PER UNA VERA DICHIARAZIONE DI INCOMPETENZA. Intorno a una “ecclesiologia a due voci”


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In un bel testo, apparso sull’ultimo numero del mensile “Donna Chiesa Mondo” dell’Osservatore Romano (72/2018), Anne-Marie Pelletier mette il dito nella piaga, in modo forte e accurato, nell’articolo dal titolo “Per una ecclesiologia a due voci” (pp.13-17), dove propone con eleganza un percorso di argomentazione semplice, ma chiaro e decisivo. Ne presento qui la scansione essenziale:

a) Il terremoto che agita la Chiesa non è solo “questione di sessualità deviata del clero cattolico”, ma un difetto della stessa istituzione ecclesiale.

b) Ad esso si rimedia andando alla sorgente del difetto, il clericalismo, che si contrasta con la riscoperta – così spesso ostacolata – della Chiesa come “popolo di Dio”, come luogo battesimale della santità, come si deduce dalla lucidissima “lettera al popolo di Dio” scritta da papa Francesco per l’occasione.

c) In questo ambito sono le donne “le prime a sapere che cosa sono gli abusi del potere ecclesiale”. Esse “conoscono fin troppo bene lo sguardo altezzoso, condiscendente, sprezzante rivolto loro, l’obbedienza imposta da uomini che serbano gelosamente per sé il prestigio del sapere e l’autorità della decisione”.

d) Una “intelligenza realmente evangelica del potere come servizio” richiede oggi la presenza delle donne nella Chiesa, con autorità riconosciuta, per ostacolare “una ecclesiologia non più solo pensata, formulata e messa in atto da uomini, che sono quasi sempre chierici”, dove è inevitabile “evitare il filtro di una visione maschile, addotta da uomini celibi, educati nell’idea di una visione maschile del sacerdozio ministeriale, che li legittima nel terribile potere di avere diritti particolari sugli altri”.

e) Occorre allora “integrare oggi l’intelligenza che le donne hanno della Chiesa, a partire dalla loro esperienza dell’appello evangelico e della loro fedeltà a Cristo. In altre parole, l’ecclesiologia si deve ora formulare a due voci, coniugando il maschile e il femminile”.

f) Per questo, per reagire all’attuale contingenza, non sarà sufficiente arrivare a pur necessarie riforme disciplinari e giuridiche, ma si dovrà “compiere una revisione di fondo dell’intelligenza che la Chiesa ha di se stessa e quindi nel suo governo”.

Mi pare che questa lucida argomentazione di Pelletier debba essere pienamente accettata, come sfida profetica alla istituzione, perché sappia uscire da una lettura “escludente” di sé. Questo è il germe del clericalismo: l’idea di un potere “esclusivo ed escludente”, rispetto a cui restano confermate, nella sostanza, le polarità che in Cristo sono superate: giudeo/greco, libero/schiavo, maschio/femmina: polarità etniche, politiche e sessuali. Potremmo dire che su ognuna di queste polarità escludenti la storia della Chiesa ha molto faticato, ma soprattutto sull’ultima appare oggi poco lucida, irrigidita, bloccata, quasi paralizzata. Sullo straniero e sullo schiavo siamo abbastanza lucidi, sulla donna per nulla. Non si tratta qui, a mio avviso, di “forma cattolica” da recuperare, o di forma protestante da scongiurare. Si tratta di riscoprire una “forma ecclesiae” liberata dalle “esclusioni/esclusive clericali”, che sono la radice di ogni abuso.

Per questo è giusta la via imboccata dalla Chiesa della “dichiarazione di incompetenza”, della mancanza di potere. Sul mistero della sessualità maschile e femminile, le convenzioni anche radicate devono fare un passo indietro e riconoscersi ultimamente incompetenti. Ma incompetenti davvero! E’ infatti un vecchio trucco del clericalismo mascherarsi dietro finte incompetenze. Non basta perciò dire “non ho il potere di includere”. Perché questo lascia solo alla Chiesa il potere di escludere e quindi la conferma autoreferenziale in un abito clericale. No, la via imboccata 25 anni fa, per essere profezia ecclesiale e non solo un principio di indifferenza, deve essere integrata da una incompetenza più radicale e più evangelica. 

Se la Chiesa si dice tanto sicura di non avere il potere di includere il femminile nel servizio ecclesiale, allo stesso modo e con altrettanta sicurezza essa dovrebbe riconoscere di non avere neppure il potere di escludere il femminile dal servizio. Dovrebbe solamente accettare, con tutta la umiltà di cui è capace, di non avere alcun potere sulla logica ultima della differenza sessuale. Che è un mistero grande, complesso, ma proprio per questo aperto ad uno sviluppo storico che nessuno può definitivamente fissare ad un ruolo o ad una funzione, se non Dio solo. Il quale pronuncia la sua parola irrevocabile di salvezza non solo nei documenti di un ufficio romano, ma anche nella storia civile di nuove dignità da promuovere, nelle coscienze di soggetti finalmente del tutto riconosciuti, come anche nel buon fiuto del suo popolo in cammino. Ascoltare queste autorità, questi “segni dei tempi”, con parrhesia e senza alcun paternalismo, potrebbe rendere veramente profetica anche la parola del magistero, affinché sappia aprire spazi e dare la parola, piuttosto che chiudere porte e imporre silenzi. Queste porte affannosamente chiuse e questi silenzi autoritativamente imposti sono le tipiche dinamiche clericali – non solo maschili, ma anzitutto maschili – che generano mostri.

 

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