La “proposta di mediazione” è una “confessione di incomprensione”. Tre professori e l’integralismo “meschino” (AL 304)
Con una lettera del 27 agosto scorso, indirizzata al Gran Cancelliere Paglia e al Preside Sequeri dell’Istituto Giovanni Paolo II, 3 professori (Granados, Kampowski e Perez-Soba) propongono quella che chiamano “proposta di mediazione”, ma che, a dire il vero, appare soltanto come la prova di una radicale incomprensione della tradizione ecclesiale, e della sua capacità di camminare, di evolvere, di migliorare, nonostante le inevitabili resistenze. Il cuore della proposta è il seguente, che riporto integralmente:
“Una soluzione più in sintonia con la natura della teologia cattolica implicherebbe – ed è la nostra proposta – che invece di eliminare la cattedra, ne venga creata una nuova, in modo che vi siano due cattedre di teologia morale generale, il cui dialogo esprime il rapporto tra vecchio e nuovo, proprio di ogni vera continuità della dottrina. Secondo la nostra proposta ci sarebbe una cattedra di morale fondamentale, che l’Istituto ha già avuto, e poi un’altra cattedra di “teologia morale dell’accompagnamento”, che potrebbe riflettere sulla proposta pastorale di Amoris Laetitia di poter condurre il soggetto di oggi a una vita secondo il Vangelo”.
Questa formulazione, nella sua sconcertante ingenuità, segnala tutti i problemi cui cerca di provvedere la necessaria ristrutturazione del IGP2. Li elenco qui sotto, facendo quasi la esegesi del testo:
a) la “natura della teologia cattolica”, che i 3 professori pensano di custodire meglio della Chiesa, del papa, del Cancelliere e del Preside, impedirebbe ogni “cambiamento di paradigma”. Pertanto, a loro avviso, se pure può nascere qualcosa di nuovo, deve lasciare inalterato quello che c’era prima. Così, in modo astorico, assumono lo stesso vizio che troviamo, pari pari, in quei (pochi) teologi che ritengono che sia “cattolico” (veramente cattolico) che il Novus Ordo lasci inalterato il Vetus Ordo, e che anche agli studenti si dovrebbe insegnare l’uno insieme all’altro. Così in campo matrimoniale, ci dicono i 3 professori, insegniamo pure le cose pastorali di AL, ma lasciamo in piedi tutto quel sapere vecchio, che non riesce neppure a concepire che AL possa prendere la parola! E’ la soluzione che Giuseppe Siri avrebbe voluto nel 1951, sulla “nuova” Veglia Pasquale: introducete pure la veglia di notte, diceva, ma lasciateci celebrare ancora la veglia a mezzogiorno! Questa non è la tradizione, ma la morte della tradizione. Lo sapevano bene nel 1951 e noi dovremmo forse dimenticarcelo? I 3 professori vorrebbero spingerci ad un errore tanto madornale?
b) Curiosa rappresentazione della continuità della dottrina. Si dice il nuovo, ma si continua a dire il vecchio, che impedisce al nuovo di avere una vera legittimità. Questo in AL è detto “apertis verbis” e il 3 professori dovrebbe saperlo. Se tu lasci in piedi la impalcatura della “legge oggettiva” come unico criterio di giudizio sui soggetti, sei “pusilli animi”, sei “meschino” (AL 304). Quella proposta dai 3 professori non è continuità dottrinale, ma è paralisi della tradizione. Essa garantisce forse la sopravvivenza di una cattedra, ma lo fa a discapito del cammino ecclesiale e della maturazione degli studenti. L’ideale di studenti schizofrenici, che non possono fare sintesi perché bersagliati da messaggi contraddittori, non può essere il destino pericoloso che discende dal mancato aggiornamento di 3 professori ostinati.
c) Il “mostro” che i 3 docenti vorrebbero consigliare come soluzione conosce anche una formulazione assai curiosa. Affianca alla cattedra di “teologia morale fondamentale” una cattedra di “teologia morale dell’accompagnamento”. Qui la nomenclatura tradisce la grave incomprensione. Secondo Amoris Laetitia non puoi fare “morale da scrivania o da balcone” e in parallelo stare “nella strada”. L’unico accesso alla verità fondamentale della famiglia, del matrimonio, avviene mediante l’accompagnamento. Questo è il punto che, metodologicamente e epistemologicamente, resta del tutto cieco nella proposta avanzata con troppa ingenuità scientifica. Sembra dire: volete parlare d’altro, fatelo pure, ma lasciateci il nostro giocattolo esattamente come prima. Questo è contrario al servizio della teologia, che non può mai essere autoreferenziale. La teologia non è mai “per se”, ma “per altro”.
d) Dietro a tutto ciò vi è, in fondo, la riproposizione di un modello di autorità ecclesiale, ridotto alla ripetizione del passato. E’ l’idea, che i 3 professori hanno espresso in mille variazioni dopo l’aprile del 2016: come un disco incantato hanno ripetuto che tutto è già contenuto in Familiaris Consortio, dopo la quale può esservi solo qualche postilla non scientifica. I nostri 3 professori guardano solo al passato, ma senza respiro storico e con bassissimo interesse culturale. Questo fa male al matrimonio e alla famiglia. Per questo possono concepire il “novum”solo come una appendice “pratica” ad una stuttura teorica integralistica, fondamentalistica e rigida, acquisita e insegnata una volta per tutte. Questo è ciò che, fin dai suoi primi numeri, Amoris Laetitia chiede che venga rapidamente superato.
Credo che la proposta di mediazione, così come è stata formulata, permetta di capire bene le ragioni di quel “cambio di paradigma” che interviene nella Chiesa come una benedizione. Permettendo alla teologia cattolica del matrimonio di recuperare quel terreno originario in cui dialoga strutturalmente con la storia civile e con la cultura comune, senza che un “teologo fondamentalista” possa pretendere di stare fuori dall’una e dall’altra, in base a nozioni che in verità non vengono né dalla teologia né dalla morale, ma da una concezione decandente e idealizzata del diritto canonico, che era presente fin dalla radice dell’Istituto, nella pretesa apodittica del pensiero di Carlo Caffarra. Questa impostazione rigida e integralista va rapidamente superata. La mediazione è dunque una falsa mediazione e manifesta invece una vera incomprensione della svolta necessaria. Una incomprensione che, come tale, mi sembra del tutto incompatibile con il nuovo disegno a cui l’Istituto è stato giustamente aperto e indirizzato da coloro che oggi lo guidano con saggezza e lo orientano con rinnovata prudenza.