Il Triduo pasquale e la forma bella della Pasqua


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Domani verrà inaugurata a Milano “Tempo di Passione”, personale di Luca Cavalca presso l’antico Oratorio della Passione, accanto alla basilica di Sant’Ambrogio a Milano, mostra promossa da Crocevia – Fondazione Alfredo e Teresita Paglione. Dal 22 marzo al 3 aprile l’artista milanese propone un ciclo di sculture – dodici opere in gesso, terracotta e legno – sul tema del Triduo pasquale. Pubblico uno stralcio del testo che accompagna il catalogo della Mostra.

Il progetto scultoreo di Luca Cavalca trae spunto e ispirazione da una svolta ecclesiale e spirituale di prima grandezza: recuperare i “tre giorni” centrali dell’anno liturgico dalla decadenza da cui erano stati afflitti in lunghi secoli di incomprensione, di lettura unilaterale e non unitaria. Una incomprensione che non ha impedito il fiorire di tante forme di spiritualità, di arte, di devozione, di preghiera e di meditazione. Ma che pure oggi dobbiamo riconoscere nei suoi limiti e cercare di superare, con delicatezza e con finezza.

Da tanto tempo, infatti, non sapevamo più comprendere appieno la famosa pagina di Agostino e la sua bella definizione del “triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto”. Tre giorni, dunque, con queste caratteristiche impressionanti. A che cosa potevano ormai corrispondere, nella nostra sensibilità e nella nostra immaginazione? Nella tradizione medioevale, e poi largamente in quella moderna, l’assetto della Pasqua si era adattato ad un “doppio triduo” (quello della passione e quello della risurrezione) che avevano generato un fenomeno assai problematico, ossia la separazione quasi irrimediabile tra croce e sepolcro vuoto. Una intera epoca di rappresentazioni e di azioni, di immaginari e di spiritualità, di pratiche e di devozioni, poteva iniziare ad essere riletta e riformulata, sulla base di una lettura più profonda e più potente.

Si tratta, in sostanza, di “fare Pasqua” non su uno, ma su tre giorni. E di articolare la Pasqua su tre livelli, tra loro interconnessi e corrispondenti ai “tre giorni”, purché calcolati “all’antica” – ossia da tramonto a tramonto, “e fu notte e fu mattino: primo giorno” – e così accuratamente ricostruiti:

primo giorno del triduo (da dopo il tramonto del giovedì al tramonto di venerdì): memoria della pasqua rituale nell’ultima cena e della pasqua storica del crocifisso

secondo giorno del triduo (da dopo il tramonto del venerdì al tramonto del sabato) : la comunione con la morte e con tutti i defunti della pasqua escatologica

terzo giorno del triduo (da dopo il tramonto del sabato al tramonto della domenica): è la pasqua ecclesiale, è il risorgere della ecclesia, che può tornare a celebrare il battesimo e l’eucaristia.

Si possono osservare alcune cose, a questo proposito, che consentono di rileggere l’opera di Luca Cavalca come una ermeneutica del mistero pasquale che muove dall’azione liturgica.

a) all’inizio e alla fine troviamo l’eucaristia: all’inizio come pane spezzato e calice condiviso, alla fine come unità del popolo di Dio e del corpo di Cristo. E’ il senso più anico e più profondo di eucaristia, che si compie nel “corpo mistico” della Chiesa.

b) la luce della croce vuota e il silenzio del sepolcro pieno sono al centro del “sabato”, giorno di mezzo, mediazione delicatissima tra la “storia finale di Gesù” e la “inaugurazione della vita nuova”.

c) la potenza del “crocifisso ligneo” di Luca Cavalca orienta il Triduo ad una sintesi tra silenzio mistico e azione rituale. La potenza della croce, nel “respiro” del Figlio verso il Padre, sacrificio di lode del Capo del Corpo che è la Chiesa.

Lo scultore che “mostra” la verità del Triduo si è messo al servizio della Riforma Liturgica. Questa grande “traduzione della tradizione” – iniziata già da Pio XII con la riforma della veglia pasquale e poi di tutta la settimana santa e compiuta dalla Riforma complessiva voluta da Giovanni XXIII e Paolo VI, ad inspirazione e in esecuzione del Concilio Vaticano II – ha oggi urgente bisogno del magistero degli artisti. Una rilettura della esperienza spirituale cristiana, così come auspicata dal Concilio Vaticano II, non può essere assicurata soltanto dalla dedizione dei pastori o dalla riflessione dei teologi. Invoca anche ed essenzialmente la docilità e l’ispirazione di coloro che, con un gesto creativo, diano forma attendibile e figura indimenticabile alla sequenza rituale restaurata nella sua antica potenza.

 

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