La modernità è il contesto, non la nemica della fede





Tra i primi commenti autorevoli pubblicati intorno alla prima enciclica di papa Francesco, si segnala questo editoriale del n. 27 della rivista “Settimana” a firma del direttore Lorenzo Prezzi. Mi pare pregevole la sintesi e la valutazione sul rapporto tra i contenuti di papa Benedetto e la forma di papa Francesco. L’esito è non solo una buona sintesi, ma anche una svolta molto significativa nella valutazione del rapporto tra fede e mondo moderno. 
Ecco il testo di Lorenzo Prezzi:

“Lumen fidei”o della testimonianza

Il 5 luglio è stata presentata la prima enciclica di papa Francesco. Frutto del lavoro preparato da
Benedetto XVI, essa offre della fede cristiana un’immagine che contiene la tradizione biblica e
l’esperienza quotidiana. Un luogo abitabile anche dentro la società secolare e globale

La prima enciclica di papa Francesco – La luce della fede – è uscita venerdì 5 luglio. Il testo, non particolarmente esteso (una novantina di pagine nell’edizione della Lev), si presenta subito con due vistose caratteristiche. Rispetto all’enciclica di avvio pontificato, che normalmente assume il carattere di progetto, la Lumen fidei si propone invece come conclusione di un percorso iniziato con le due lettere precedenti di Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza (Deus caritas est nel 2005, Spe salvi nel 2007). In secondo luogo, la sua trama è una tessitura di materiali diversi come succede nell’arte orafa quando supporti materici difformi danno figura a oggetti che, dalla diversità, assumono la loro particolarità e bellezza. Il debito nei confronti del predecessore è esplicitamente onorato. «Queste considerazioni sulla fede… intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi».

L’uomo adulto e la luce.

 Il materiale è distribuito in un’introduzione sulla fede come luce (nn. 1-7) e poi in quattro capitoli: «Abbiamo creduto all’amore», e cioè la fede come rapporto amoroso con Dio (nn. 8-22); «Se non crederete non comprenderete», che sviluppa il tema della fede come conoscenza e come riflessione (nn. 23-36); «Vi trasmetto quello che ho ricevuto» illustra il compito della Chiesa nella trasmissione della fede (nn. 37-49); «Dio prepara per loro una città», cioè la fede come alimentazione della vita storica e sociale (nn. 50-57). Gi ultimi due numeri sono dedicati alla Madonna, «Colei che ha creduto». I titoli dei capitoli sono citazioni da 1Gv 4,16, da Is 7,9, da 1Cor 15,3; da Eb 11,16. Usando in particolare il riferimento al vangelo di Giovanni, le prime pagine sviluppano il tema della fede come luce, la cui evidenza è fortemente rimossa dall’«uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro». Dopo Nietzsche la fede ha finito per essere assimilata al buio, una sorta di salto nel vuoto per una consolazione privata, non più come orizzonte condiviso. Le contraddizioni insolubili del moderno hanno portato a delegittimare la ricerca di senso per l’insieme dell’esistenza umana. La proposta cristiana è di riaprire questa ricerca, andando a una fonte più originaria dell’umano, cioè nel Dio vivente. Un cammino che è, a un tempo, memoria fondata, attesa oltre la morte e uscita dall’“io” per una comunione con gli altri. A questo rinnovato appello risponde sia la memoria del Vaticano II come la celebrazione dell’anno della fede.

Quattro capitoli. 

Il primo capitolo cementa il dato dogmatico della fede con l’esigenza dell’amore attraversando le grandi figure di riferimento: Abramo, Israele, Mosè e Gesù. Chiamata e promessa diventano evidenza nello sviluppo del cammino. Ad Abramo è chiesto di affidarsi ad una parola, una «realtà apparentemente effimera e passeggera», ma che, quando è pronunciata «dal Dio fedele, diventa quanto di più sicuro e incrollabile possa esistere». Essa è sostegno e fedeltà, entrando nelle pieghe della vita credente. Come è successo per Abramo che la riceve nel «luogo in cui l’esistenza dell’uomo si mostra da sempre promettente: la paternità, il generarsi di una nuova vita». La promessa di una vita oltre la vita è rappresentata dal sacrificio del figlio Isacco.  Così per Israele la fede è legata al dono della liberazione dalla schiavitù e al ricordo grato dei benefici di Dio e del compiersi delle sue promesse. La sua contraddizione è rappresentata dall’idolatria, dalla rinuncia di quel Volto che si rivela in modo personale e in tempo opportuno per altri volti vuoti e costruiti dagli uomini che sono gli idoli. Sempre a disposizione, ma incapaci di dare forma alle attese: il contrario della liberazione. Il popolo è condotto da Mosè a comprendere che vedere Dio implica un mediatore e l’inserimento in un «noi» che costituisce il popolo dell’alleanza. «Tutte le linee dell’Antico Testamento si raccolgono in Cristo, egli diventa il sì definitivo a tutte le promesse, fondamento del nostro “amen” finale a Dio», suprema manifestazione dell’amore di Dio per noi. Il punto cruciale è la morte e risurrezione: «Proprio perché Gesù è il Figlio, perché è radicato in modo assoluto nel Padre, ha potuto vincere la morte e far risplendere in pienezza la vita». Crediamo Lui come Figlio, a Lui come Parola, in Lui quando lo accogliamo personalmente nella nostra vita. La salvezza è l’apertura radicale ad un Amore che ci precede e ci trasforma. Non come fatto privato, emozione soggettiva o opinione personale, ma come assemblea di Dio chiamata all’annuncio.

Fede olistica.

Il secondo capitolo, quello più ampio, sviluppa il tema della fede come comprensione, come ricerca e come ragione. Credere è, a un tempo, comprendere ed essere saldi. Solo così la verità diventa fonte di vita e sostegno nel cammino, capace di resistere ai rigidismi del fanatismo come alle pretese del totalitarismo e alla svuotamento del relativismo.
La fede è conoscenza della verità e amore e coinvolge l’intelletto, il volere e l’affettività. «È in questo intreccio della fede con l’amore che si comprende la forma di conoscenza propria della fede, la sua forza di convinzione, la sua capacità di illuminare i nostri passi». Non c’è verità senza amore, non c’è amore senza verità. Essa nasce dall’ascolto e approda alla visione. «Come si arriva a questa sintesi fra l’udire e il vedere? Diventa possibile a partire dalla persona concreta di Gesù, che si vede e si ascolta». «La verità che la fede ci dischiude è una verità centrata sull’incontro con Cristo, sulla contemplazione della sua vita, sulla percezione della sua presenza». Il dialogo tra fede e ragione, testimoniato da tutte le generazioni cristiane, è qui ricordato attraverso l’esempio di Agostino, capace di illuminare anche gli interrogativi del nostro tempo. «La verità oggi è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita individuale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente», mentre essa può crescere solo nella convivenza che rispetta l’altro. «La luce della fede in Gesù illumina anche il cammino di tutti coloro che cercano Dio, e offre il contributo proprio del cristianesimo nel dialogo con i seguaci delle diverse religioni».
«Non c’è nessuna esperienza umana, nessun itinerario dell’uomo verso Dio, che non possa essere accolto, illuminato e purificato da questa luce». Configurandosi come via, la fede «riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare». Essi «già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede».

Maternità ecclesiale. 

Alla Chiesa come madre della fede è dedicato il terzo capitolo. La parola ricevuta si fa risposta, confessione e invito per altri, trasmettendosi «nella forma del contatto, da persona a persona» e nella ininterrotta catena delle generazioni e dei testimoni. «La conoscenza di noi stessi è possibile solo quando partecipiamo ad una memoria più grande. Avviene così anche nella fede, che porta a pienezza il modo umano di comprendere. Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una vita nuova, ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa». È impossibile credere da soli e il «credo» pronunciato è tale perché può essere detto come «crediamo».
Sono quattro le forme fondamentali della memoria ecclesiale: i sacramenti, il credo, la preghiera e il decalogo. Trasmettere una luce che tocca la persona «nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività» è possibile in particolare nella liturgia sacramentale: nei sacramenti «la persona è coinvolta, in quanto membro di un soggetto vivo, in un tessuto di relazioni comunitarie. Per questo, se è vero che i sacramenti sono i sacramenti della fede, si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale», mostrando come il visibile e il materiale si aprono al mistero dell’eterno.
Come fusione di verità e di amore, la fede produce unità e chiede la difesa della sua integrità. La fede è una per l’unità del Dio conosciuto, perché si rivolge all’unico Signore, perché è condivisa da tutta la Chiesa. «Dato che la fede è una sola, deve essere confessata in tutta la sua purezza e integrità», «togliere qualcosa alla fede è togliere qualcosa alla verità della comunione». Come servizio alla trasmissione integra della fede opera la successione apostolica. «Per questo il magistero parla sempre in obbedienza alla Parola originaria su cui si basa la fede ed è affidabile perché si affida alla Parola che ascolta, custodisce ed espone».
La forza edificatrice della fede, il suo impatto con la storia e con la città degli uomini sono sviluppati nel quarto capitolo. «Proprio grazie alla sua connessione con l’amore, la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace». «La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei».  Essa fa comprendere «l’architettura dei rapporti umani, perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio, nel suo amore, e così illumina l’arte dell’edificazione, diventando un servizio al bene comune». A partire dal luogo germinale che è la famiglia, unione stabile di un uomo e una donna, capace di generare nuova vita e di legare le generazioni, fino ad illuminare tutti i rapporti sociali.  La fraternità sociale si spegne se viene meno il riconoscimento che «in ogni uomo c’è una benedizione per me, che la luce del volto di Dio mi illumina attraverso il volto del fratello». Cancellare la morte e la risurrezione di Cristo vuol dire oscurare ciò che rende preziosa e unica la vita dell’uomo e misconoscere la grammatica che regge la bellezza della natura: rendere impossibile comprendere il dolore e dare una ragione alle prove. «Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona».

Una saldatura riuscita. 

Il tono complessivo e la stesura maggiore sono facilmente riconoscibili come frutto di Benedetto XVI.
L’insistenza sulla razionalità della fede, la cura di illustrare come definitivo il calco ellenistico fornito
dai primi secoli alla tradizione cristiano-ebraica, l’insistenza sulla verità secondo una tradizione teologica che va da Agostino a Bonaventura, l’accusa al relativismo come idolatria, le citazioni (Nietzsche, Buber, Rousseau, Dostoevskij, Wittgenstein, Newman, Eliot ecc.), fino all’insistita attenzione alla natura e alla sua grammatica, sono tipiche del magistero ratzingeriano. E tuttavia la distanza verso l’ideologia tecnologica, la connessione di fede-amore-pratica, la sottolineatura della «non intransigenza» della fede, l’attenzione al battesimo dei bambini, la trasmissione della fede come contatto da persona a persona, la percezione di un nuovo gnosticismo, la funzione positiva della fede nella città secolare sono elementi propri o consentanei alla sensibilità di Francesco.
La forma finale del testo e il suo probabile impatto con il popolo cristiano sfumano il pur robusto tessuto teologico in una dimensione pastorale e spirituale assai caratteristica. Si potrebbe dire che il pensare teologico di Ratzinger dentro la figura pastorale di Francesco trasformano il “prodotto”, dando pienamente ragione alla firma che, contrariamente alle anticipazioni giornalistiche, è rimasta solo quella di papa Bergoglio. Ne è una prova il n. 36 dedicato alla teologia. Il suo legame con la fede, la sua esigenza di umiltà, il suo contesto ecclesiale, l’attenzione ai deboli e ai piccoli, il ruolo non estrinseco del magistero prendono misura ed efficacia a partire dai gesti e dalla persona di Francesco.
Molto chiaro nella sostanza, ma anche molto sorvegliato nella forma, il giudizio sulla modernità. Non suona come un’alternativa alla fede, ma come il contesto in cui la fede può crescere e interagire. Lo si percepisce nell’insistenza sulla storicità, nella proposta sulla famiglia, nella percezione del male. Nel titolo manca l’indirizzo agli uomini di buona volontà. Non tanto perché la fede è propria dei credenti quanto piuttosto perché essi sono percepiti dentro e non fuori la cura di Dio.

Lorenzo Prezzi

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