapolis (Ma) 1968.

Share