Nei formulari dei Vescovi la piramide non è rovesciata: visite ad limina e preconcilio
Le visite “ad limina” e la piramide (non) rovesciata: da quale secolo viene il formulario per i Vescovi?
Sulle domande con cui la Congregazione (oggi Dicastero) dei Vescovi si rivolge ai diversi soggetti implicati, nei vari processi necessari alla sua attività amministrativa, mi aveva colpito un aspetto, già alcuni anni fa.
La (superata) sensibilità verso Summorum Pontificum come condizione per le nomine
Risultava, infatti, che a partire dal 2007-2008, era diventato normale ritenere qualificante, per un candidato all’episcopato, la sua “sensibilità” nel celebrare con il VO. Allora scrissi della cosa e della brutta inclinazione ad ordinare solo quei candidati che si fosse pronunciati favorevolmente rispetto al cosiddetto “usus antiquior” del rito romano. Avevo anche visto colleghi che, resisi improvvisamente disponibili a quella sensibilità, avevano fatto sicura carriera. Che il favore al MP Summorum Pontificum fosse considerato una condizione per ritenere idoneo un candidato alla ordinazione episcopale, mi sembrava un modo di trasformare il processo amministrativo in una selezione ideologica e in un condizionamento scorretto dei comportamenti. Per fortuna, dopo il 2013, le cose sono cambiate e questo “vulnus” è scomparso dai criteri di discernimento.
Il formulario (non superato) per le “visite ad limina”
In questi giorni, per puro caso, mi sono imbattuto in un fenomeno diverso, che non riguarda le nuove nomine, ma la verifica dei vescovi già ordinati, diciamo “già in servizio”. Sul sito del Dicastero per i Vescovi si trova un “Formulario per la relazione quinquennale” in cui si rivolgono ai Vescovi, da parte della Curia del Papa, delle domande, la cui formulazione in alcuni casi solleva profonde perplessità. Alcune domande manifestano una mentalità talmente arretrata e una forma di riduzione burocratica del ministero episcopale che meritano un minimo di esame critico. Va detto che la loro formulazione risale, come sta scritto nel testo, al 1997. Lo scopo del formulario è di “favorire la comunione tra le Chiese Particolari e il Romano Pontefice”. Certo, per favorire la comunione bisognerebbe parlare una lingua comune. Oltretutto, come spiego sempre ai miei studenti, il punto decisivo non è dare risposte, ma formulare bene le domande. Per questo mi sono sorpreso di trovare, nel documento, domande formulate male, in modo distorto e assai tendenzioso, utilizzando categorie e nozioni che nessuno, a ragione, userebbe in pubblico: come se, proprio nella intimità del rapporto di comunione tra vescovi e papa, si potesse essere “sinceri” e si potesse dire “tutta la verità” (ma distorta e unilaterale). Ne presento qui alcuni esempi, tralasciando, ovviamente, le abbondanti parti meramente documentali, di raccolta di dati su organi, strutture e persone.
Lo schema generale
Di un certo interesse è lo “schema sistematico” delle domande, che già segnala un “ordo” piuttosto arcaico:
IV. Vita cristiana liturgica e sacramentale: I santi nella Chiesa
V. Educazione cattolica
VI. Catechesi
VII. Ministero e vita del clero
VIII. Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica
IX. Vita missionaria
X. Laici
XI. Ecumenismo
XII. Altre religioni
XIII. Pastorale della famiglia
XIV. Evangelizzazione della cultura
XV. Mezzi di comunicazione sociale
XVI. Giustizia sociale e dottrina sociale della Chiesa
XVII. Carità, promozione umana e cristiana
XVIII. Pastorale sanitaria
XIX. Pastorale dei migranti e degli itineranti
XX. Beni artistici e storici della Chiesa
XXI. Situazione economica della diocesi
XXII. Valutazione generale e prospettive di futuro
In questo schema generale appaiono, qua e là, domande formulate in un altro tempo e con intenzioni che dovrebbero essere tramontate. Ecco alcuni esempi, con breve commento:
Sulla penitenza
Sotto il titolo IV si legge:
c) Penitenza. Formazione delle coscienze circa il senso del peccato e predicazione della conversione; celebrazioni penitenziali. Uso di un luogo adatto per il sacramento della Penitenza e rispetto dei fedeli che desiderano servirsi dei confessionale munito di grata fissa. Predicazione sulla necessità di confessare i peccati mortali prima di accostarsi alla comunione eucaristica. Osservanza dei giorni penitenziali; digiuno e astinenza e opere di misericordia nella prassi della vita cristiana. Dottrina e prassi circa le indulgenze
Mi chiedo se queste possano essere le questioni fondamentali intorno a cui un Vescovo deve riferire al Papa: di ogni profilo del sacramento si mette sotto la lente un elemento secondario, trascurando tutti quelli primari. Come è possibile che un tema decisivo possa essere la “grata fissa” o la “dottrina delle indulgenze”? In quale secolo è stato scritto questo testo burocratico? Ci si rende conto che qui si stanno consultando “vescovi”?
Sulle famiglie
Sotto il titolo XIII si legge:
1…Attentati alla famiglia nell’ambito della diocesi: coabitazione di fatto, famiglie monoparentali (e madri nubili o sole), divorzio, pseudo unioni degli omosessuali.
3. Azione della Chiesa o dei cattolici (singoli e associati) per la difesa dei diritti della famiglia, presso l’autorità politica e presso l’opinione pubblica. Iniziative messe in atto dagli
organismi diocesani per la trasmissione dell’insegnamento della Chiesa sulla morale sessuale, il matrimonio e il rispetto della vita umana.
Ancor più in questo caso ci troviamo a decenni di distanza dai toni e dai contenuti di Amoris Laetitia. E mi chiedo: è lecito ad ufficiali di Curia ignorare che il linguaggio che usano (che si esaurisce terminologicamente nella seconda metà del 900) contrasta non solo con la sensibilità dei battezzati (che è cresciuta, anche se loro sono rimasti indietro), ma con le espressioni più recenti del magistero papale? Può la curia romana usare il linguaggio di 80 anni fa, pregiudicando le diverse forme di “famiglia” in categorie del tutto distorte?
Sulla cultura
Sotto il titolo XIV
2. Problema della secolarizzazione e del relativismo dei valori morali e dei costumi. Estensione dell’ateismo teorico e pratico nella diocesi. Cause e rimedi pastorali. Formazione nei seminari e nelle facoltà di teologia sulle correnti di pensiero nutrite dall’ateismo o dalla non credenza pratica, quindi sensibilizzazione positiva dei seminaristi e dei sacerdoti alla cultura come campo e mezzo privilegiato di apostolato.
Anche in questo testo, la formulazione risulta arretrata di almeno 70 anni. La secolarizzazione c’è stata, è ora diventata “postsecolarizzazione” e la Curia continua a chiedere ai Vescovi di parlare dell’ateismo come se vivessero nel 1958 e non nel 2024. Come è possibile che la inerzia di un testo, che era già vecchio nel 1997, possa oggi avere l’autorità di orientare le relazioni di tutti i vescovi del mondo? Come è possibile che il respiro culturale sia così povero?
Le parole fresche del papa e il freddo organigramma burocratico della sua Curia
Forse leggendo quel Formulario si capisce meglio la fatica con cui il papa e alcuni Dicasteri romani, nonostante le buone intenzioni espresse anche apertis verbis, restino condizionati da queste categorie sfasate e forzate, che riprendono più stili antimodernistici preconciliari che reali confronti con il mondo e con la fede, per tentare di comprendere i fenomeni nuovi con categorie diverse da quelle che li pregiudicano irrimediabilmente.
La comunione tra i Vescovi e il Papa, che si celebra ogni 5 anni con le “visite ad limina Apostolorum” deve nutrirsi di “parresia”, non di formulari apologetici, dallo stile vecchio e dalla sistematica superata, scritti non di rado in pura terminologia burocratica e con una precomprensione che perverte irrimediabilmente una “chiesa in uscita”. Proprio nel momento in cui incontra i Vescovi il Papa dovrebbe parlare con parole di una “chiesa senza uscita”? Di una una chiesa come “piramide non rovesciabile”, di una chiesa “monolite” piuttosto che “poliedro”?
Il papa, nel momento in cui riceve i Vescovi, cioè nel momento in cui può fare i discorsi più aperti e solleciti sulle famiglie, sulla penitenza e sulla cultura, non merita di essere anticipato da questi formulari scritti in uffici senza finestre e con l’aria viziata. Un papa figlio del Concilio non può dipendere da testi concepiti da uomini che mostrano di non aver imparato nulla dallo stile conciliare. La loro ottusa ostinazione nel ripetere ad oltranza il nostro passato meno glorioso non può condizionare la relazione tra Vescovi e Vescovo di Roma. In alcuni passi non secondari del Formulario parla una chiesa autoreferenziale e chiusa, rispetto a cui Gesù sta alla porta e bussa, perché vuole uscire. Ma i formulari non sono “di diritto divino”.
Caro Andrea, grazie per le osservazioni pertinenti avanzate; mi sembra utile aggiungerne un’altra. La circolarità di rapporto tra il vescovo di Roma e i vescovi in visita ad limina, dovrebbe comportare anche domande da parte di questi ultimi nei confronti dell’esercizio del ministero petrino e degli interventi delle Congregazioni romane; diversamente, non viene rispettata la base comune del ministero episcopale e la reciprocità tra le singole chiese locali e il papa e gli alti organismi rappresentativi. La parresìa invocata dovrebbe essere esercitata attraverso modalità circolari di discorso e non unilaterali, che saprebbero più di controllo e che rischiano di essere dall’alto in basso, da superiore a inferiori: che ne è della dignità sacramentale dell’episcopato? Sarebbe una modalità concreta perchè il ministero alla communio ecclesiarum possa essere esercitato facendo tesoro di ascolto e raccogliendo le sollecitazioni autentiche da parte delle singole Chiese. Detto in altri termini, oltre a evidenziare espressioni antiquate e caduche dei formulari, non sarebbe opportuno precisare il senso che hanno avuto dette Visite nel passato al fine di ripensarle radicalmente alla luce della nuova e rinnovata ecclesiologia post-conciliare e (forse) pre-conciliare, pensando a un nuovo Concilio?