Presepe e messa della notte : la trasgressione del “prima gli ultimi”
Ogni anno, all’avvicinarsi del Natale, è inevitabile che ci sia chi “usa” il presepe per interessi di bottega. Bottega politica e bottega commerciale hanno tutto l’interesse a “ficcare nella mangiatoia” prodotti da vendere o autorevolezze da vantare. Quest’anno la triste contingenza pandemica ha rincarato la dose, aggiungendo al presepe la “messa di mezzanotte”. Così, in un empito di martirio di facciata, per alcuni è diventata una questione di principio, non solo la “difesa interessata del presepe”, ma anche la pretesa di celebrare la messa della notte nel cuore del “coprifuoco”, con irresponsabile aggiramento di ogni divieto.
Ora, in questo contesto, quando la polemica diventa vuota e formale, possiamo trovare il paradosso per cui alcuni soggetti con rilevanza politica ed ecclesiale, ma senza vero rapporto con la fede, la cui sensibilità verso lo straniero e il bisognoso è da tempo proverbiale, diventino i “difensori del presepe” e della “messa della mezzanotte”, pretendendo di far passare i pastori ragionevoli e i cristiani sensibili come “nemici del popolo”. Dimenticando la emergenza sanitaria e la logica della fede, parlano persino di “diritto agli affetti”. Ma quando riduci il presepe o la messa di mezzanotte ad un “affetto”, ne hai già perso il senso e il significato. Li rendi pronti per essere il centro di uno “spot pubblicitario”, non di un atto di fede. Presepe e messa della notte sono atti scandalosi, non affettuosi. Per questo non si prestano agli spot dei panettoni o dei governatori, ma suscitano conversione e trasgressione. Proviamo a capire perché.
La questione decisiva, in tutto questo, non è l’affetto, ma ciò che può essere chiamato “effetto presepe”. Vorrei provare a spiegarlo molto brevemente. In tutte le grandi tradizioni, infatti, i passaggi decisivi – nel nostro caso di cattolici, il Natale e la Pasqua – diventano “luoghi di riconoscimento”, non solo religioso, ma culturale e sociale. “Fare il presepe” a Natale, e “visitare i sepolcri” a Pasqua si trasformano in luoghi di identità. Proprio in questo passaggio, le tradizioni si mettono a rischio, perché concentrano in un punto tutti i “messaggi” e proprio per questo “sovraccarico” rischiano di perderne il senso. Il presepe e il Crocifisso diventano, così, meri simboli di identità, in cui la comunità si identifica “contro qualcuno”, contraddicendo in modo clamoroso il significato del simbolo stesso.
Il presepe, in modo esemplare, e la messa della notte, che annuncia il “segno” del bambino in una mangiatoia, costituiscono un caso tipico di questa “tentazione”. Presepe significa, in latino, “mangiatoia” e costituisce la “versione di Luca” del mostrarsi del Salvatore. In lui Dio si rivela ai pastori irregolari, proscritti, emarginati, moralmente sospetti, non ai buoni credenti regolari del tempo. La tensione, in quel testo di Luca, è tra la grandezza del Signore e la piccolezza umana che può riconoscerlo solo nella irregolarità marginale dei pastori. Nella versione di Matteo, che invece si ascolta nella messa vigiliare, la dose è ancora rincarata: non vi è mangiatoia, non ci sono pastori, mentre la tensione è tra la stella e i magi che la seguono, nella loro condizione di stranieri, con la ostilità viscerale dei residenti.
Il nostro “presepe”, mescolando tutti questi messaggi, accumulandoli in un’unica scena, e aggiungendovi anche frammenti tratti da altri testi apocrifi, rischia di non aumentare, ma di diminuire la forza della tradizione, riducendola a “soprammobile” borghese. Il presepe significa che ultimi, stranieri e irregolari riconoscono Gesù, mentre Re, Governatori, Ministri e residenti regolari cercano di ucciderlo. Esattamente come, a Pasqua, sanno riconoscere Gesù una donna dai molti mariti, un disabile grave come il cieco nato e un cadavere come Lazzaro, mentre i potenti lo uccidono senza pietà. Queste sono le categorie privilegiate dalla Chiesa! Per questo celebrare la messa di mezzanotte, fare il presepe è una “grande trasgressione”, un capovolgimento, un rito nel senso più alto e più forte del termine. Questa logica simbolica merita rispetto e cura, perché rivela la trama segreta del mondo e della cultura.
Che cosa dovremmo dire, allora, di chi volesse cacciare gli stranieri e gli uomini crocifissi dall’Italia e volesse che in ogni casa e in ogni ufficio ci fosse il crocifisso e il presepe come soprammobili? Questo è semplicemente un uso ipocrita dei simboli. Delle due l’una: o riempiamo di simboli natalizi e pasquali una terra che sappia dimostrarsi accogliente e non indifferente. O scegliamo di cacciare chi è senza casa e tutti i crocifissi della terra, ma, almeno per un minimo di pudore, cerchiamo di arrossire e di provare vergogna davanti ai simboli di ciò che non accettiamo e che vogliamo soltanto combattere. Una religione che protegga la indifferenza e la soperchieria è un mostro che non di rado si trova a suo agio in cuori affettuosi. E’ ovvio che, per chi gioca solo su odio e disprezzo, anche il presepe e il crocifisso possono diventare non strumenti simbolici di comunione, ma strumenti diabolici di disprezzo. Ma non rinunciare alle nostre tradizioni significa anzitutto non piegarle ad un uso distorto. Anche nel tempo del “presidio sanitario”, tra le cose più degne di ascolto, in condizioni di rispetto del “bene comune”, vi è la trasgressione del presepe. Con la sua immediatezza, fa eco alle parole con cui Maria loda Dio nel Magnificat, quando dice: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Queste sono le parole della Immacolata e della Assunta, della Annunziata e della Addolorata. Questa è la condizione del presepe e della messa della notte: una riconsiderazione “marginale” della vita e delle sue priorità, in un cuore e in un corpo che dice “l’anima mia magnifica il Signore”.
Di questa grande trasgressione vive il mistero del Dio che dirige i nostri passi sulla via della pace: per annunciare questo Dio si può e si deve celebrare il Natale. Ma solo a condizione di lasciar parlare, nella loro nudità elementare, le sorprendenti parole forti della Scrittura e le disarmanti azioni trasgressive del rito, nel quale, in nome di quel “segno del bambino in una mangiatoia” possiamo condividere scandalosamente lo stesso pane e lo stesso calice. Vivere la comunione tra diversi, accogliendoci reciprocamente grazie a un Dio che, nascendo ai margini e tra emarginati, “ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”.
I punti profondi della crisi attuale
Dicembre 16, 2020 / gpcentofanti
La storia ci parla della difficoltà dell’uomo nel trovare la via del contatto semplice con il proprio cuore, con la propria coscienza nella luce serena, a misura, che la illumina. Una via di maturazione della persona tutta intera, nella quale si può vedere ogni cosa in modo sempre nuovo. I valori spesso vengono cercati in modo astratto, poco attento all’umanità specifica di ciascuno e allora si considera da un lato un’anima disincarnata mentre il resto del soggetto resta guidato da conoscenze falsamente neutre, falsamente tecniche, per esempio psicologismi o direttamente da un mero pragmatismo.
L’uomo frantumato fatica a trovare il bandolo della matassa della propria vita. I meccanicismi gli fanno guardare con sospetto ai valori nei quali pure crede ma così la vita concreta non trova la via di risposte serene, adeguate, alle proprie domande, ferite, paure, ai propri bisogni.
Il cammino di ognuno è diverso, si può voler vivere e basta, senza ancora intuire il bisogno di comprendere. E ciò nonostante difficolta, prove, interne e provenienti dall’esterno. Anche chi perviene al porsi domande più profonde può avere le proprie vie di ricerca, i propri contatti umani, senza ancora l’apertura a cercare spunti da chiunque e da ovunque provengano. Anche la ricerca del vero non è mera teoria. Forse non a caso persone come Socrate, Gesù ed altri, che hanno aperto decisivi percorsi di ricerca, non hanno scritto, privilegiando il contatto diretto. In modo differente forse una fiducia nel seme che nasce e si sviluppa nella terra dell’esistenza reale e non soltanto sui libri.
Si possono comunque segnalare alcuni punti di aiuto per chiunque si scopra interessato ad intendere come sciogliere i nodi intimi e sociali, a cercare strade nuove. Il nucleo di tali nuove piste risiede appunto nella rientrare in contatto col proprio cuore semplice nella luce serena.
Imparare ad ascoltare nella propria coscienza semplice in cosa si crede ed intuire che i valori non calpestano l’umanità astraendo da essa ma tendono a farla gradualmente crescere in modo specifico per ciascuno, ben al di là degli schemi, pieno di buonsenso, verso il loro approfondimento, sempre rinnovatamente autentico compimento.
Un percorso che può favorire la scoperta dell’amore e anche quella di un Dio di amore. Perché l’uomo solo nell’amore trova le risposte ai propri bisogni, alle proprie speranze, ai propri timori, alle proprie ferite. E tanto più nell’amore autentico di Dio che ci ama in un modo così sereno, delicato, che solo in questo amore sempre più scoperto il nostro cuore si apre, perché intuisce che ad ogni domanda, problema, vi è una via di soluzione adeguata, piena. E anche si sperimenta che l’uomo non è fatto per avere tutto sotto il proprio stretto controllo ma per lasciarsi portare dalla vita, trovando in essa, giorno per giorno, le risposte più aderenti alle situazioni concrete. Mentre gli schemi astratti, i programmi prefabbricati, nevrotizzano. L’uomo è fatto alfine per abbandonarsi in Dio.
Questa via di contatto con l’autentico, semplice, sé stessi nella luce orienta tendenzialmente al cercare la viva sintonia con ciascuna diversa persona, situazione. La vita si manifesta con le sue mille sfumature, si scopre la ricchezza della ricerca identitaria di ciascuno e dello scambio. Si supera dunque la manipolazione e la chiusura, il fanatismo, del bianco o nero. Si creano le basi per una rinascita anche della società, svuotata dal tecnicismo disumanizzante.
È interessante e drammatico osservare che le magnifiche sorti e progressive dell’illuminismo, della ragione astratta, hanno condotto ai drammi delle dittature, allo svuotamento dall’interno delle religioni e delle culture ed ora, come previsto anche da vari filosofi, in una sorta di eterogenesi dei fini, alla proclamazione di un ingannevole solidarismo che omologa e svuota le persone della propria autentica ricerca e di un allora autentico scambio e tende a renderle meri individui consumatori persi in una massa anonima, manipolati da pochi potenti della finanza e di internet anche essi soggiogati in ultimo dalla tecnica che distrugge anche i propri figli. Dunque un percorso consequenziale eppure vissuto talora in modo variamente inconsapevole da tanti del sistema mentre la gente lo subisce ma si rivela spesso pronta a riconoscere nella vita il beneficio di vie più umane. Sarà forse il sempre più drammatico crollo di ogni cosa a costringere al salto di qualità, dalla ragione astratta, dal tecnicismo, all’uomo specifico, alla ricerca personale, allo scambio partecipato? Dal robot che sostituisce l’uomo ad una feconda complementarietà?