Il canto della Chiesa


Assunzione di Maria (15 agosto)
LETTURE: Ap 11, 19; 12, 1-6.10; Sal 44; 1 Cor 15, 20-26; Lc 1, 39-56
Introduzione
Nella liturgia di questa Solennità i testi biblici ci aiutano ognuno in modo proprio a comprende il mistero che celebriamo, sebbene non ci sia un testo biblico che ne parla direttamente. Il brano tratto dal racconto di Luca (vangelo) ci mostra, nel cantico di Maria, il Magnificat,  un canto di lode, messo sulla bocca della Vergine, che canta le grandi opere che il Signore ha compiuto in lei. Si tratta di un canto che potrebbe essere messo sulla bocca della Chiesa intera, come anche su quella di ogni singolo credente. Il brano dell’Apocalisse (I lettura) attraverso l’immagine della donna vestita di sole, ci aiuta a dare una lettura escatologica del mistero dell’Assunzione di Maria, mentre la Prima Lettera ai Corinzi ci fornisce la lettura cristologica del medesimo mistero. Quest’ultima prospettiva non va mai dimenticata, quando si celebra una festa della Madre di Dio.
Riflessione
Gerusalemme, Maria, la Chiesa
Nella Bibbia ci sono figure che assumono un valore che va al di là della loro concreta individualità; persone, luoghi, eventi che diventano evocazione di un mondo di significati molto ampio capace di dire in modo sintetico le realtà più importanti e complesse dell’esperienza di fede. Nel Primo Testamento una di queste realtà è la città di Gerusalemme: essa non è solo un luogo geografico ma è luogo simbolico che riassume in sé tutto ciò che un ebreo può desiderare. E’ ciò che ricaviamo dalla preghiera del Salmo 136: «Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia» (Sal 136,4-5).
Nel destino di gloria di Gerusalemme, dimora di Dio e degli uomini, viene simbolicamente espressa la speranza del popolo di Dio fino a giungere alla visione dell’Apocalisse nella quale la Gerusalemme nuova scende dal cielo pronta come una sposa adorna per il suo sposo (Ap 21,2; 21,10). Nella Gerusalemme del cielo risplendente della gloria di Dio i credenti contemplano il loro destino, tendono verso la loro condizione più propria, vedono la realizzazione ideale di ogni promessa di Dio.
Per il Nuovo Testamento e per la Chiesa un’altra di queste figure che superano il loro valore individuale per assumere una portata più vasta è Maria, la vergine figlia di Sion. Non viene certo rinnegato il valore della sua individualità, l’importanza del posto unico da essa occupato nella storia della salvezza, ma è proprio il suo valore individuale e personale che si dilata e diviene uno dei luoghi simbolici per eccellenza nel quale comprendere aspetti centrali della esperienza cristiana ed ecclesiale: Maria diviene figura della chiesa.
Nel rapporto di Maria con Dio, la Chiesa vede il modello del proprio; nel suo essere la Madre del Salvatore la Chiesa vede il modello del proprio rapporto con Cristo; nel destino di Maria la Chiesa vede l’anticipazione e l’annuncio di quello che sarà il proprio destino.
Questo è il senso della solennità che la Chiesa celebra oggi: nella assunzione di Maria essa annuncia, pregusta, anticipa il proprio destino; nella sposa accolta dallo sposo la Chiesa vive l’incontro con il suo Signore come sposa rivestita di gloria e bellezza.
Una Chiesa capace di canto
In modo particolare nel canto del Magnificat messo sulla bocca di Maria la Chiesa si scopre capace di cantare e proprio in questo canto si rivela la sua identità profonda, oltre a quella di Maria; il suo rapporto con Dio, oltre a quello di Maria; l’esito della sua esistenza, oltre a quello di Maria. La Chiesa scopre tutto questo in una donna capace di cantare.
Ma qual è questo canto che la chiesa di Dio in Maria canta? Quali sono le caratteristiche di questo canto nel quale la chiesa riconosce il segreto del suo passato, del suo presente, del suo futuro?
Il Magnificat è innanzitutto il canto dei poveri. La comunità in cui il Magnificat è nato è una comunità di poveri, la prima comunità cristiana di Gerusalemme che si trova a vivere nella povertà e nella persecuzione. Non si tratta solamente della povertà come condizione sociale ma è una povertà che si carica anche di un significato teologico: essere povero è un modo di stare davanti a Dio, una disposizione religiosa. In fondo, solo un povero e solo una Chiesa povera sa cantare questo canto: solo un povero sa stare davanti a Dio in questo modo, senza rivendicazioni, senza ipocrisia, senza secondi fini. Il povero è uno che sa stare davanti a Dio sapendo di non aver nulla da rivendicare ma tutto da ricevere gratuitamente: il povero è il solo capace di ringraziare e quindi il solo capace di cantare il Magnificat.
Il Magnificat è inoltre un canto teologico. Maria e la Chiesa in questo canto non cantano se stesse, ma cantano Dio. Nel Magnificat Maria e la Chiesa riconoscono di essere oggetto della misericordia di Dio. E’ lui che ha fatto tutto!
Cantando il Magnificat la Chiesa, come Maria, deve rinnovare la consapevolezza di essere strumento nella mani di Dio; la certezza che egli è il protagonista di tutto; la capacità di non cantare se stessa e le proprie virtù, ma Dio come unico vero salvatore. Basta scorrere il Magnificat e osservare i verbi: solo due si riferiscono a Maria – l’anima mia magnifica… il mio spirito esulta – tutti gli altri hanno per soggetto Dio. Questo è il canto che la Chiesa di Dio canta!
Il Magnificat è il canto della chiesa una, il canto dell’unità. Maria si reca dalla Galilea alla Giudea dall’antico regno del nord a quello del sud: i due regni che – proprio per la loro divisione – nell’antica storia del popolo di Dio costituivano la ferita visibile della sconfitta e della infedeltà. Nella speranza di Israele la ritrovata unità del popolo sarebbe stato il segno del compiersi delle promesse. Ora tutto questo si manifesta in Maria che diviene il luogo nel quale l’unità si realizza e nella nascita del Messia tutte le promesse di Dio vengono portate a compimento (2Cor 1,20). Gesù infatti è colui che fa l’unità non solo del popolo di Dio, ma di tutta l’umanità, abbattendo ogni muro di separazione e distruggendo in se stesso l’inimicizia (Ef 2,13-14). Nel canto di Maria non troviamo il canto della chiesa cattolica o di una delle chiese cristiane, ma il canto di tutti i cristiani, il canto di Israele, il canto dell’umanità. In questa linea nel brano del vangelo troviamo la presenza di due personaggi nascosti: Gesù e Giovanni, il messia nascosto che si rivela nella visita della madre alla cugina Elisabetta; e il profeta nascosto che si rivela sussultando di gioia nel grembo materno (E. Bianchi). Nel profeta nascosto troviamo l’immagine di tutti i cercatori di Dio della storia; nel messia nascosto ma rivelato dall’amore troviamo il punto di dialogo tra le religioni e le culture unite dall’unico linguaggio della carità che è già scoperta e riconoscimento del Cristo.
Veramente il Magnificat è il canto dell’unità e questo è il canto che la Chiesa di Dio canta e che canterà quando la sua strada si ricongiungerà a quella di colei che l’ha preceduta e che rimane profezia e annuncio del suo destino.
Il banchetto del Regno
Celebrando l’eucaristia in questo giorno, noi siamo seduti al banchetto del Regno: banchetto dei poveri, perché solo chi sa accogliere tutto come dono vi si può sedere; banchetto “teologico”, perché solo Dio è l’ospite che dona e si dona ed e lui il protagonista; banchetto dell’unità, perché nella condivisione dell’unico pane spezzato diventiamo un solo corpo.
In questo banchetto, che è profezia e anticipazione di quello del Regno, noi viviamo l’esperienza del canto del quale è figura il cantico di Maria, il Magnificat. In questo banchetto, che è profezia e anticipazione di quello del Regno, noi ricordiamo e narriamo il nostro passato; viviamo il nostro presente; pregustiamo il nostro futuro e cantiamo il canto che la Chiesa di Dio canta: la bontà misericordiosa del nostro Dio, la sua fedeltà che rifulge sul volto di Cristo!
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli
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