Nascere e morire, iniziazione e promessa: alcune recensioni (/1 di Giuseppe Villa)


Due volumi, appena usciti, meritano attenzione perché aiutano a comprendere in modo più profondo il grande mistero del vivere e del morire, che in questi giorni celebriamo con le Feste del Natale e della Epifania. Vorrei proporre qui alcune recensioni (di altri autori e mie) per scoprire i tesori che la riflessione teologica è capace di scandagliare, con un pensiero alla altezza della fede. Inizio qui dalla recensione che G. Villa ha fatto dell’ultimo volume di P. Sequeri, che si intitola “Iniziazione: dieci lezioni su nascere e morire”. Ringrazio D. Giuseppe per questa lettura.

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L’iniziazione: dieci lezioni su nascere e morire”

Nuovo compito di una ontologia teologica che coordini il pensiero, gli affetti e le rispettive relazioni

di D. Giuseppe Villa

 PierAngelo Sequeri è uno dei teologi più noti in Europa. Tanti lo ricordano come Preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II a Roma e prima Preside e docente alla Facoltà Teologica di Milano e docente di estetica teologica presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e nei Seminari della Diocesi di Milano. Tanti sacerdoti lo ricordano ancora come insegnante nei seminari milanesi. Qui riprendo il suo nome per l’ultimo libro che ha pubblicato: “L’iniziazione: dieci lezioni su nascere e morire”, edito da Vita e Pensiero.

Il percorso teologico di Sequeri

Difficile riassumere tutto quanto ha scritto. Il suo percorso è “un’insieme” e può essere preso da luoghi diversi, anche da un “umanesimo” che, forse, riassume il versante più sensibile della sua riflessione. Il percorso sviluppato nei decenni scorsi illustra una frequentazione rigorosa e un discernimento di ciò che può essere detto: dunque del nominabile, dell’affidabile, del praticabile a riguardo di ciò che è giusto che l’uomo sia, grazie anche e soprattutto per quello che è stato e ha fatto Gesù, Figlio del Padre.

Le tre parole riassumono bene anche le sue pubblicazioni, in particolare il sostantivo “affidabile”, che nella sua opera maggiore porta proprio il titolo de “Il Dio affidabile”, dove formula la sua tesi principale di un’ontologia degli affetti, qui in particolare quelli emergenti con il nascere e il morire. L’io contemporaneo ne coglie l’eccedenza, poi però affoga nell’istante in cui tutto diventa niente, apparendo al genere umano una contraddizione insensata, pur senza avere i mezzi per scioglierla.

«Ma che cos’è nascere e morire, realmente, per l’io?» Il teologo si interroga e constata che «noi siamo tutto da altro e, al tempo stesso, niente di noi è altro da noi». E poi si affida alla testimonianza e alla missione cristiana per affrontare il compito di contrastare la grande depressione nichilistica dell’umanesimo nel nostro tempo, che si ripiega sul gesto narcisistico della cura di sé, che rappresenta il fulcro simbolico della tendenza negativa del nostro tempo.

L’iniziazione

Il libro in questione, “L’iniziazione … sul nascere e il morire”, mostra come si sia creata in noi una certa assuefazione al carattere marginale e casuale del nascere e del morire. Mostra anche come l’attuale epoca abbia trascurato il processo dell’iniziazione alla vita che non muore, a causa de «l’ottusità affettiva della nostra economia di sopravvivenza», più adatta per le macchine intelligenti, di certo non per noi!

Il cristianesimo ha introdotto la novità della “generazione” esattamente nel credo, là dove dice “generato non creato”. Questa novità si trova nel testo del Concilio di Nicea (325 d.c.), il quale scegliendo per il Figlio la nota della “generazione”, segnala la possibilità di una distinzione tra “creato e generato” per dire l’intimità della loro relazione e la promessa per noi di essere figli nel Figlio. Tale distinzione trasforma radicalmente, secondo Sequeri, il modo di pensare Dio. Non solo. Il suo riflesso imporrebbe una radicale modifica delle coordinate del pensiero nelle quali ci siamo assuefatti a pensare il fondamento e l’origine. Dopo quel Concilio, però, la teologia ha privilegiato, già da Agostino, fino ai giorni nostri l’unicità di Dio, proprio a partire dal concetto di creazione, “lasciando” in ombra la “generazione”, con i suoi correlati di affezioni e di relazioni. La “generazione”, infatti, introduce nell’impensabile intimità della relazione di Gesù con Dio Padre, aprendovi la destinazione per un’umanità imperfetta. Impensabile anche per la religione più alta, eppure la fede cristiana si muove da lì.

Il compito della teologia è ormai definito proprio dalla possibilità e dalla necessità di sondare questa correlazione, che implica inevitabilmente la revisione critica dei parametri secondo i quali la filosofia occidentale ha sviluppato la teoria e la critica di quelle categorie sull’unicità di Dio. La possibilità e la necessità di revisione critica riguardano pure “l’ordine degli affetti”, che non sono una competenza esclusiva della filosofia occidentale, oggi particolarmente allo scoperto e campo di confronto per ogni sapere degni della vita umana.

Conclusione

La trasformazione del modo di pensare Dio, dunque, non cambia solo le coordinate del pensiero, ma anche quelle degli affetti e delle rispettive relazioni. L’evoluzione della cultura occidentale, infatti, nei suoi salti e scarti ci ha portato attualmente ad essere “pieni” di affetti, ma senza pensiero, oppure saturi di pensiero senza affetti. Si tratta di «combinazioni totalmente estranee di legami che fanno umano l’uomo» (dal discorso per il centenario dell’Università Cattolica, 13/12/2021). Eppure, «tra le qualità del pensiero e le affezioni per le cose della vita» c’è una relazione intrinseca. Un rapporto così profondo che, quando viene a mancare, ne «soffriamo endemicamente». Lo testimonia la «cultura contestuale» che, senza questo legame, mostra evidenti «segnali di patimento». Di qui la sfida «indispensabile» e «urgente» per tutti noi: appassionarci nuovamente al rapporto fra devozione e riflessione, ordine degli affetti e ordine del logos.

Don Giuseppe Villa

 

 

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