Ma Francesco non è il successore di Pio IX. Una replica amichevole a Pietro De Marco


Pietro-De-Marco

Caro Pietro,

poiché mi chiami in causa ben tre volte nel tuo ultimo scritto “contro Francesco”, meriti da parte mia una parola di gentile risposta. Ma non posso scrivere a te come scriverei ad un altro: tu sei e resti un amico, un caro amico, anche se, negli ultimi anni, tante volte abbiamo scritto uno contro l’altro, persino in uno stesso libro. Vorrei allora partire proprio da qui, dalla amicizia tra due professori cattolici, che si trovano ora su fronti opposti, ma non in una partita di calcio o in una discussione sul vino, bensì nel giudizio su papa Francesco. Per questo vorrei iniziare proprio dalla nostra amicizia, da dove e come è nata e dal modo con cui oggi possiamo custodirla, anche dicendo cose tanto diverse.

Il “de amicitia” di Francesco e la nostra amicizia

E’ singolare che, proprio intorno al testo che più esplicitamente mette al centro della attenzione la “amicizia sociale”, noi siamo costretti a “difendere la nostra amicizia” dalle nostre stesse idee. Se ricordi, ci incontrammo per la prima volta – penso fosse il 1990 o 1991 – in casa di Armido Rizzi, a Fiesole, dove si tenevano le riunioni della rivista “Filosofia e Teologia”. Da allora ho sempre considerato il tuo contributo di riflessione, di esame e di rilettura storica davvero rilevante e di una lucidità impressionante. Da te, allora, per la prima volta, sentii citare autori e movimenti, che avevo largamente trascurato o poco o nulla conosciuto. Questa impressione in me è rimasta intatta e viva e te ne sono grato. Anche nel testo al quale ora mi riferisco, e nel quale esamini direi impietosamente quella che tu consideri la “confusione” di Francesco, sei tutt’altro che banale. Ma, proprio amichevolmente, e con il rispetto di sempre, mi sembra che tu, da sociologo, sia rimasto vittima di una teologia troppo astratta, troppo classica, troppo rigida. Tu, in realtà,  non giudichi Francesco papa. La sua libertà rispetto alla “figura ottocentesca di papa” è solo il pretesto per giudicare non lui, ma il Concilio Vaticano II e la fuoriuscita della Chiesa cattolica dal modello tridentino e poi ottocentesco. Provo a mostrarti, con qualche argomento, che tu non parli di Francesco, ma dei fantasmi terribili che l’antimodernismo teologico – di cui non so fino a che punto tu sia consapevole di dipendere  – ti fa comparire davanti e che, giustamente, ti fanno paura.

Tenerezza verso gli uomini è oscuramento della Rivelazione?

Il tuo “attacco” (in senso musicale) è già la sintesi migliore di quello che vuoi sostenere. Da quando la Chiesa ha voluto avvicinarsi agli uomini, avrebbe oscurato la rivelazione. Questo è il primo “luogo comune” antimodernista, che tu cavalchi con destrezza, in mille variazioni, lungo il testo. E ne deduci che la “copertura legale” approvata da Francesco alle “unioni civili” non sia “lungimiranza di fraternità”, ma “complicità con il male”. Fai tue le parole del documento del 2003 della Congregazione per la dottrina della fede che, per l’appunto, restava nella posizione classica e ottocentesca: sulla unione e sulla generazione la competenza resta solo della Chiesa. Questa non è “rivelazione di Dio”, ma è “soluzione ottocentesca” di fronte al sorgere di nuove forme di vita, diverse da quelle feudali e della prima modernità. Tu, che sei sociologo tanto fine, come puoi dimenticare che la mediazione istituzionale non è rivelata – né da Dio né dalla natura – , ma “mediata” dalla cultura?

La mediazione cattolica non esiste più?

Qui io trovo, in te, per la passione con cui scrivi e per la velocità dei passaggi che proponi, una mancanza quasi totale di quella mediazione che ha fatto così grande proprio la tradizione cattolica. Per questo la dura opposizione di verità e libertà – che ha attraversato il panorama del cattolicesimo alle prese con la tarda modernità – non può essere mai una soluzione, se non si recupera un terreno previo – del dono e della fraternità – che Francesco persegue con una lucidità, che nelle tue parole – che restano appunto piantate su una opposizione verità/libertà – sembra solo ridursi a “cedimento”. E così – ma capisco che tu lo fai per sovrabbondanza di emozione – tu usi gli “entusiasmi pro-Francesco” di una “postmoderna amica tutto femminismo” come prova della debolezza del pensiero del papa. Ma tu sai bene che questo non è un procedimento molto limpido: ognuno può trovare in Francesco cose diverse, ma a lui dovresti contestare quello che dice, non quello che dicono di lui i suoi sostenitori, più o meno convinti.

Amore, sesso, omosessualità, pedofilia, apocalisse

Devo dirti, caro Pietro, che un punto in particolare mi è dispiaciuto. Pensavo che tu potessi tenerti almeno un passo indietro rispetto all’argomento per eccellenza dei fondamentalisti contro la omosessualità “riconosciuta”. Tu scrivi invece:

“la “dimensione evangelica” dell’amore – e quale? eros, philia, agape? – implica il mio assenso ora alle nozze tra divorziati, ora alla coppia omosessuale e figure annesse? E domani a cosa altro ancora? All’incesto, al sesso infantile?”

E aggiungi che “depenalizzare” significa “incentivare”. Ecco, questi passaggi troppo rapidi, questa confusione tra diritto civile e diritto penale, tra relazioni tra adulti e abusi su minori non mi sembrano in linea con il Pietro de Marco che conosco e che stimo. Queste frasi non sono veramente pensate da un uomo di pensiero, se confonde la legge con la pedagogia e la rivelazione con il codice penale. Qui, io credo, contro i suoi detrattori l’unico vero cristiano resta il papa, che sa ancora distinguere i livelli di rilevanza della fede e sa, come sapeva San Tommaso, che la relazione matrimoniale e l’unione civile e l’amicizia non sono solo “ad ecclesiam”, ma anche “ad civitatem” e “ad naturam”. E che anche una amicizia stabile e per sempre tra persone dello stesso sesso, purché non sia guardata solo con il binocolo rovesciato della “offesa alla castità”, ha una sua logica naturale che sfugge totalmente ai massimalisti della morale.

Il modernismo del papa e la difesa della razza cattolica

Tu interpreti queste “aperture” di Francesco – sulle unioni civili e in tutta la enciclica “Fratelli tutti”- con gli occhiali dell'”universalismo modernista” e metti Francesco alla scuola che da F. de Lamennais arriva fino ad H. Kueng. Forse, qui, la tua cultura europea, raffinata e sottile, non ti rende un pieno servizio. Ti porta invece, io credo, a forzare i dati e le fonti. E’ come se tu ragionassi, appunto, con le categorie di 100 anni fa. Di mezzo c’è il Concilio Vaticano II, che è il faro cui Francesco si ispira e che lo guida, appunto, a rimuovere quei “no” che per te sono assolutamente essenziali. Tu invece, remoto concilio, puoi sparare sulla croce rossa a tuo piacere. E per questo arrivi a toni davvero spiacevoli, verso la cultura contemporanea, giudicata in contumacia, e soprattutto verso papa Francesco, che maltratti come se fosse un vecchio rimbambito. Siccome pensi che il papa metta a rischio la “razza cattolica, allora arrivi a descriverlo in modo veramente ingiusto:

“Sua Santità è attualmente allo scoperto, in una forma inedita e sotto ogni aspetto controproducente per Roma e per la Chiesa, per una somma di responsabilità e debolezze: la continua confusione di privato e di pubblico, la forma improvvisata e confusa degli enunciati nell’eloquio quotidiano come nelle sedi magisteriali, la palese ignoranza dell’insegnamento cattolico di cui dovrebbe essere custode.”

Caro Pietro, qui tu parli di Francesco come se fosse il successore di Pio IX, non di Benedetto XVI! Ciò che ti sembra “ignoranza dell’insegnamento cattolico” è dovuta al fatto che Francesco, se Dio vuole, ha imparato dal Concilio Vaticano II a non leggere il mondo con il Catechismo di Pio X, che a te, invece, sembra il punto di arrivo della rivelazione, ciò a cui nulla può essere aggiunto o tolto. La storia e la storicità – che io, caro Pietro, ho imparato anche da te – non si può ridurre a quantité négligeable. Per questo mi meraviglio che tu possa permetterti di dire che il papa “ignora l’insegnamento cattolico” e per contro censuri me, per il fatto di aver detto che Mueller – e Camisasca – leggono la tradizione matrimoniale in modo fondamentalista. Perché la dottrina cattolica sul matrimonio e sulla sessualità che oggi utilizziamo è stata un costruzione ottocentesca assai raffinata, ma che da almeno un secolo non risponde più alle esigenze del Vangelo. Che tu, da sociologo, oscuri totalmente la società e la sua mediazione mi pare un paradosso, ma è proprio ciò che constato.

Il problema è la assenza del Vaticano II

Come il tuo “attacco” musicale, così i tuoi due ultimi due accordi sono “armonici” con il tutto della composizione, ma assai dissonanti, e non solo rispetto a S. Francesco di Sales. Tu scrivi:

“Ma il disordine di questo pontificato e il consenso deforme, innaturale, che si leva attorno al pontefice, sono tali da gridare al cospetto di Dio.”

Tu lamenti, con un grido finale, due cose: disordine dottrinale e consenso deforme e innaturale. E’ la stessa lamentela di Mueller e di tanti altri “umiliati e offesi” da questa stagione ecclesiale. Io credo che, alla radice, vi sia una sorta di “ibernazione” (e di “rimozione”) alla quale tu hai di fatto sottoposto il Concilio Vaticano II. E’ chiaro che tu, come tanti altri come te, che non conosco direttamente, in questi decenni avete coltivato, anche all’ombra di vistose concessioni fatte dall’alto, la illusione di “mettere tra parentesi” la svolta conciliare,  e ora, di fronte a Francesco, così disarmante come figlio del Concilio, siete sconvolti  e non credete ai vostri occhi. Perché, ripeto, sotto sotto lo considerate come se fosse il successore di Pio IX. Non è così, caro Pietro. Di mezzo c’è stato un secolo di elaborazione dottrinale e disciplinare che non si può ridurre, semplicisticamente, a “ritagli da dopolavoro”. Questo disprezzo, perché di questo si tratta, non lo capisco, se non come il segno di una grave ibernazione e rimozione.

Caro Pietro, sono lieto di essere riuscito a dirti ciò che mi premeva – con tutta la distanza che ci separa nelle diagnosi e nei giudizi – senza mettere mai in questione il fatto che, fraternamente, resta maggiore ciò che ci unisce da ciò che ci divide.

 

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