Le risposte ai “dubia” e la fine del “dispositivo di blocco”
Il documento Responsa ad dubia della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti su alcune disposizioni della Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» Traditionis Custodes del Sommo Pontefice Francesco aiuta a comprendere meglio la questione di fondo che il MP “Traditionis custodes” ha risolto 5 mesi fa e che fatica ad essere compresa in quella regione ecclesiale che, a partire dal 2007, era stata illusa sulla possibilità di valorizzare una “indifferenza istituzionale” verso la Riforma Liturgica. Il “vulnus” di quella intemperanza istituzionale oggi crea ancora vittime. Un breve sguardo al recente documento è in grado di farci capire dove si collochi il problema fondamentale.
Domande e risposte
Il documento non è altro che un insieme di “dubia” (ben 11) , ai quali viene dato un “responsum” quasi sempre con una “nota esplicativa” che precisa i motivi per i quali è prevalso il sì o il no nella risposta. Da notare è che, prima dei responsa, vi è un testo piuttosto articolato, a firma del Prefetto Roche, che chiarisce come la “mens” del MP Traditionis custodes sia quella di ristabilire il percorso normale di riforma liturgica, così come viene riascoltato sia dalle parole di papa Paolo VI a chiusura della II sessione del Concilio, sia nei termini della “irreversibilità” ripresa recentemente da papa Francesco. I temi fondamentali su cui vertono le questioni sono il modo di interpretare le competenze episcopali – che TC ha restituito ai Vescovi – o quali siano i libri, i soggetti e i luoghi coinvolti nella celebrazione del Rito pre-conciliare. Mi pare che le risposte siano fondate sulla logica della riforma liturgica e sul buon senso.
Da dove vengono i “dubia”?
Credo che sia utile, oltre che considerare la importanza delle risposte, sofferemarsi sulle domande sollevate. Ed è molto importante chiedersi: da dove scaturiscono questi interrogativi? Chi li ha sentiti sorgere nel proprio cuore e nella propria mente? La risposta è molto semplice: vengono da tutti coloro che, in modo inavvertito e superficiale, talora in modo ideologico e superficiale, avevano potuto credere che “Summorum Pontificum” istituisse ufficialmente la “non irreversibilità del Concilio Vaticano II”. E che quindi tutto quello che dal 1963 era diventato sempre più autorevole, aveva scritto pagine di storia, istituito forme rituali, ripensato le vite e convertito i cuori, potesse essere guardato con una alzata di spalle, come una “possibilità”, ma non come una necessità. Così, in 14 anni di “pratiche parallele”, una serie di uomini e donne, di preti e di vescovi, di abati e di monaci, di religiose e di religiose, si sono lasciati affascinare da questo “mito”. Il mito della “reversibilità” del Concilio Vaticano II, il mito del parallelismo rituale, il mito della “devianza conciliare”, il mito non solo della “messa di sempre”, ma della liturgia immobile e della tradizione monumentale.
Quando salta il “dispositivo di blocco”
Ma c’è di più. La questione non riguarda né solo né soprattutto la liturgia. E’ il Concilio Vaticano II in quanto tale ad essere in gioco. Come è stata proprio la liturgia il primo livello su cui il Concilio ha avuto la forza di una “riforma”, un sogno coltivato a partire dagli anni 80, e durato quasi 35 anni, ha preso forma nel fermare la riforma liturgica, per svuotare il Concilio di ogni autorità. Le forme della comunione, l’esercizio del ministero, il ruolo dei laici e delle donne, la relazione tra centro e periferia, le scelte nella traduzione delle parole e dei gesti: tutto ha potuto essere pensato come “assolutamente immodificabile”. Questo è accaduto, in modo simbolico, proprio nella liturgia, nelle sue forme da tradurre e da inculturare, e che sono apparse per 30 anni, custodite solo dal passato e non dal futuro. Un vero e proprio “dispositivo di blocco” si era andato perfezionando sul piano liturgico: e alla vigilia di questo grande passo – che non è altro che un ritornare sulla grande strada del Concilio – non avevamo visto una grande Congregazione pubblicare una versione puntigliosamente “riformata” del rito che si pretendeva “irreformabile”?
Il gioco degli specchi e la tradizione che viene dal futuro
Il giochino, che fanno spesso anche i bambini, è questo: chi porta la guerra fa la vittima e chi cerca la pace è dipinto come guerrafondaio. Non bastano le dichiarazioni e le intenzioni, per dire che Summorum Pontificum era un documento di pace. Io mi sono convinto, fin dal 2007, che eravamo di fronte ad un pesante attacco non alla liturgia, ma al Concilio. Oggi, nel mito dei “dubbiosi”, quel testo sembra il “paradiso perduto” della pace nella Chiesa. Nulla di più falso. Così come è falso pensare che queste equilibrate risposte ai dubbi siano “intolleranti” o “pesanti” o che “infieriscano” sui deboli. Riportano semplicemente le cose alla ragione. Purtroppo questo oggi è più difficile perché moltissimi di coloro che dal 2007 avrebbero potuto scrivere, parlare, testimoniare, obiettare si sono adagiati in un barile, sotto sale, come piccoli pesci. Per la dignità del ministero pastorale e teologico non è il massimo, anche se garantisce la conservazione (di sé). La voce alta dei dubbiosi oggi ottiene risposte pacate e serie, che rischiano di essere fraintese proprio a causa della ambiguità con cui molti prima hanno o taciuto o parlato solo per enigmi. La tradizione migliore ci attende nel futuro: nell’unico rito comune, che ora, doverosamente, TC ha ricollocato al centro, per tutti, possiamo fare entrare il meglio sia dei dubbi più accorati, sia delle risposte meglio fondate.
Caro Professore, lei spiega molto bene la via d’uscita dal vicolo cieco in cui i tradizionalisti volevano bloccare la Chiesa. Questi talebani cristiani, alcuni dei quali sono anche cardinali e arcivescovi, sono già furiosi e passeranno un brutto Natale. Speravano di aggirare il Motu Proprio non applicandolo. Papa Francesco non è così stupido. Mi chiedo anche se alcuni tra loro non andranno di nascosto dal marabutto per farsi pungere le statuine di papa Francesco! Rido di loro, ma è tutto ciò che meritano.
Quando non si aiuta fin dalla scuola la libera formazione identitaria di ciascuno e il solo allora autentico scambio, quando la ricerca del vero è incanalata nelle logiche degli istituzionalismi, degli apparati e quindi diventa di fatto un optional mancano le basi per un sempre più vivo discernimento.
https://gpcentofanti.altervista.org/la-falsa-sinodalita-razionalista/
Egregio Prof. Grillo, lei scrive “La tradizione migliore ci attende nel futuro: nell’unico rito comune, che ora, doverosamente, TC ha ricollocato al centro, per tutti” . E’ davvero ottimista e temo non abbia molta conoscenza del sud del mondo, unico luogo dove teoricamente la Chiesa cattolica sarebbe ancora – umanamente – vitale.
Nella mia esperienza le chiese sono vuote non solo in Occidente (in questi giorni uno spettacolo orrendo di chiese totalmente vuote con solo pchi ottantenni rimasti) ma anche nel sud del mondo. Ad esempio in sudamerica ma anche in India e nelle Filippine i cattolici vanno sempre meno a Messa e soprattutto smettono di credere o diventano protestanti. Ho visto con i miei occhi un disastro in questi Paesi. Non si può dare la colpa a un rito e a un modo di concepire la fede praticamente spariti da metà anni ’60, cioè alla “tradizione”. Sarà anche il caso di dire che molte cose del Concilio e del rito attuale sono disastrose e in futuro si potranno rivisitare, proprio come il Concilio ha rivisitato il passato. Altrimenti tra 50 anni saranno rimasti solo pentecostali e lefevriani… e i teologi come lei dovranno trovarsi un lavoro vero invece di scrivere libri sul sesso degli angeli.
Sì, sono ottimista e credo di scrivere libri interessanti. Ne uscirà tra poco uno intitolato Oltre Pio V. Buon Natale
Gent.mo Grillo,
ora godetevi pure il vostro quarto d’ora di celebrità. Che questi provvedimenti siano la salutare applicazione di concilio&co potrete di certo pensarlo. A salvarvi non sarà certamente l’ennesima “celebrazione” con arcobaleni, pallincini e presepi costruiti dentro ambulanze portate in chiesa. Storce il naso perché parlo sempre di “abusi”? No. Semplicemente perché ormai siete sommersi dal ridicolo liturgico. Basta entrare in una chiesa parrocchiale qualsiasi per rendersi conto che le stupefacenti novità e ricchezze liturgiche, di cui continuate a pontificare in illeggibili e pletorici documenti, hanno al massimo ancora 20 anni di vita. Tanti auguri!
Centofanto, ma che c’azzecca (come diceva il tradizionalista Di Pietro)?
Una domabda personale, caro Grillo: ma lei crede ancora alla validità delle quattro parole collocate nell’ immagine di apertura? Di fatto quellla è la Messa. Il resto, che chiamiamo messa, ma anche celebrazione comunitaria o altro (sinasssi è il peggior termine che abbia sentito in un cirso di liturgia pastorale) dobbiamo avere il coraghipbdi dire che è altro: autocelebrazione in cui Gesù appare come un orpello facilmente eliminabile. E poi mi viene a parlare di cerebralismo rituale! Da più di 50 anni avete svuotato il rito di senso per dare ALTRI significati. E adesso vuole di nuovo parlarmi di tradizione da implementare? Con cosa, di grazia?
Con la vita, caro Matteo
Sì va bene. Ormai sapete dare solo risposte retoriche o pseudosentimentali. Avete perso il senso della realtà liturgica e parlate di vita, tra chiese svuotate e assistenti alla liturgia (!) che ti richiamano se ti inginocchi perché il protocollo covid non lo permette. Ma di quale vita parlate? Ridicolo poi che ogni esternazione durante le omelie o aggiunta deviante al rito, anche la più estrosa, siano di fatto permesse… con che faccia parlate di unità? Solo a vostronuso e consumo.
Come in tutte le espressioni di vita anche la Messa dipende dalle persone che vi partecipano. La forma è molto importante, ma è sostanziale la qualità di partecipazione sia del ministro ordinato sia dei fedeli.
Nella mia parrocchia ad esempio chi desidera inginocchiarsi per ricevere la Comunione può farlo.
Come in tutte le occasioni comunitarie poi è verosimile che ci sia qualcuno che vorrebbe che le cose si svolgessero in maniera diversa, ma anche questo fa parte della vita.
Caro professor Grillo, non ho grandi nozioni teologiche e il mio livello mi consente di sentire affinità con “teologi” come Georges Brassens (“ils ne savent pas ce qu’ils perdent, ces fichus calotin, sans le latin, sans le latin”) o Paolo Conte (“Preferivo la messa antica, latina, misteriosa, che lasciava spazio alla preghiera solitaria”) e altri “laici” molto più in alto nella gerarchia poetica letteraria e culturale il cui pensiero tuttavia è molto ben sintetizzato da Brassens e Conte. Non mi sono mai sognato di non accettare o addirittura combattere il Vaticano II. Quello che conosco dei suoi documenti, chiedo venia se tralascio l’enigmatico “spirito del Concilio” di cui non conosco documenti ufficiali, mi trova totalmente d’accordo, nel mio piccolo. Ma non credo che lo Spirito Santo illuminasse anche varie cose che sono successe dopo, nel para-concilio come lo chiamava padre De Lubac. Lei non usa i termini “educare” o “rieducare” alla vera Messa, riferiti a quelli come me, come hanno invece usato anche insigni porporati in questi giorni, e fa bene. Il concetto comunque, anche da parte sua, aleggia. A me pare si vada ben oltre i limiti del lecito. La soluzione di SP, che lei tanto ha combattuto e combatte, caro professore, era saggia, perché lasciava uno sfogo. L’obiettivo era lasciare che fosse il tempo a far uscire di scena il vetus ordo, magari dopo aver ripreso qualche cosa nel novus ordo, come la Costituzione apostolica SC aveva invano indicato. Se si va agli estremi e si scelgono le maniere forti, vuol dire che sentimenti e idee di una parte non infima dei fedeli non contano, e non è segno di vera forza, ma di confusione e debolezza. Parturiunt montes. Ed è segno che nemmeno conta nulla il vecchio Ratzinger, un perfetto bacucco. Chissà che qualche successore non riservi trattamento analogo all’attuale pontefice. Penso che vari cristiani vivono benissimo alla larga dalla gerarchia e dai teologi. Basta il Vangelo, sola scriptura come lei mi insegna, e come hanno predicato tutti i sostenitori moderni della “Chiesa povera” a partire da Giuseppe Dossetti, che lei ben conosce e, credo, molto apprezza Se una Chiesa vuole “rieducare” persone con i capelli grigi o bianchi che hanno condotto, o cercato di condurre, una vita da buoni cristiani, e spiegargli a 50 o 70 anni che cosa è il vero cattolicesimo, cioè quello inventato dalla gerarchia contemporanea e questo in una Chiesa con 2 mila anni di storia, siamo alle comiche. E la melodia sarà suonata e cantata sempre più a porte chiuse. Del resto, a parte pochi intimi, e a parte Vaticano e curie vescovili e non tutte, chi ha prestato attenzione al Motu Proprio del luglio scorso? Quello che succede nella Chiesa evapora ormai già sul sagrato.
La questione del papato
Nella Chiesa si parla di solidarietà, di ecumenismo, di fratellanza, di sinodalità, ma vi è un problema grande che non facilita tali percorsi. Si tratta della questione del papato. Come stimolare una crescita libera e autentica delle persone e dunque anche un autentico scambio e dunque una più vera fratellanza, la sinodalità e via discorrendo se poi la gerarchia, i media cattolici, le università pontificie, tutto l’apparato deve ripetere pedissequamente il pensiero del vicario di Cristo regnante?
Tra l’altro in un’epoca di pensiero unico rischiando di finire per avallarlo. Quanto è importante stare bene alla larga da logiche di sistema che dominano col silenziamento di fatto di ogni libera partecipazione e persino con la calunnia e ogni forma di persecuzione.
Pare necessario individuare i punti essenzialissimi della fede e poi lasciare a ciascuna realtà di esprimersi, certo nei criteri della fede stessa. Il papato a servizio dei carismi nella Chiesa e non dominatore. Ciò potrebbe comportare il rischio di un infragilimento della compagine cattolica rispetto ai poteri terreni? Forse al tempo dell’ascesa degli stati nazionali tale pericolo era maggiore ma oggi nel tempo del globalismo omologato dei potenti del virtuale la difficoltà maggiore sembra venire da un forzato uniformismo interno.
I codici, le parole d’ordine schematiche, gli istituzionalismi culturali che rendono un optional la libera e condivisa investigazione del vero, favoriscono poi e anche sono favoriti dalla base filosofica del pensiero unico: l’astratto, svuotante, razionalismo, il tecnicismo a tutto campo. Mentre, fin dalla scuola, la libera crescita identitaria ed il solo allora autentico scambio possono giovare alla ricerca di una più autentica ed equilibrata, viva, crescita personale.
La Chiesa può divenire un profondo lievito di maturazione in una società che va sempre più verso il crollo, lo svuotamento totale, il rendere ciascuno mero, isolato, consumatore perso in una massa anonima.
Non capisco questa persecuzione contro la messa tridentino, che ha dato alla chiesa in passato grandi santi e che nell’attuale fase storica è il rifugio per coscienze bisognose di spiritualità e sacralità. Di fronte a questi provvedimenti il mio essere Cristiano e messo profondamente in crisi.
PERCHÉ?
Se provvedimenti ragionevoli le fanno entrare in crisi la fede, penso che il problema non sia dei provvedimenti. Buon Natale, se riusciamo ancora a capire di che cosa parliamo
Buon Natale Professore…la cosa che non riesco proprio a capire, sicuramente come dice lei è un problema mio, come possa chiamarsi ragionevole un provvedimento che limita la libertà. Ripeto professore……è solo un problema mio che non capisco!!!!
Caro Dorino,
La limitazione della libertà è apparente. Diciamo che è stato SP ad illudere su libertà che non esistono. Perché quando la chiesa elabora nuovi riti, nessuno è libero di appartenenvi facendo finta che non siano cambiati. Ecco il punto che è liturgico, ecciale e teologico. Ancora un augurio per il Natale
Cerco di capire. Allora, si dovrebbe pregare sempre e soltanto secundum Bugnini? E’ chiaro che Paolo VI alla fine non fu contento della nuova liturgia, espresse perplessità in vari modi e occasioni, e in ultimo mandò l’arcivescovo Bugnini, per punirlo e mai più riceverlo in udienza, in Iran, togliendogli ogni potere. Vari testimoni diretti, cito solo Louis Bouyer, parlarono di veri e propri colpi di mano liturgici che andavano ben oltre la SC, come Bugnini stesso ammise nelle sue memorie. La corrente che ebbe Bugnini come massimo esponente tornava bene alla ribalta, e al potere, solo con Jorge Mario Bergoglio. Resta il fatto che, nonostante tutti i tentativi, il novus ordo, così com’è, non ha la piena legittimità del Concilio, è un frutto del para-Concilio e come tutte le rivoluzioni non votate da nessuno, o solo da una minoranza, ha problemi di legittimità. Non so se davanti a Dio, certamente davanti agli uomini. Io non ne faccio una questione più grande di quella che è e il novus ordo mi sta bene. Ma vedere negata, o quasi, a chi la preferisce, la messa tradizionale, che anche per me ha un qualche valore perché così’ pregavano i miei vecchi, mi lascia perplesso e dubbioso circa la saggezza degli attuali reggitori della Chiesa cattolica. Uno degli aspetti più profondi di una religione antica e strutturata è la capacitò di creare ponti ideali, e vivi nella fede, tra le generazioni. Perché cambiare tutto? Fu lo spirito del 68. E il fatto che anche molti vescovi abbiano danzato al canto di quelle sirene mi conferma nell’antica prudenza, se non diffidenza, che ho sempre nutrito verso il potere, compreso quello ecclesiastico e teologico.
Leggere la recezione del Concilio come “frutto del 68” è un teologoumeno che J. Ratzinger ha abbondantemente coltivato. Ma non per questo è un criterio corretto e onesto. Proietta sulla storia troppa emotività e arriva a ipotizzare, come lei fa, che la Riforma non sia giustificata dal Concilio. COsì facilmente si scivola nelle braccia di Lefebvre, che non sono affatto libere da pregiudizi. La diffidenza verso il potere, quella sì che è una chiara traccia del 68, nel bene e nel male. E così si finisce per vedere come despota Francesco e come liberale Benedetto, ma questa è solo la proiezione dei propri fantasmi, che non tocca veramente la realtà in gioco.
Caro professore non condivido né i presupposti, né conclusioni del suo ragionamento, chiaramente dal mio punto di visto considero il S.P. un atto di libertà , tolleranza e di riconciliazione della chiesa con la sua storia. Ciò detto la caso che però non è molto bella di questa vicenda, che un Pontefice smentisca totalmente il magistero del suo predecessore, tra altro vivente, del calibro culturale e teologico di Pàpa Benedetto. Di nuovo buone feste e ai posteri l’ardua sentenza.
Caro Dorino, non è Francesco af aver contraddetto un suo predecessore, ma Benedetto, sia pure negli effetti e non certo nelle intenzioni. Ma di sicuro le cose dette e scritte da Giovanni xxiii da Paolo vi e da Giovanni Paolo II non sono compatibili con SP. Di questo ha preso atto Francesco. Buona Domenica
Mi sembra un po’, con tutto il rispetto, uno scaricabarile.
La Tradizione riempie chiese, monasteri e seminari che il modernismo ha desertificato.
La Tradizione è giovane e feconda … il modernismo è vecchio e sterile …
Questa è la realtà … e la realtà ha la testa dura …
Tradizione e modernismo: leggere le cose con gli occhiali di 120 anni fa. E prendere fischi per fiaschi è un attimo.
Signor Mario Margiocco,
Potrebbe chiarire il concetto di scaricabile?
Grazie
Scaricabile non è il mio caso, non ho problemi di bile da scaricare. Scaricabarile è, in questo caso e nella maggior parte dei casi, il tentativo di attribuire ad alcuni le responsabilità di altri. Nella fattispecie. dire che papa Francesco ha dovuto intervenire perché papa Benedetto aveva disatteso con la SP quanto detto da Giovanni XXII, Paolo VI, e Giovanni Paolo II. Quindi occorreva stabilire la linea corretta della tradizione. Ora, io non sono un esegeta dei discorsi e documenti papali e uso solo quel poco che conosco. Ricordo solo che per quanto riguarda la liturgia, e il latino che della liturgia tradizionale è il simbolo (latino + gregoriano), ci sarebbe una Costituzione apostolica di inizio 1962 a firma Roncalli e intitolata Veterum sapientia che raccomanda con insistenza di non sottovalutare il latino e chiede a vescovi e superiori di ordini religiosi di frenare gli ardori modernisti di chi vorrebbe abolirlo del tutto. Il latino è la Chiesa e la sua cultura, dice papa Roncalli. Mai documento papale è stato, nei tempi moderni, così studiosamente ignorato, disatteso e tradito. Il suo autore, per i moltissimi che non hanno mai voluto tenerne conto e continuano fermissimamente a ignorarlo e a nasconderlo, è un incubo. A fronte di storielle come questa ho seri dubbi sulla gerarchia e penso che da tempo lo Spirito Santo si prenda frequenti vacanze e lunghi fine settimana. Per concludere: non vedo dove Benedetto abbia fatto qualcosa che i suoi tre predecessori proibivano; Paolo VI approvò il nuovo rito, tra vari dubia, e disse che era quello il nuovo rito romano. Il vecchio non fu mai proibito, sarebbe difficile dire che una preghiera universale fino a ieri è da oggi impronunciabile, ma messo su un binario morto. Giovanni Paolo e Benedetto dissero che poteva fare ancora qualche chilometro. E’ Francesco che ha acceso le luci di fine corsa. Dire che non è così è uno scaricabarile.
La corsa era finita nel dicembre del 1963. Tutti coloro che hanno fatto finta di niente sono responsabili del “trauma” che alcuni, illusi da parole vuote, si sono cullati nella idea che la corsa del “vetus ordo” non finisse mai. Le cosa cambiano, e non sempre in peggio. La cosa che Benedetto ha fatto, e che nessuno dei predecessori avrebbe mai condiviso, è di ipotizzare (sofisticamente) che possano esistere in parallelo due “leges orandi” di cui una è sorta per correggere l’altra. MI dica lei se questo non è davvero un atto di insubordinazione alla tradizione. Che Francesco ristabilisce nella sua logica “paterna” e non “paternalistica”. Nessuno mette sul binario morto la “preghiera universale”. La Chiesa la traduce in un altra forma, nella quale essa continua a vivere. La forma precedente esce dall’uso. Così è sempre stato. Ripeto, la “fine corsa” si è accesa con i numeri 47-58 di Sacrosanctum Concilium.
Credo che leggere la Sacrosantum Concilium in termini di rottura liturgica, di rivoluzione, sia un arbitrio. Profonda innovazione sì, rottura e rivoluzione no. Del resto, carta cantat.
Lei dice che la campana a morto per il vetus ordo suonava il 4 dicembre 1963 con la promulgazione della SC votata poco prima a schiacciante maggioranza dal Concilio, 2158 sì e 19 no. Nei punti 47-58 ci sarebbe la tomba del vetus ordo.
Non mi sembra vero. Il precedente punto 36, propedeutico ai successivi, recita: “L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini” I punti 47-58 precisano tra l’altro che il latino doveva cedere parecchio spazio alle lingue nazionali, in modo da consentire una agevole partecipazione dei fedeli al dialogo con il celebrante. In particolare cito integralmente il punto 54:
“Lingua nazionale e latino nella messa
54. Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale, specialmente nelle letture e nella « orazione comune » e, secondo le condizioni dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a norma dell’art. 36 di questa costituzione. Si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’ordinario della messa che spettano ad essi. Se poi in qualche luogo sembrasse opportuno un uso più ampio della lingua nazionale nella messa, si osservi quanto prescrive l’art. 40 di questa costituzione”.
L’art.40 riguarda essenzialmente quelle che allora venivano chiamate le terre di missione, fuori cioè da Europa America e poco altro.
Ciascuno può leggere i punt i 36 e 54, e altro ancora, se vuole (mettere Sacrosantum Concilium su Google), e trarne le conclusioni che crede. Le mie sono che i punti 47-58, preceduti dal poi citato 36, non hanno abolito nulla, primo perché non lo dicono, e poi perché non sono stati rispettati dalla riforma Bugnini che, per legittimarsi, ha dovuto ottenere da Paolo VI l’esclusione di ogni altra formula. Dal riluttante pontefice, non dal Concilio.
Non c’è solo un po’ di latino a fare la differenza tra i due riti; ma se qualcuno volesse obiettare con sufficienza alle paturnie dei patiti di una lingua morta dovrebbe leggersi prima la Veterum Sapientia, Costituzione apostolica del febbraio 1962, a firma Giovanni XXIII, e lì troverebbe tutto quanto occorre sapere sul perché il latino è importante, tanto o poco che sia. Perché il latino è la lingua e quindi la patria culturale della Chiesa cattolica. Firmato, Roncalli.
Il tempo e l’oblio si sarebbero presi cura del vetus ordo, se il novus avesse rispettato i dettami conciliari. Non avendolo fatto, e non potendo decretare la morte di un rito che per 400 anni ha servito la Chiesa, gli zelori progressisti si trovano alle prese con un serio problema di legittimità della loro creatura. E atti d’imperio come Traditionis Custodes (formula da newspeak orwelliano) aggravano solo la situazione. Date un rito decente, non messe troppo spesso estemporanee, a dir poco, e vedrete.
Due note, professor Grillo. In una sua risposta lei accenna al fatto che nelle posizioni di Ratzinger e, si licet, nelle mie ci sarebbe un difetto di “onestà”. Lasciamo stare. Se si toccano certi toni ogni scambio diventa impossibile. Siamo tutti onesti, fino a prova contraria, e l’onestà esiste anche quando non concorda. Parlando poi delle mie cosette, in un’altra delle risposte lei dice che qualcuno (il sottoscritto) sarebbe vittima della “proiezione dei propri fantasmi”. Anche qui, lasciamo stare. Lei è sicuro di non avere fantasmi? Se dice sì, il caso è preoccupante.
Comunque, è sempre istruttivo dialogare con lei. E Buon Anno.
È la storia recente a dimostrare che SP si basa su sofismi pieni di ingiustizia e di livore verso il Concilio. Non devo ripetere qui quello che scrivo da 14 anni. Può trovare su questo blog decine di post dove confuto le lettura inadeguate di SC. Nei prossimi giorni uscirà una versione aggiornata di OLTRE PIO V dove tutto viene detto con chiarezza. Un buon 2022 anche a lei.
Il Papa e la fraternità S. Pio X sono d’accordo! Tutti i tradizionalisti si devono collocare a Econe. Messe, sacramenti sono perfettamente validi! Addirittura vi è l’obbligo di registrare i matrimoni celebrati dai sacerdoti della FSPX nei registri parrocchiali e devono essere concesse le chiese! Nella visione attuale gli istituti Ecclesia Dei rompono solo le scatole e quindi gli vengono messi bastoni tra le ruote! cordiali saluti.
La chiarezza non è un difetto. C’è chi la usa per essere in comunione, e chi per mettersi fuori dalla comunione. Ma gli scismatici capiscono bene che il Concilio Vaticano II implica alcune discontinuità che a loro avviso sono contraddittorie. Il tentativo di rendere compatibile riforma e antiriforma è stato l’errore di Summorum Pontificum, da cui si esce solo con una operazione di chiarezza. La “ecclesial Dei” è una cosa seria, non il nome di una commissione pasticciona.
Le celebrazioni vetus ordo continuano e continueranno in tutto il mondo con assoluta tranquillità … lo scorso anno un terzo di tutte le ordinazioni in Francia provenivano da Istituti fedeli alla Tradizione.
I nostri seminari, i nostri monasteri, le nostre chiese traboccano di vocazioni, di fedeli, di giovani … e questo i vescovi lo sanno benissimo.
La realtà è questa … e le ideologie non possono cambiarla … la fecondità sconfigge sempre la sterilità.
Grazie alla forza dei numeri, grazie alla realtà dei fatti, grazie al favore della Provvidenza anche oggi, anche domani, per sempre … INTROIBO AD ALTARE DEI …
Se la vitalità della Santa Tradizione é solo una moda … sparirà da sola …
Se la vitalità della Santa Tradizione viene da Dio … non riuscirete a spegnerla …
Non vi accada … fratelli … di combattere contro Dio … insegnava saggiamente un certo Gamaliele.
Queste letture di comodo della scrittura suscitano tenerezza
“Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio! » ( At 5, 38-39, )
Usare la scrittura in modo scriteriato è il segno di totale separazione dalla tradizione viva.
Coloro che continuano come se TC non ci fosse, si collocano fuori della comunione ecckesiale. Tranquilli non possono essere. Irresponsabili di sicuro
Coloro che continuano come se Benedetto XVI non esistesse e come se la Sede Apostolica non avesse assunto impegni vincolanti verso gli Istituti “Ecclesia Dei” si collocano fuori dalla Comunione e dalla realtà ecclesiale.
Tranquilli non possono essere … proprio perché la realtà fattuale della Chiesa supera già ora la loro visione ideologica.
Nel mondo esistono migliaia di sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e milioni di fedeli che non intendono farsi rieducare da un pugno di ideologi e che, esercitando i loro DIRITTI canonici, oggi e domani canteranno INTROIBO AD ALTARE DEI.
La realtà vince … vince sempre … perché il tempo é suo alleato.
Non vi accada … fratelli … di combattere contro Dio.
Gli errori del passato devono finire. Per questo c è una tradizione malata e una tradizione sana. Coloro che non sanno discernere sono “pusilli animi”
Vi siete illusi che i sofismi con cui Benedetto ha proposto una soluzione chiaramente insostenibile potessero giustificare i vostri abisi. Finalmente una soluzione conciliare è venuta con TC, che ristabilisce non solo la fede, ma la ragione. E i preti che vogliono rimanere tali, se non sono orgogliosi e ciechi, se ne faranno una ragione.
Caro professore ho molta stima di lei, ma non condivido il suo parlare, lo trovo settario ed intollerante e soprattutto privo di misericordia. Il lezionario quest’anno ci pone l’attenzione sul vangelo di Luca. Le segnalo la parabola della pecora perduta. A mio giudizio , ed in cio confermato dalla Dei Verbum, la sacra scrittura è la base dell’attività teologia, ma soprattutto , e la stella da seguire per ogni Cristiano, compreso il Romano Pontefice, o no?
Ora mi fa il fervorino? Abbia pazienza, non è il caso. Cammini sereno in questo nuovo anno