La libertà di Gesù, la libertà della donna e la Chiesa come piramide


Nel dibattito che da 50 anni accompagna il cattolicesimo intorno alla possibile ammissione delle donne al ministero ordinato, uno dei “luoghi comuni” con i quali è impossibile non confrontarsi è il seguente: se Gesù avesse voluto ordinare una donna, lo avrebbe fatto. Se liberamente non lo ha fatto, questa sua volontà, liberamente assunta, deve essere gelosamente conservata dalla sua Chiesa.

a) La libertà di Gesù

I documento ufficiali, fin da Inter Insigniores, sono molto netti nel difendere una lettura lineare della volontà del Signore, che si ritiene abbia voluto chiamare al ministero apostolico soltanto gli uomini e non le donne: nel suo atto positivo (la scelta di uomini maschi) vi sarebbe incluso un atto negativo (la esclusione delle donne). Ma questo valore esemplare della azione di Gesù ha posto, fin dall’origine, qualche problema di non facile soluzione. Diversamente da una lettura pacifica e ricostruita con troppo interesse a posteriori – e che però applichiamo con indifferenza soltanto alla dimensione del “genere” – sarebbe utile ricordare che la scelta operata da Gesù, così come attestata dai vangeli, riguarda uomini, maschi, circoncisi e galilei. Il fatto, in quanto tale, contiene tutte queste determinazioni, etniche, religiose e di genere, riferibili alle persone oggetto dell’azione di Gesù. La domanda che immediatamente deve essere posta suona: che cosa risulta normativo in queste determinazioni? Che cosa dobbiamo conservare e custodire e che cosa, invece, possiamo e forse dobbiamo mutare e cambiare? Potremmo tradurre questa esitazione in una serie di domande provocatorie, ma non inutili: data l’azione istitutiva di Gesù, in quale misura la chiesa è libera di ordinare “non galilei”? In quale misura la chiesa può ordinare “non circoncisi”? In quale misura possiamo ordinare “non maschi”? E infine, al limite estremo, in quale misura sarebbe possibile pensare di ordinare “non uomini”? Se il silenzio della riflessione che ha accompagnato l’azione del Signore ci imponesse semplicemente di imitarla, non avremmo scelta alcuna: potrebbero essere chiamati a servire la chiesa soltanto uomini galilei, circoncisi, maschi. Ma è stata inevitabile una interpretazione della azione del Signore, che è iniziata già dalla prima generazione dei suoi discepoli. Più facile è stato identificare in soggetti “non galilei” dei validi apostoli (come ad es. Paolo di Tarso); più complesso e addirittura deliberato faticosamente da un Concilio, a Gerusalemme, è stato il passaggio per concepire discepoli e poi anche apostoli tra i “non circoncisi”. Un lungo periodo ha dovuto passare lungo la storia, ma quando abbiamo scoperto (nella coscienza europea tardo-moderna) che la donna può “in re publica interesse” e può quindi esercitare un’autorità comunitaria e pubblica, è sorto il legittimo interrogativo se fosse possibile che al ministero potessero essere chiamati non solo “nati da donna”, ma anche “nate da donna”.

b) Un incontro tra libertà finita e libertà infinita

La libertà del Signore non è mortificata dalla libertà storica e dalla maturazione della coscienza della sua chiesa. E’ stato possibile, ed anche necessario, pensare ad una azione istitutiva, posta storicamente dal Signore, che avesse, originariamente in sé già tutto il proprio contenuto, con tutta la chiarezza di determinazioni definite fin dal principio; ma è divenuto possibile, e forse anche necessario, pensare ad un gesto istitutivo che la Chiesa, con tutta la fedeltà possibile, ha dovuto comprendere appieno lungo la storia, alla luce delle scoperte che la vita di fede, la storia delle coscienze e la cultura dei popoli stavano compiendo. E’ stato possibile che la pienezza della volontà del Signore sia apparsa, lentamente e gradualmente, con il dono dello Spirito che ha aperto i cuori e le menti, che ha rischiarato i pregiudizi e confortato le coscienze. In gioco non vi è tanto la libertà e la chiarezza con cui il Signore ha compiuto il gesto istitutivo, quanto la libertà e la chiarezza con cui, nei secoli, è stato lentamente recepito, approfondito e compreso quel gesto. Perciò non è la condizionatezza storica ad impedire al Signore di porre gesti definitivi. E’ piuttosto la umanità della quale il Signore ha partecipato e alla quale il Signore ha parlato, ad aver bisogno del tempo per comprendere fino in fondo la portata di quel gesto. Se il “vero Dio” è stato “vero uomo” in modo non accessorio, ma costitutivo, è entrato nella forma ermeneutica di recezione che per gli uomini e le donne rimane inaggirabile. Divinità e umanità del Signore non possono essere due “tavoli” autonomi, su cui di volta in volta si possono giocare le singole azioni.

c) La libertà delle donne

Se queste prime riflessioni non sono peregrine, dovremmo porre, contemporaneamente, una ulteriore questione, altrettanto decisiva, chiedendoci in tutta franchezza: perché mai dovrebbe contare soltanto la libera azione del Signore sulla umanità e non anche la libera coscienza e autocoscienza della donna all’interno della comune umanità? Perché mai siamo costretti da questa impostazione magisteriale, che appare troppo rigida, a pensare che Gesù sia stato libero di discernere tra maschi e femmine, e lo abbia fatto una volta per tutte, come se maschi e femmine fossero identità definite una volta per sempre, fuori dalla storia e fuori dalla coscienza, sotto l’occhio sicuro del Figlio di Dio. Se la donna, esattamente come l’uomo, è “a immagine e somiglianza di Dio”, è dotata di libertà finita e di coscienza finita e perciò non è ancora compiuta. Come diceva K. Rahner “la donna vista come unica e sempre uguale…in fondo non esiste”. Per questo la sua esclusione dal ministero sacerdotale può essere attribuita alla volontà del Signore solo da un modello statico di teologia e di antropologia. Proprio quel modello che Paolo VI ha espresso in modo tanto efficace (e tanto problematico) commentando la uscita del testo del testo di Inter Insigniores, alcuni giorni dopo la sua pubblicazione:

“Perché solo gli uomini e non le donne possono essere investiti del sacerdozio?…Cristo, dando alla Chiesa la sua fondamentale costituzione, la sua antropologia teologica, seguita poi sempre dalla tradizione della Chiesa stessa, ha stabilito così” (Paolo VI, Il ruolo della donna nel disegno di Dio 1977).

Non è un caso che proprio questo testo sia stato ripreso quasi venti anni dopo in Ordinatio Sacerdotalis: da esso emerge, con molta chiarezza, non solo il cono d’ombra di una antropologia statica ed essenzialista, che fissa uomo e donna in un progetto predefinito e senza libertà, ma anche il ruolo che questa antropologia vecchia gioca nel magistero sulla “riserva maschile”. Scopriamo così che nel magistero sulla ordinazione riservata ai maschi le parti sono capovolte. A ben vedere, infatti, non è la dottrina che fonda e la antropologia come chiave ermeneutica, bensì è una viscerale antropologia essenzialista del femminile ad imporre un’unica soluzione dottrinale possibile, che rilegge il testo biblico e la tradizione in modo unilaterale e tende alla dogmatizzazione apologetica della differenza tra maschile e femminile. La libertà di Cristo fatta valere contro la libertà della donna appare, in filigrana, una sorta di ipoteca sulla questione, che polarizza sul piano dottrinale un discernimento disciplinare, che richiederebbe maggior tatto e minore pregiudizio. Le conseguenze di questo modo di pensare, tuttavia, non sono solo antropologiche, ma ecclesiologiche e spirituali: bloccano la chiesa nel suo “ancien régime” e la fissano nella condizione costitutiva e originaria di societas inaequalis. Una piramide che per diritto divino non può capovolgersi.

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