«Politica: questione di responsabilità». Intervista a Segno


Intervista rilasciata a «Segno», mensile dell’Azione Cattolica. Qui è possibile scaricare l’estratto della rivista.

–                Dopo l’Italicum, approvato non senza polemiche, è la volta della riforma del Senato. In un momento di forte critica alla politica, la politica tenta di riformare se stessa. Che ne pensa? 

La politica è sempre in crisi perché la rappresentanza è un equilibrio che deve essere continuamente cercato. Per questa ragione terrei separate le forme istituzionali del potere politico e la politica. C’è un elemento che però tiene insieme questi due ambiti oggi: il principio di responsabilità. Le istituzioni democratiche dovrebbero garantire il rispetto di regole condivise e favorire il rapporto tra cittadini e rappresentanti. L’accentuazione della crisi politica è la manifestazione di un anello di congiunzione che si rotto tra istituzioni e cittadinanza. Le riforme dovrebbero andare in questa direzione, cioè quella di una maggiore responsabilizzazione – il redere rationem latino – del politico nei confronti dei cittadini e di controllo dei cittadini nei confronti di chi detiene il potere. Dare maggiore rappresentanza, come nel nuovo Senato, agli enti locali e differenziare le funzioni delle Camere sono provvedimenti che possono far entrare gli interessi delle comunità nel procedimento legislativo.

–                C’è da dire che il percorso delle riforme nel nostro paese non inizia da oggi…

E’ un percorso che inizia ancor prima della stessa approvazione della Carta costituzionale (1948), ma che si è andato intensificando negli ultimi venti anni con plurime commissioni parlamentari. I due poli del dibattito sulle riforme sono sempre stati la rappresentanza e la governabilità. L’instabilità politica ha impedito finora una quadratura del cerchio. La riforma in discussione accoglie alcune istanze condivise da trent’anni (superamento del bicameralismo perfetto), ma tralascia elementi importanti (un esempio, la democraticità dei partiti) che potrebbero rendere il nostro sistema più trasparente e democratico. 

–                Poi, però, c’è la vita della gente con tutti i suoi problemi. Jobs act, terzo settore, riforma della scuola… in che direzione stiamo andando?

È difficile poter vedere una traiettoria definita. Sono state annunciate altre riforme importanti: l’università, il fisco… Dopo anni di governi instabili è ora stata data la priorità alle riforme immediate e “veloci” di fronte all’urgenza della crisi. Al di là dei cotenuti e dei metodi, è una realtà l’approvazione di provvedimenti di grande portata. Le riforme che lei citava sono tutte altamente complesse e nei prossimi anni vedremo i risultati a lungo termine delle scelte concrete, ma soprattutto dell’approccio culturale sotteso. Credo che per il futuro la direzione debba essere quella di un maggiore dialogo con le realtà sociali che sono toccate dalle riforme approvate e di coinvolgimento per quelle da promuovere. 

–                La politica ridisegna i suoi confini, anche etici, andando ad abbracciare i migranti che sbarcano sulle nostre coste. C’è ovviamente chi non è d’accordo, ma chiedo: l’occasione dell’accoglienza ai migranti è anche una prospettiva del grande dimenticato di questi ultimi anni, il bene comune…

La “questione” dei migranti è di grande complessità e sarebbe già auspicabile che le forze politiche potessero fare a meno di toni contro la dignità della persona e si soffermassero, come è giusto, sulle diverse prospettive per gestire un fenomeno inarrestabile. I migranti sono una risorsa e una sfida per l’Europa. Siamo infatti abituati a vedere questo tema solo sotto il profilo economico, ma in realtà questo flusso migratorio ci deve interrogare soprattutto sulla nostra cultura. Qui entra in gioco il bene comune che è bene condiviso, cioè l’accesso a condizione di vita dignitose per tutti. La cultura europea per essere degna della sua storia deve coltivare la solidarietà e la fraternità e deve testimoniare questi principi nei consessi internazionali: solo questo porterà ad avvicinarsi all’utopia concreta del «bene comune universale» come disse Giovanni XXIII nella Pacem in terris.

–                Adesso si parla pure di flessibilità delle pensioni. Torniamo alla stagione dei diritti?

La crisi economica, i debiti pubblici fuori controllo, le politiche di austerità e rigore rischiano di farci accettare passivamente la privazione dei diritti. La questione della flessibilità in uscita delle pensioni è legata a un problema strutturale di sostenibilità del nostro sistema previdenziale: l’invecchiamento della fascia più consistente di lavoratori. Credo che tornare alla stagione dei diritti nel campo del lavoro sia ridare dignità all’impiego dei giovani, a partire da una minima retribuzione che a volte viene denegata sotto l’etichetta dei tirocini, stage, internship. Più in generale credo che sia necessario riscoprire il valore della politica che sta al di sopra dell’utile economico. I diritti – come i muri maestri di una casa – non sono secondari rispetto alla ragione economica – che, nell’immagine, potrebbe essere l’arredamento. Ripartire dai diritti e dai doveri è infine il modo per inverare le riforme costituzionali: le istituzioni democratiche infatti sono nate e vivono per servirli.

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