Nuova teologia eucaristica (/6): Eucaristia, una questione di “forma” (L. Della Pietra – 1/)


rituum

Un altro autore che merita di essere segnalato all’interno di questo laboratorio in vista di una “nuova teologia eucaristica” è Loris Della Pietra, che qui ci presenta un saggio prezioso, in cui rilegge una discussione di quasi un secolo fa, sulla “forma fondamentale” dell’eucaristia, che ha impegnato Guardini e Jungmann e che poi è stata riletta da Ratzinger. In un secondo articolo, che verrà pubblicato successivamente, egli tirerà una serie di conseguenze teologiche e pastorali molto utili per ravvivare e orientare il dibattito attuale sulla eucaristia. Loris Della Pietra (1976) è presbitero dell’Arcidiocesi di Udine. È Rettore del Seminario Interdiocesano di Udine, Gorizia e Trieste e docente di Liturgia e Sacramentaria presso la Facoltà Teologica del Triveneto nella sezione di Udine, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Udine e l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova. Ha pubblicato Rituum forma. La teologia dei sacramenti alla prova della forma rituale, Edizioni Messaggero-Abbazia di Santa Giustina, Padova 2012;  Una Chiesa che celebra, Edizioni Messaggero, Padova 2017; La parola restituita. La ricchezza del linguaggio liturgico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2017.

Eucaristia: questione di “forma”.

L’amnesia di un antico dibattito e le sue attuali implicazioni (/1)

Qui, verus aeternusque Sacerdos, formam sacrificii perennis instituens,hostiam tibi se primus obtulit salutarem,et nos, in sui memoriam, praecepit offerre.1

La forma fondamentale della messa è quella della cena. […] La forma è ciò che è «comprensibile per se stesso».2

Il moto della preghiera a Dio diviene,se non lo era già sin da principio, vero elemento determinante per l’atteggiamento di chi vi partecipa.L’Eucaristia diventa la forma fondamentale della liturgia della Messa.3

L’ambiguità del concetto di forma ha lasciato i suoi segni nella comprensione del mistero eucaristico. Se con il termine forma, per un lungo tempo, si è inteso l’elemento più nascosto e decisivo, espresso dalle parole “essenziali”, a scapito della realtà esteriore e percepibile, grazie ad un dibattito inaspettato, e tuttora poco conosciuto, agli albori del Movimento liturgico, con forma si è cominciato a guardare con interesse alla forma celebrativa, percepita, sensibile ed esteriore del sacramento. Un interesse autenticamente teologico, un modo nuovo e antico allo stesso tempo di approcciare il mistero nel suo darsi. Anzi, l’accordare un certo interesse alla forma non annulla o esautora il contenuto teologico, ma intravede nella forma la possibilità stessa del contenuto: ciò che appare e si offre ai sensi dell’uomo non è più da scartare come insincero e fragile, ma è esperienza ineludibile, mediazione autorevole e affidabile della grazia.

Da contesti e punti di vista diversi, fenomenologico l’uno e storico l’altro, Romano Guardini e Joseph Andreas Jungmann, nella prima metà del XX secolo, affrontano l’Eucaristia dal versante della “forma fondamentale” (Grundgestalt) ovvero della possibilità immediata e primaria che il mistero ha di dire se stesso aprendo una riflessione tuttora produttiva4.

Romano Guardini e la cena come forma fondamentale

Guardini, con la sua opera Besinnung von der Feier der heiligen Messe, parla di una «forma fondamentale» della messa, intesa come «forma viva», parte integrante della stessa res sacramentale, non più campo di interesse dei rubricisti o dei giuristi, ma luogo di attenzione del teologo dell’Eucaristia.

La forma consente la celebrazione del mistero e la memoria dell’evento salvifico senza imitarlo o rappresentarlo. Attraverso gesti e parole la comunità non cattura l’evento riproducendolo, ma compie un’azione che, nel mutare delle circostanze, salva l’unicità del mistero pasquale.

Tale forma portante del sacramento viene individuata da Guardini nella realtà del pasto o convito. Il sacrificio, continua Guardini, è componente essenziale dell’Eucaristia, ma non ne è la forma e poiché la forma è ciò che è «comprensibile per se stesso», «ciò che viene colto dall’occhio sensibile», «ciò che è ovvio», l’Eucaristia si presenta e si offre innanzitutto come pasto. Soltanto da questa consapevolezza si può cogliere ciò che è meno ovvio e meno evidente ai sensi, ovvero il di più teologico del sacramento.

Guardini è convinto che l’aspetto sacrificale della messa e il suo potenziale spirituale non possono essere garantiti a prescindere dalla forma del pasto, ma solo interagendo con tale forma: «è necessaria la forma affinché grazia e devozione diventino realtà vitali»5. Il sacrificio in ordine all’Eucaristia è «realtà», «origine», «presupposto» e la morte cruenta di Gesù permea tutta l’esperienza eucaristica, ma è solo attraverso una cena che i credenti accedono a questo mistero.

A questo punto emerge tutta la teoria guardiniana sulla “forma vivente” quale realtà appartenente all’esperienza umana, dove «la totalità e i particolari sono dati l’una negli altri e reciprocamente»6 e dove ogni aspetto è portatore di significato. Il concetto di “forma” nel pensiero guardiniano corrisponde all’azione dove il soggetto appare coinvolto radicalmente e dove è la «forma corporea» stessa a far emergere l’elemento interiore7. Rinvenire la forma di un’azione liturgica non può limitarsi a un mero esercizio di analisi storica che permetta di comprenderne il momento sorgivo e lo sviluppo seguente, ma deve innanzitutto cogliere l’«atto di vita con cui il credente intende, riceve, compie i santi “segni visibili della grazia invisibile”»8. Si tratta di atti e forme attraverso le quali «la realtà religiosa diventa attuale, ed entra nella vita della comunità e del singolo» in modo tale che l’uomo entra a contatto con la rivelazione divina grazie a queste forme «in un rapporto di partecipazione»9.

Ciò che preme maggiormente a Guardini è dichiarare il primato dell’azione e dell’esperienza. La stessa Eucaristia è innanzitutto un’azione istituita da Cristo dove agire umano e agire divino si compenetrano. Anzi, l’agire umano richiede autenticità e padronanza di parole e di gesti per aderire profondamente all’agire divino. Si tratta, dunque, di saper gestire e cogliere pienamente quell’atto di culto che a Guardini appariva come quasi estraneo al credente contemporaneo, quell’atto capace di portare in sé e di trasmettere il senso profondo:

non perché vi si dica in aggiunta: questo significa quello, ma perché l’azione simbolica viene “fatta” da chi [ministerialmente] la esercita come atto liturgico ed è “letta” in un atto analogo da chi lo percepisce, il senso interiore è contemplato nella realtà esterna. […] il simbolo è in sé stesso qualcosa di spirituale e corporeo, espressione dell’interno nell’esterno.10

Da qui sembrava necessaria e inderogabile un’«autentica educazione», anzi una rieducazione dell’«esercizio mediante il quale l’atto è appreso»11 dove non si disperda, ma si coltivi e si promuova «un’immagine più veritiera dell’uomo, come quell’essere in cui corpo e spirito, esterno e interno, costituiscono un’unità»12. In altre parole, secondo Guardini, la questione liturgica non può soprassedere al compito di un’attenzione privilegiata a far sì che «gli organi del guardare, del fare, del dar forma devono essere risvegliati e coinvolti entro il processo formativo»13.

Ben lontano da ogni possibilità di immanentismo o di sopravvalutazione del corporeo a danno del teologico, Guardini ricolloca al centro dell’attenzione teologica l’atto rituale vissuto con il corpo e che interagisce con tutto l’uomo prima di ogni altra possibile teorizzazione su di esso. Nell’economia globale del suo pensiero, riconoscere il convito come forma basilare dell’Eucaristia significa attivare un rapporto nuovo col mistero dove l’uomo è chiamato in causa e implicato nella complessità delle sue azioni e dove nulla è insignificante. Questo è ciò che Guardini indica con il termine «contegno», un modo nuovo di rapportarsi all’Eucaristia e di atteggiarsi in essa. Un esempio non marginale del nuovo approccio che il pasto come forma richiede è l’affermazione perentoria di Guardini: «A una cena si partecipa mangiando e bevendo. La comunione non è un momento separato, indipendente, ma la piena realizzazione della memoria del Signore»14. Non è più possibile separare la messa dalla partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore attraverso il mangiare e il bere: in quanto cena, il rispetto della forma domanda di aderirvi pienamente e di lasciare che sia la forma stessa a influire sul credente. In altre parole che l’Eucaristia sia innanzitutto pasto, mangiare e bere, non è affatto indifferente o superfluo per la comprensione teologica del sacramento, ma le azioni di mangiare e bere comunitariamente il pane e il vino stabiliscono già una relazione potente, personale e comunitaria, con il Signore che si dona e si fa incontrare nel popolo radunato, nella Parola proclamata e ascoltata, nella preghiera di rendimento di grazie e di intercessione e nel condividere l’unico pane spezzato e l’unico calice.

Joseph Andreas Jungmann e l’“Eucaristia” come forma della messa

Anche Jungmann si pone l’obiettivo di chiarire la questione della forma eucaristica. Utilizzando l’indagine storica, il gesuita di Innsbruck con la sua monumentale opera Missarum sollemnia intende dare una «spiegazione genetica» della messa ovvero ricostruendo in modo documentato l’evoluzione della celebrazione eucaristica nei suoi dati formali.

La prima parte del primo volume di Missarum sollemnia è tutta dedicata allo studio della «forma della messa» nel volgere dei secoli. Fin da subito, dunque, Jungmann si inserisce nella questione della forma eucaristica con l’obiettivo di offrire chiarimenti in merito.

Pur considerando le riunioni con la frazione del pane che avvenivano nelle comunità apostoliche, Jungmann non vede una continuità evidente tra questo gesto e il rito eucaristico. Piuttosto il momento conviviale gli appare come una cornice entro la quale si respirava un clima di intensa preghiera e un contesto dove effettivamente si tenevano delle preghiere come, per esempio, la benedizione sul pane all’inizio del banchetto. La scarsa documentazione sulla struttura rituale dell’ultima cena di Gesù, punto iniziale della tradizione eucaristica della Chiesa, viene attribuita da Jungmann al fatto che comunque essa non avrebbe avuto alcun legame con la forma della celebrazione cristiana.

Già le primissime testimonianze liturgiche, come la Didaché, depongono a favore del primato della preghiera di memoria e di azione di grazie sul pasto in quanto tale. Questi testi di preghiera, secondo Jungmann, indirizzavano in modo nuovo ed originale il rito cristiano distinguendo opportunamente tra l’Eucaristia ed eventuali agapi fraterne. Nel rilevare questo dato Jungmann pone in luce un punto centrale della sua analisi: se l’Eucaristia vera e propria seguiva e si distingueva dalla cena, come appare dai dati della storia, «era naturale riassumere e dare nuova forma al rendimento di grazie»15. Ora, tale nuova forma era data dal testo anaforico che diventava il punto culminante e il centro focale del rito:

Così mentre da un lato la preghiera eucaristica si arricchiva, si perfezionava e consolidava, dall’altro, con il crescere della comunità, la celebrazione liturgica, esorbitando sempre più dai limiti di una familiare riunione conviviale, poteva e doveva perdere il carattere particolare di banchetto delle riunioni della comunità cristiana cosicché la celebrazione eucaristica si rivelava per il contenuto essenziale della liturgia cristiana.16

Jungmann vede nel sopravvento della forma eucaristica del rendimento di grazie sulla forma del banchetto un’evidente conseguenza del processo di spiritualizzazione del culto, tipico del cristianesimo delle origini nei confronti del mondo giudaico, tanto da chiudere la sua analisi alla stessa stregua di Guardini, ma con opposte conclusioni: «l’Eucaristia diventa la forma fondamentale della Liturgia della Messa»17. Tuttavia Jungmann, pur affermando che la via verso una forma sacrificale della messa è già aperta ricorda che «la forma di banchetto rimane sempre come elemento determinante, specialmente per quanto riguarda l’esteriorità del quadro»18. Egli risolve il problema parlando di «sacrificio conviviale» chiamando in causa la ritualità giudaica (le preghiere di benedizione sul pane e sul calice recitate tenendo elevati gli elementi conviviali): «se si considerano in questo senso il ringraziamento e l’offerta quali parti del banchetto, si può anche spostare in primo piano la forma della mensa. Ma ciò rimarrà sempre un elemento di secondaria importanza»19.

Indubbia documentazione storica, ma anche evidenti influssi di marca controversistica inducono Jungmann a portare il suo discorso verso l’alternativa tra cena e sacrificio20. Certamente il suo grande merito, in questo argomento, è quello di aver sottolineato il valore ampio della preghiera eucaristica ben oltre le ristrette preoccupazioni di rinvenire il momento formale del sacramento nelle cosiddette “parole essenziali”.

La ripresa del tema in Joseph Ratzinger

La questione circa la forma eucaristica, presto dimenticata, riemerge grazie al recupero che ne fa agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso Joseph Ratzinger nel saggio dal titolo Forma e contenuto della celebrazione eucaristica21.

Ratzinger colloca la questione all’interno della «nuova coscienza liturgica» che considera tutto lo spessore teologico e spirituale della forma rituale contemplata all’interno della stessa res sacramentale e non più come pura esteriorità ininfluente ai fini del valore teologico del sacramento. In ordine all’Eucaristia, appare necessario cogliere la «forma generale e portante» per giungere al cuore dell’evento sacramentale. Tale riscoperta della forma apre indubbiamente prospettive nuove nella teologia liturgica:

Con il concetto di «forma» era entrata nel dialogo teologico una categoria sconosciuta la cui dinamica riformatrice era innegabile. Anzi si può dire che la liturgia in senso moderno è nata con la scoperta di questa categoria.22

A questo punto, conclude Ratzinger, si impone effettivamente la questione circa la forma ovvero la questione del rapporto tra campo dogmatico e campo liturgico: che cosa ha da dire quest’ultimo al primo? Come incide la forma rituale sul dogma? Qual è il rapporto tra la cena di Gesù e il sacramento della Chiesa?23

Ratzinger esamina il dibattito tra Guardini e Jungmann non nascondendo fin dalle prime battute la sua sintonia con la posizione di Jungmann.

Riassunte le posizioni di Guardini e Jungmann, Ratzinger propende per la preghiera eucaristica come elemento formale decisivo sostenendo che la tradizione ha opposto «il rifiuto di un piatto adeguamento della liturgia cristiana alla forma dell’ultima cena di Gesù»24 per una forma che riuscisse a dire lo specifico cristologico. Parlare dell’anafora come forma eucaristica significa per Ratzinger eliminare le barriere tra il campo liturgico e quello dogmatico; in essa emerge sia il dono del Signore che si fa cibo per noi, sia il suo sacrificio redentivo: «tra “pasto” e “sacrificio” non si dà contrasto alcuno; nel nuovo sacrificio del Signore essi s’intrecciano inscindibilmente»25.

Si evince una sorta di timore e una netta presa di distanza da ogni tentativo di interpretare l’Eucaristia come rito nel sospetto che questa categoria essenzialmente antropologica mini la fede nel sacramento. Un eccessivo abbassamento del sacramento in termini di pasto e di elementi conviviali da consumare renderebbe troppo umano, immediato e disponibile l’evento.

Ratzinger ritornerà su queste tematiche e soprattutto su una visione “logica” della celebrazione liturgica nell’opera Introduzione allo spirito della liturgia26 dove, a proposito del concetto di partecipazione attiva, egli mette in discussione un certo attivismo partecipativo affermando che «la vera azione liturgica, il vero atto liturgico è l’oratio»27.

Se da una parte lo studio di Ratzinger mette in luce l’apporto significativo del Movimento liturgico alla teologia dei sacramenti, grazie alla valorizzazione della forma, d’altra parte si evince una certa tendenza a separare o addirittura a contrapporre l’aspetto verbale, l’unico datore di significato, dall’aspetto non verbale, ritenuto come incapace di dare significatività cristiana all’azione. Una chiara e inequivocabile presa di distanza dalla visione rituale dell’Eucaristia porta a inserire dall’esterno l’elemento “formale” e sostanziale rendendo i gesti conviviali innocui e irrilevanti ai fini della comprensione e della percezione teologica del sacramento.                                 (1/ – segue)

1Praefatio I de Sanctissima Eucharistia, in Missale Romanum ex decreto sacrosancti Concilii Œcumenici Vaticani II instauratum auctoritate Pauli pp. VI promulgatum Ioannis Pauli pp. II cura recognitum, editio typica tertia, Typis vaticanis, 2008, p. 545.

2 R. Guardini , Il testamento di Gesù, Vita e Pensiero, Milano 20025, p. 152.

3 J. A. Jungmann, Missarum sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana, Ancora, Milano 20042 (ed. anast.), p. 20.

4 Il dibattito viene ampiamente presentato in Della Pietra L., Rituum forma. La teologia dei sacramenti alla prova della forma rituale, Edizioni Messaggero-Abbazia di Santa Giustina, Padova 2012.

5 Ivi, p. 153.

6Id, Etica. Lezioni all’Università di Monaco (1950-1962), Morcelliana, Brescia 2001, 198.

7Id, I santi segni, Prefazione, Morcelliana, Brescia, 1937, p. 8.

8 Ivi.

9Id., Religione e rivelazione, Vita e Pensiero, Milano 2001, 179.

10Id., L’atto di culto e il compito attuale della formazione liturgica, in Formazione liturgica, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 31-32.

11 Ivi, 33.

12 Ivi, 35.

13 Ivi.

14 R. Guardini, Il testamento del Signore, 155.

15 Ivi, p. 15.

16 Ivi.

17 J. A. Jungmann, Missarum sollemnia, I, 20. É interessante osservare che Jungmann, in due note del suo testo, accenna al fatto che già Guardini ha affrontato il tema della forma eucaristica (p. 20, nota 63 e p. 155, nota 4).

18 Ivi 20, nota 63.

19 Ivi.

20 Ivi, 155-167. Disquisendo sulla sacrificalità dell’Eucaristia, Jungmann ritorna sul rapporto del sacrificio con la cena e ricorda quanto già asserito dal Concilio di Trento ovvero che «questo Sacramento è stato istituito esplicitamente con lo scopo che chi vi partecipa ne prenda cibo» (p. 164). Jungmann, dunque, non trascura l’aspetto conviviale dell’Eucaristia.

21 J. Ratzinger, Forma e contenuto della celebrazione eucaristica, in Id, La festa della fede. Saggi di teologia liturgica, Jaca Book, Milano 20052, pp. 33-48.

22 Ivi, p. 34.

23 Ivi, p. 38.

24 Ivi, p. 47.

25 Ivi, p. 48.

26Id., Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001.

27 Ivi, p. 168.

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