Messico: la faccia triste dell’America?
Quasi la metà della popolazione messicana (oltre il 40% secondo i dati della Banca Mondiale), soprattutto indigeni, vive in condizioni di povertà. L’indice di inequality, cioè di disuguaglianza, in Messico è il più elevato fra i paesi OCSE (attorno al 45%). La povertà è stato uno dei temi principali affrontati dal Papa nel suo recente viaggio, assieme alla criminalità legata al commercio internazionale della droga. Combattere povertà e criminalità non è cosa semplice in un paese dove anche la corruzione dilaga.
Che voglia di piangere ho! Le condizioni sociali sono difficili; tuttavia, l’analisi dell’economia del paese lascia intravedere segnali che fanno ben sperare. Una serie di riforme strutturali adottate nel paese negli ultimi anni sta dando buoni risultati ed ulteriori benefici sono attesi negli anni a venire.
Come evocato nella famosa canzone di Enzo Jannacci (Messico e nuvole, di cinquant’anni fa), le sorti del Messico sono molto legate agli USA, non solo per il commercio della droga e perché gli Stati Uniti sono il paese sognato dai disperati che oltrepassano muri e reticolati, ma anche per l’economia, quella sana, che negli USA invia gran parte delle esportazioni (circa l’80%). La crescita del PIL in Messico – la seconda economia dell’America Latina – ha accelerato oltre il 2% nel 2015 dall’1,4% del 2013, spinta dalla domanda di beni dagli USA e dal recupero degli investimenti, soprattutto quelli nelle costruzioni sostenuti dalla spesa pubblica in infrastrutture. Tutti gli Istituti economici internazionali prevedono un’accelerazione della crescita nel 2016. Il Fondo Monetario Internazionale, in particolare, stima un tasso di crescita del 2.5% nel 2016. La disoccupazione è scesa sotto il 4% a dicembre, il punto minimo dal 2008.
La fragilità del sistema finanziario di un paese, unita allo squilibrio nei conti pubblici (si pensi alla Russia della fine degli anni ’90), può avere effetti drammatici. Per capire lo stato di “salute” di un sistema economico occorre valutare cioè anche le condizioni del suo sistema finanziario. Sebbene il credito in Messico cresca a ritmi sostenuti (attorno al 10% annualmente), il grado di intermediazione finanziaria è ancora molto modesto, come evidenzia il rapporto fra il credito bancario ed il PIL, attorno al 30% (mentre è al 100% in Cile e attorno al 70% in Brasile, in Italia oltre il 100%), dovuto a molteplici fattori (fra cui, le notevoli dimensioni dell’economia sommersa, il basso reddito pro-capite, la prevalenza di imprese piccole con sistemi contabili inadeguati, il debole sistema legale). Estendere la disponibilità dei servizi finanziari a gran parte della popolazione è uno degli obiettivi perseguiti dal Governo, che vuole portare il rapporto al 40% entro il 2018. L’obiettivo non sembra irraggiungibile, non sembra cioè una mera promessa politica.
In Messico, le condizioni del sistema bancario sono buone, come evidenziano i principali indicatori. È un sistema bancario solido, con ampie disponibilità liquide e un buon livello di capitalizzazione. Innanzitutto, il livello dei crediti in difficoltà (le cosiddette sofferenze) è modesto, attorno al 3% dei crediti (in Italia superavano il 10% a novembre), con un grado di copertura molto elevato: le risorse accantonate per far fronte al rischio di subire perdite per questi crediti ora in difficoltà sono ben superiori alle stesse sofferenze (al 130% a giugno 2015). La redditività è molto elevata, con il ROA (che rapporta il risultato all’attivo del sistema bancario) pari all’1.7% (era 0.1% in Italia nel 2014). I risultati economici ottenuti sostengono il capitale delle banche che, con un indice di capital adequacy del 15%, risulta ben superiore al limite minimo richiesto dalle autorità centrali del paese.
Un ulteriore sostegno alla crescita può derivare da una più ampia diffusione dei servizi finanziari. Il grado di utilizzo dei conti correnti bancari nella popolazione infatti è molto basso: solo il 30% della popolazione ha un conto, ed è anche questo un indice di povertà. Ma il fatto che la popolazione sia molto giovane, lascia intravedere ulteriori rapide possibilità di sviluppo. Va da sè che alle banche – con le maggiori tre, estere, che controllano oltre il 50% delle attività totali – è chiesta una maggior attenzione verso tutte le fasce della popolazione. Anche la microfinanza – ovvero il credito di importo modesto, concesso senza garanzie – assume un peso marginale in Messico con appena lo 0.5% del PIL, basso nel confronto con altri paesi emergenti.
La riforma del 2014 che ha consentito il trasferimento dei mutui da una banca ad un’altra a costi minori ha aumentato la concorrenza fra le banche e quindi ha favorito l’applicazione di migliori condizioni (tassi e commissioni più basse) per i clienti. Si tratta di una delle riforme più rilevanti e altre ancora sono attese (prima fra tutte quella agraria) che possono avere effetti positivi per la popolazione.
Nonostante le attuali difficili condizioni sociali, il Messico mostra importanti punti di forza (senza considerare le bellezze e le risorse naturali di cui dispone) che se adeguatamente sfruttati possono contribuire ad uno sviluppo duraturo. L’auspicio – al solito – è che i risultati non vadano a beneficio di pochi, ma siano occasione di crescita per molti, specie per gli indigeni affinchè essi possano uscire dalla condizione di povertà, isolamento ed analfabetizzazione, e nel contempo consenta al Messico di perdere il primato della disuguaglianza (income inequality) (alzando l’indice di uguaglianza, si intende, senza che nessun altro paese lo “sostituisca” nel triste risultato). Peraltro, considerando che gli USA sono scesi al terzultimo posto nella stessa classifica OCSE sulla disuguaglianza, nonchè la diffusione delle armi nel paese, forse oggi Jannacci direbbe “l’altra faccia triste dell’America”.