Erano perseveranti


II DOMENICA DI PASQUA – A

At 2, 42-47; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31

Introduzione

Nella seconda domenica di Pasqua la liturgia si sofferma sul mistero della vita del Risorto presente nella quotidianità della vita della Chiesa e che si rende «tangibile» – si lascia toccare – nel radunarsi domenicale della comunità. In questa domenica, «otto giorni dopo» la domenica di risurrezione (Ottava), è come se la Chiesa volesse manifestare il senso di ogni domenica e del mistero che essa vive. Ma ogni anno – grazie alla prima lettura che varia, mentre i Vangelo rimane sempre il racconto dell’apparizione a Tommaso e agli altri discepoli – propone delle sottolineature diverse di questo medesimo tema.

Commento

Nel brano degli Atti degli Apostoli viene presentato un quadro della vita delle prime comunità cristiane a Gerusalemme. Spesso si afferma che si tratta di una visione irrealistica e idilliaca della comunità cristiana. Ma è proprio così? È proprio questo che l’autore vuole fare? Forse si potrebbe parlare non tanto di una visione troppo positiva di Luca, ma della sua volontà di collocare all’origine della comunità cristiana quelle caratteristiche che fanno parte della vita della Chiesa di ogni tempo. È un po’ come accade per i racconti della creazione: si descrive un «paradiso», un giardino bellissimo, per parlare del progetto di Dio sull’umanità di ogni tempo. Ugualmente per parlare della vita della Chiesa si pongono al tempo della sua nascita quelle realtà che stanno alla base della sua vita di ogni tempo, e alle quali sempre occorre ritornare, se si vuole comprendere in profondità il senso della vita cristiana.

In questa prospettiva nel brano degli Atti Luca parla di quattro perseveranze della comunità. Egli usa un verbo greco che indica proprio la perseveranza forte e stabile della Chiesa riguardo a determinate realtà. Questo ci dice un primo aspetto che riguarda la vita delle comunità cristiane di ogni tempo: essa si gioca sulla «perseveranza» in realtà quotidiane e «apparentemente» banali. La vita della Chiesa non si gioca sulla «resilienza» – per far riferimento ad un termine divenuto «di moda» e quindi un po’ logoro –, ma sulla «perseveranza». L’immagine di un metallo che «si piega ma non si spezza» non è una bella immagine della vita cristiana. Essa si gioca sull’«obbedienza». Sua forza non è la propria capacità di resistenza, ma la fedeltà di Dio alle sue promesse. La vita della comunità non si edifica nemmeno su eventi straordinari, su raduni di massa, sulla ricerca affannosa di novità da proporre in ogni occasione… No, la vita della comunità si struttura e si nutre a partire da delle «perseveranze», da quelle realtà che garantiscono giorno dopo giorno la sua relazione viva e vitale con il Risorto. Ma quali sono queste realtà?

Innanzitutto, il nostro autore parla dell’«insegnamento» (didachè) degli apostoli. La comunità cristiana si fonda sull’assiduità all’insegna-mento degli apostoli. Non si tratta tanto di un insegnamento unicamente «dottrinale», quanto di una testimonianza, una tradizione. È tramite la testimonianza apostolica che la comunità cristiana vive il rapporto con il Risorto. Gli apostoli sono coloro che hanno conosciuto Gesù (cf. At 1,21-22), hanno vissuto con lui e ne hanno condiviso la vita e sentito l’insegnamento. Sono loro che possono trasmettere una esperienza vita del Signore, della sua umanità, nella quale la divinità si rivela. Quando negli Atti degli Apostoli c’è da scegliere il sostituto di Giuda, è questo il criterio: la scelta deve essere fatta «tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi» (At 1,21). In ogni epoca della Chiesa si potrebbe considerare questa «perseveranza» come il rimanere saldi nella tradizione viva della Chiesa e nell’ascolto della Scrittura nella quale la testimonianza apostolica è tramandata. Certo si tratta di perseveranza: perseverare sulla Scrittura e nella tradizione viva della Chiesa è il modo in cui oggi ogni comunità incontra il Risorto.

La seconda perseveranza delle comunità riguarda la «comunione» (koinonia). Qui si tratta di comunione ecclesiale: anche in questo ambito occorre essere perseveranti, nonostante le difficoltà, le delusioni, i turbamenti… che possono nascere. Questa seconda perseveranza nega la validità di ogni tentativo di corsa solitaria nella sequela del Vangelo. Anche quando può sembrare che la comunità possa essere un «impedimento» al Vangelo, il testo degli Atti afferma invece che la vita del Risorto si scopre vivendo la fatica e la sfida della «comunione». La comunione non è una presa di posizione unilaterale, ma l’accettazione della sfida di rimanere in un rapporto reciproco e profondo fatto di quelle relazioni concrete che toccano la nostra esistenza.

La terza perseveranza è l’eucaristia, «la frazione del pane» (klasis tou artou). Nella eucaristia domenicale, luogo privilegiato dell’ascolto della Parola e della edificazione della comunione, si manifesta in modo unico la vita della Chiesa nell’incontro con il Risorto. Al «magistero» dell’eucaristia la Chiesa impara «ogni otto giorni» a rendere sempre più somigliante il suo volto al volto del Signore che si rivela nel pane spezzato e nel calice dell’alleanza condiviso, chiave interpretativa della sua passione, morte e resurrezione, come vita donata per la vita degli altri. Alla scuole dell’eucaristia, «ogni otto giorno», i discepoli di Gesù imparano a vivere come il loro maestro, a configurare sempre più la loro esistenza alla sua.

Infine, la quarta perseveranza è «la preghiera» (proseuche). La Chiesa, obbediente al comando del suo Signore, riconosce nella preghiera uno dei luoghi nei quali la sua vita si rafforza. Nella preghiera è la vita stessa del Risorto che si manifesta nella Chiesa. La Chiesa, corpo del Signore, continua nella sua vita la relazione con il Padre di Gesù stesso, rispondendo, nella preghiera, alla Parola che ha ascoltato. La preghiera indica che la relazione con Dio, la dinamica dell’alleanza nell’ascolto e risposta, sono fondamentali per la vita cristiana. Il discepolo i Gesù sa che la vita di vede, la relazione con Dio, non è «a senso unico», ma la si vive in un dialogo «come tra amici» (cf. DV 2).

Tommaso

Queste sono le quattro perseveranze nella quali la vita del Risorto continua nell’esistenza della Chiesa. Nessuna visione idealizzata quindi, bensì la realistica constatazione che non c’è Chiesa senza queste quattro realtà. In tutte e quattro queste perseveranze di cui la Chiesa vive si scopre la vita del Crocifisso-Risorto che continua nei suoi discepoli. Gesù per primo ha vissuto queste perseveranze: egli è l’obbediente al Padre, suo cibo è fare la volontà del Padre; egli è colui che vive la piena solidarietà-comunione con Dio e con l’umanità; egli è colui che si rivela nell’eucaristia; egli è colui che vive una profonda relazione con il Padre e intercede con forti grida e lacrime.

Questa esperienza ecclesiale del Risorto è anche quella che si rivela nell’episodio di Tommaso, l’apostolo che nel Vangelo di Giovanni giunge a fare la più alta professione di fede: «Mio Signore e mio Dio». Tommaso può giungere alla professione di fede solo quando è presente «otto giorni dopo» – di domenica – con la comunità dei discepoli nell’assiduità della didachè, della comunione, della frazione del pane e della preghiera. Quando è assente egli manca all’incontro con il Risorto, quando è presente può toccarlo e mettere le sue mani nelle sue piaghe.

 

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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