Fraternità e mondo aperto. Il sogno di “Fratelli Tutti”


fratres

E’ appena uscito un piccolo testo, in cui cerco di riflettere sul “filo rosso” della Enciclica “Fratelli tutti”. Pubblico alcuni passaggi che si trovano all’inizio e alla fine del testo e che danno il senso del lavoro necessario per recepire gli spunti fondamentali del magistero sulla fraternità, a livello filosofico e teologico.

(Dalla Introduzione, 5-8)

Il tema della fraternità1, che percorre in profondità tutta la tradizione occidentale antica e recente, ha radici giudeo-cristiane assai importanti. Esso, tuttavia, sembra avere ottenuto una rilevanza immediatamente “politica” solo a partire dalla tarda modernità. Anche nella Chiesa cattolica, una lunga tradizione di “fraternità” – confessata, pensata e vissuta – giunge nel 2020, con la Enciclica Fratelli tutti (= FT) di papa Francesco, ad assumere un rilievo magisteriale nuovo e per certi versi sorprendente. In qualche modo anticipata dalla “dottrina sociale” a partire da Rerum novarum (1891), poi dal Concilio Vaticano II (1962-1965), dalla profezia di Pacem in terris (1963)ed anche da un capitolo di Caritas in veritate (2009)di Benedetto XVI, per la radicalità dell’approccio il testo del 2020 riapre un dibattito forte, esigente e necessario.

Per questo motivo la comprensione del testo di Francesco esige una duplice e parallela ermeneutica. Una piccola storia della fraternità – senza dimenticare la “amicizia sociale” che compare nel sottotitolo del testo papale e costituisce un filone importante della riflessione de fraternitate in occidente – deve passare attraverso una lettura antropologico-filosofica, come riflessione che la cultura ha compiuto lungo i secoli sulla relazione interumana, sociale e politica, e, nello stesso tempo, esige di essere considerata attraverso quella lettura teologico-religiosa che la tradizione giudaico-cristiana ha elaborato sulla base della relazione rivelata ed ispirata con Dio. Rapporto tra gli uomini e rapporto con Dio si intrecciano nel pensiero sull’essere fratelli e sorelle. La fraternità si dischiude così sia partendo dall’uomo come zòon politikòn, sia dalla elezione di Israele ad essere popolo di fratelli, sia dalla incarnazione del Logos e dalla redenzione per Cristo crocifisso e risorto, perché tutti siano “una cosa sola”. Diremo subito – e questo sarà uno dei punti-chiave del nostro testo – che per parlare di fraternità è necessario non censurare e non rimuovere le due “condizioni” della fraternità: ossia da un lato una esperienza “esterna” di paternità/maternità, dall’altro una esperienza “interna” di figliolanza. La fraternità sconta e presuppone due condizioni che la “legano” ad un relazione esterna (padre/madre) ed interna (altri figli). Nessuno può dirsi “fratello”, se non accetta di confrontarsi sia con un padre e una madre prima di sé, sia con il “figlio” che può e deve trovare e riconoscere in se stesso e che scopre, contemporaneamente, in un altro accanto a sé. La speranza di essere “immediatamente fratelli/sorelle”, senza genealogia e senza un inizio di sé sottratto a sé stessi di fronte ad un altro, questo è uno dei punti problematici e fecondi della grande utopia moderna. Potremmo dire che il mondo tardo-moderno viene elaborato attraverso una nuova accezione di fraternità, che prescinde dalla relazione. In tal modo anche la fraternità viene pensata come “relazione pura”2.

Nel tema della fraternità, assunta in questa ricchezza di significato, rileviamo dunque due linee di riflessione, che scaturiscono dalla “ragione” e dalla “fede” e che si intrecciano tra loro in modo significativo. Papa Francesco, in modo esplicito, si riferisce ad entrambe. E lo fa nella piena fedeltà alla grande intuizioni con cui il Concilio Vaticano II ha assunto il compito di intendere la tradizione “alla luce del Vangelo e della esperienza umana” (GS 46). Parola di Dio ed esperienza degli uomini, nella loro mediazione storica, illuminano la tradizione. Sono due vie, mai opposte, ma neppure sovrapposte – di per sé non necessariamente antitetiche o contraddittorie – di ermeneutica della fraternità. Sul piano del metodo, questo appare un dato rilevante: poiché assume la “autonomia della realtà temporali” come accesso autorevole alla tradizione del discorso fraterno.

(…)

(Dall’Epilogo, 97-98)

Se proviamo a raccordare insieme i passi di questo volume, in una direzione di sviluppo significativo, possiamo scoprire il filo rosso di una correlazione della fraternità con il tema del mondo aperto. In effetti, il discorso sulla fraternità si apre costitutivamente alla preoccupazione per la communitas. Anzi, come abbiamo visto nel nostro percorso, la communitas alla quale la fraternità rimanda, sta allo stesso tempo prima e dopo la fraternità. Ne costituisce la condizione e, insieme, l’effetto. La fraternità da un lato si apre ad una comunione universale, ma presuppone forme di comunione particolare. E’ radicata in una generazione, nutrizione, educazione – in una differenza – che apre alla indifferenza della libertà e alla indistinzione della uguaglianza. Potremmo dire che la fratellanza è mediazione di libertà e di uguaglianza, nel duplice senso di questa mediazione: dipende da autorità e differenza e genera, nutre, educa a libertà e uguaglianza.

Oggi viviamo questa delicata esperienza fraterna e sororale in una grande crisi. La “tempesta della pandemia”, che ci ha chiesto di “mettere maschere”, di “sanificare o coprire le mani”, di “tenere le distanze”, ha fatto “cadere molte maschere”. Proprio il “protocollo sanitario”, con i suoi “dispositivi di sicurezza”, ci ha fatto vedere meglio quanto abbiamo bisogno di volti riconoscibili ed espressivi, quanto le mani che toccano, sono toccate e si incontrano siano decisive per istituire rapporti significativi col prossimo e con il mondo, quanto il “metro di spazio” che resiste all’incontro impedisca una vera comunicazione in presenza. La fraternità ha “condizioni tattili, visive e spaziali” non comprimibili, se non per caso estremo. Questo caso estremo ci permette una lettura più profonda, meno “di circostanza” anche del testo di FT.

1Preferisco usare per lo più il termine “fraternità”, come termine più generale, rispetto al quale “fratellanza” appare limitato alla esperienza immanente del fratello a livello di generazione e di appartenenza sociale. La fraternità include la fratellanza, non viceversa. L’ampliamento del concetto, con la nozione di “sororità”, appare necessario e sarà affrontato in un passaggio del testo.

2Mutuo la categoria da A. Giddens, La trasformazione della intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Bologna, Il Mulino, 2013. La nozione di “relazione pura” viene utilizzata per la relazione sentimentale e matrimoniale, ma per la sua “purezza” – ossia per la sua incondizionatezza – può essere applicata senza troppe forzature, anche alla relazione fraterna. Vi è qui, sicuramente, una politicizzazione della fraternità che risulta allo stesso tempo carica di novità e di problemi.

 

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