Marciano Vidal su papa Francesco e il “presentimento ecclesiale”


LA BREZZA DEL CONCILIO, A QUASI UN ANNO DALLA ELEZIONE DI PAPA FRANCESCO: 
una riflessione di p. Marciano Vidal 

Nel corso di una bella intervista, che F. Strazzari e L.Prezzi hanno fatto a p. Marciano Vidal, famoso teologo morale, e che è stata pubblicata con il titolo “La morale: dalla scolastica ai poveri” (“Settimana, 6[2014], 8-10),  tutta dedicata ad una ricca valutazione della Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”, rispondendo all’ultima domanda, p. Vidal offre una ricostruzione assai interessante del “fenomeno Francesco”, che merita di essere qui riportata e alla quale aggiungo una breve riflessione, in coda.

Per finire, una domanda generale: aspettavi quello che è avvenuto con papa Francesco?

Solo persone molto ottimiste, e dotate di un grado piuttosto elevato di ingenuità, potrebbero dire che si prospettava la rinuncia di Benedetto XVI. Quanto all’elezione del card. Bergoglio a papa, poteva essere prevista da analisti sagaci che conoscessero quanto accaduto nel conclave precedente, nel quale venne eletto papa il card. Ratzinger, e avessero preso nota degli orientamenti apparsi nelle discussioni cardinalizie previe all’ultimo conclave. Però sono convinto che nemmeno questi esperti analisti siano giunti a prevedere il terremoto nel sentire ecclesiale causato dalla prima presentazione di papa Francesco sul balcone spalancato verso Piazza San Pietro: abbandono di alcuni specifici abbigliamenti di identificazione papale, invito alla preghiera comune. Sicuramente non hanno previsto quanto successo in seguito.
Ciò nonostante, se il fenomeno Francesco ha avuto un significato così ampio, è perché questo significato è stato riconosciuto. E, se è stato riconosciuto, è perché, in gran parte, era sperato, perché era pre-sentito.
Non voglio fare giochi di parole. Voglio individuare una chiave di lettura per comprendere il fenomeno Francesco nell’attuale momento ecclesiale. E’ la maturità ecclesiale che spiega in gran parte questo fenomeno. Il modo di realizzare il ministero petrino da parte di papa Francesco non va controcorrente né ha bisogno di venire giustificato o spiegato. E’ qualcosa che si desiderava e che da parte di un buon numero, si attendeva.
C’è anche una generazione piuttosto ampia di cattolici che erano stati toccati dalla illusione di Giovanni XXIII e dalla profonda esperienza ecclesiale (teologica, liturgica, spirituale, pastorale) del concilio Vaticano II. Quello che vedono in papa Francesco sembra loro la realizzazione, naturalmente in forma aggiornata, di quel sogno primaverile degli anni ’60 del XX secolo. Ritengo che papa Francesco sia il frutto maturo del concilio Vaticano II. Lo vedo maturo perché dà per acquisito quello spirito e non si sente in obbligo di giustificare la sua attuazione ricorrendo a specifici testi conciliari. Quanti oggi benedicono Dio per il modo di agire del papa sono i continuatori di quella cosiddetta maggioranza conciliare che, dalla prima sessione conciliare del 1962, cominciarono a intravedere qualcosa di nuovo. Non voglio pensare che la dura e potente minoranza conciliare di allora trovi il suo parallelo nei settori cattolici (e non cattolici) critici davanti a certi gesti (per esempio, lavari i piedi a una donna, per di più musulmana, durante il rito del giovedì santo) e davanti ad alcune espressioni (“Chi sono io per giudicare!”) del nuovo papa.
E’ trascorso molto tempo fra le speranze suscitate dal Vaticano II e il loro compimento. Questo è, almeno, quello che sembra a molti di noi che, ai tempi del concilio, avevano fra i 25 e i 30 anni. Per molti di questi, i tempi del dopo concilio sono stati tempi inclementi e di gelo – lo annunciò il grande teologo Karl Rahner -. La corda che impediva il rinnovamento veniva stringendosi sempre di più attorno a teologi, pastoralisti, comunità di base. La corda era stata tirata troppo. Vi erano indizi che la situazione era insopportabile. Proprio per questo, il fenomeno papa Francesco, senza poter essere del tutto prevedibile, era senz’altro desiderato e pre-sentito. E’ stato visto e accettato, da una parte, come una liberazione e, dall’altra, come la realizzazione di una promessa

Commento

Provenendo da un uomo nato nel 1937, che ha dedicato tutta la sua vita alla fede e alla teologia, questo bilancio del primo anno di papa Francesco assume un significato del tutto singolare. Anzitutto si deve notare la bella intuizione di riferire il “fenomeno Francesco” a un presentimento ecclesiale, ossia alla speranza e al desiderio di una Chiesa matura, figlia della grande stagione conciliare di 50 anni fa. Il primo papa “figlio del Concilio” non  è soltanto il frutto dello Spirito Santo, che con libertà sovrana orienta e guida la vita dei fedeli, ma anche figlio di una Chiesa che non dimentica la irreversibilità di grazia della propria storia. Mi sembra che, a quasi un anno dalla sua elezione, papa Francesco possa essere giustamente compreso come questa sorpresa e come questa conferma.
Per lo stesso motivo una seconda ragione, espressa da Vidal, mi pare debba essere sottolineata: papa Francesco non ha bisogno di giustificare se stesso, nella sua novità, ma può semplicemente essere figlio di una Chiesa che, 50 anni prima, ha conosciuto la possibilità di un rinnovamento e di un aggiornamento, di una riforma e di una primavera, che ora riconosce facilmente nelle parole e nelle opere, nelle azioni e nelle omissioni del nuovo Vescovo di Roma. La prassi semplice con cui Francesco incomincia le sue giornate – concelebrando l’eucaristia e tenendo sempre l’omelia – sono, sul piano liturgico, le più evidenti conferme di questa “normalità sorprendente”.
Resta, evidentemente, la questione forse decisiva: se è stata anche la maturità ecclesiale a poter riconoscere in Francesco il proprio papa, saprà, questa stessa Chiesa, non deludere Francesco nel suo slancio gioioso e benedicente, nel suo desiderio ardente di aprire porte e finestre, di uscire dalla autoreferenzialità, di correre alle periferie? Saprà la Chiesa, che ha riconosciuto in Francesco il papa che attendeva e che aveva a suo modo preparato, farsi riconoscere da Francesco come quel “campo profughi” nel quale la misericordia di Dio si rende accessibile ad ogni donna e ad ogni uomo?

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