La vera prudenza: il ministero e i suoi travagli
Che cosa sia “prudenza”, nel campo del ministero ordinato, non sembra un dato acquisito. Anzi, forse i passaggi più delicati, anche nella storia della Chiesa, sono quelli in cui non si può dire con sicurezza che cosa sia veramente “prudente”. Da un lato, infatti, appare chiaro che sul piano dello studio e della ricerca, debbano esservi forme audaci di pensiero, che assumano il “cambio di paradigma” e la “rivoluzione culturale” di cui leggiamo in VG 1-6. Nello stesso tempo, la amministrazione e la pastorale sembrano inclinare, piuttosto, ad una prudenza difensiva, in cui prevalgono le poche certezze del passato piuttosto che le numerose incertezze del futuro. D’altra parte un elemento trapela, nella diversità dei problemi, come fondo comune. Cerco qui di arrivarci per gradi.
a) Le questioni brucianti
Un elenco di questioni assillano ormai da decenni la identità ministeriale cattolica. Possiamo identificarli in questi tre:
– Il criterio del “celibato” come garanzia di vocazione e di svolgimento del ministero;
– Un ministero ecclesiale che possa essere attribuito e riconosciuto anche a soggetti di sesso femminile;
– Il dramma di “abusi” di cui i ministri della Chiesa si sono resi e si rendono responsabili, in una mescolanza di “autorità distorta” e “sessualità perversa”.
b) Il movimento lento
Come è evidente, su ognuno di questi punti, qualcosa di importante è già avvenuto:
– L’accesso al ministero ordinato di diaconi sposati ha introdotto nel “sistema ministeriale cattolico” una prima eccezione al celibato; addirittura si ipotizza di poter riconoscere a sposati un “munus sanctificandi”, ma non un munus regendi e docendi;
– La maggiore attenzione al ruolo femminile ha introdotto alcuni soggetti femminili in ambiti di esercizio effettivo della autorità ecclesiale, anche se non ancora nel ministero ordinato; alle donne non si fa fatica a riconoscere un “munus docendi” o un “munus regendi”, ma non un “munus sanctificandi”;
– La piaga degli abusi riguarda la Chiesa non tanto sul piano della sessualità – che ha in comune con altre forme di vita – ma sul piano della autorità. E’ la particolare affidabilità dei soggetti a rendere tanto grave e squalificante l’abuso. Su questo piano, nello scalfire la autorità intoccabile dell’ecclesiastico, la Chiesa ha già fatto cose importanti.
c) Il punto cieco
Tutti questi passaggi, tuttavia, non sono sufficienti. La “prudenza”, in questo caso, non consiste nello stare fermi, ma nel muoversi. Ora il movimento, se considera come possibile una certa “autonomia” tra i “munera” che caratterizzano il ministro, dovrà quanto prima configurare forme di “formazione”, di “vocazione” e di “servizio” che articolino in modo nuovo e originale la sequela di Cristo in termini di annuncio, di governo e di culto. L’elemento comune, in questi tre ambiti, è la differenza sessuale come luogo di mistero e di autorità. Proviamo a considerarla sui tre livelli più problematici.
– Il ministro della Chiesa può essere sposato? La risposta è differenziata per il diaconato, per il presbiterato e per l’episcopato. Qui vi è una lunga tradizione, occidentale e orientale, che conosce diverse soluzioni. Prudenza vuole che non si improvvisi; ma prudenza vuole anche che non si resti fermi. Uscire da una disciplina che viene percepita come una dottrina è un compito urgente. Ripeto: è più prudente muoversi che restare fermi;
– Il ministro della Chiesa può essere di sesso femminile? La risposta non è chiusa. Lo spazio per una “ordinazione diaconale” di candidati di sesso femminile è una via percorribile, purché non si ritenga che il principio della differenza sessuale sia portatore di una differenza di autorità. In questo passaggio, anche sulla base dei precedenti storici, ma con la coscienza della diversità culturale ed ecclesiale dei tempi moderni, una decisa iniziativa di apertura è l’unica forma di vera prudenza. Una prudenza attendista e diffidente rischia di apparire come la forma più pericolosa di imprudenza, quasi come una sventatezza;
– Sugli abusi pesano, inevitabilmente, diversi fattori. Non vorrei che si trascurasse come, sul problema di comportamenti umanamente ed ecclesialmente distorti, che ledono gravemente i terzi minori, pesino sicuramente rappresentazioni rigide sia del celibato, sia del mondo femminile. Nessuno può trovare qui automatismi, ma neppure può evitare correlazioni. Non credo che si possa davvero affrontare la questione ecclesiale degli abusi se non si produce contemporaneamente una visione più equilibrata e personale del celibato e un riconoscimento più limpido e onesto della autorità femminile. Tutto questo è collegato. Guai ad affrontarlo per compartimenti stagni.
Prudenza, dunque. Come avviene in quegli incroci della storia, nei quali, per non restare imbottigliati e bloccati nella propria marcia, la forma di prudenza più consigliabile è quella di schiacciare, risolutamente, sul pedale dell’acceleratore. Scriteriato sarebbe solo ostinarsi a frenare.