Quando l’Episcopato era solo un sacramentale: una evoluzione storica illuminante
Enrico Mazza, nel suo articolo “Sacramentali e sacramenti: una questione teologica prima che pastorale”1, identifica subito il modo con cui la teologia scolastica ha distinto i sacramenti dai sacramentali: mentre i primi agiscono “ex opere operato”, i secondi “ex opere operantis”; perciò i primi sono efficaci “per il fatto stesso che si compia il rito”, mentre i secondi dipendono dalla “preghiera della Chiesa”. Tutto ciò dipende da una terza distinzione, che è decisiva: i sacramenti sono “istituiti da Cristo”, mentre i sacramentali sono “istituiti dalla Chiesa”. Queste evidenze teoriche, maturate lungo i secoli, faticano però ad essere coordinati con i dati storici. Se leggiamo la storia impariamo sfumature nuove e forse inattese.
La comprensione della categoria di “sacramentale” avviene infatti solo a partire da Guglielmo di Aurillac, nel suo De sacramentis, per differenza rispetto alla categoria di “sacramento”. Così può affermarsi come “categoria residuale” in cui vengono racchiuse “cose e azioni, che la chiesa, per una qualche imitazione dei sacramenti, per sua impetrazione, suole utilizzare per ottenere alcuni effetti soprattutto spirituali” (CJC 1917, can. 1144). Nel codice successivo, 1983, a cose e azioni si sostituisce “segni sacri” e si aggiunge a “ottenere”, volgendo al passivo il verbo “significare”, ma per il resto la definizione resta sostanzialmente uguale.
Possiamo notare, nella definizione, tre aspetti:
– la analogia con i sacramenti
– la lettura in termini di “efficacia”
– una certa dimensione segnica, recuperata di recente
Le trasformazioni di sacramenti e sacramentali
Ma c’è un aspetto che la differenza non porta in luce e che Mazza, nel suo articolo, mette in chiarissima luce: ogni alterazione della sequenza sacramentale determina un cambiamento parallelo della sequenza dei sacramentali. Con l’irrigidimento del numero dei sacramenti in “né più né meno di sette” la questione sembra risolta, ma in realtà questo è un effetto “prospettico”. Il tema del “sacramentale” resta interessante per diversi motivi. Se i sacramenti, dopo Trento, hanno acquisito un numero fisso, la loro comprensione ha subito però grandi trasformazioni. Questa cambiamento di prospettiva di lettura dei “sette” ha portato grandi novità anche sui sacramentali.
Nella iniziazione cristiana, ad es., la riscoperta del catecumenato ha riletto la sequenza dei tre sacramenti, e il processo per giungere ad essa, come un insieme di “cose e azioni” che diventano rilevanti per il sacramento, ne costituiscono una componente strutturale. Abbiamo così scoperto, per certi versi, che ci sono “sacramentali interni ai sacramenti”.
Il sacramento dell’ordine, in particolare, ha subito un vero e proprio terremoto dopo il Vaticano II. La forma precedente prevedeva un “cursus” che attraversava quattro “ordini minori” e giungeva ai tre “ordini maggiori” di cui solo il “sacerdozio” era, di fatto, il sacramento. In quel modello restava nella regione del “sacramentale” non solo ciò che stava tra tonsura/lettorato e suddiaconato, ma anche, con una certa nostra sorpresa, la “consacrazione del Vescovo”.
La consacrazione del Vescovo non è sacramento
Proprio il citato Gerberto, nel suo “De sacramentis, apre la storia dei sacramentali leggendo proprio la “consacrazione del vescovo” come “santificazione” ed esempio massimo di sacramentale: non sacramento, ma sacramentale. La teologia scolastica produce questa “desacramentalizzazione” dell’episcopato, evidentemente assai distante dalla concezione antica. Quanto il “sistema” sia modificato dalla storia è dimostrato dal fatto che la categoria entra in campo per “valorizzare” l’effetto di santificazione della “consacrazione” del vescovo, delle vergini, dell’abate: “sacramentalia sunt ut adiumenta sacramentorum”. Questo incipit della storia del concetto è singolare ed istruttivo: nel momento in cui il caso principe del “sacramentale” – ossia la “consacrazione episcopale” – diventa, dopo la riforma liturgica del Vaticano II, punto cardine del sacramento dell’ordine, tutta la categoria subisce una radicale rilettura, che merita nuova e più specifica definizione. Con la riforma liturgica, questa relazione tra l’unico sacramento dell’ordine – il presbiterato/sacerdozio – e una lussureggiante sequenza di sacramentali prima e dopo di esso, viene profondamente riscritta: il sacramento assume “tre gradi” – ossia diaconato, presbiterato e episcopato – e gli altri riti (sacramentali) si riducono a due: lettorato e accolitato.
Un libro rituale che correla Vescovo a sacramentali
Un particolare “osservatorio” da cui osservare il fenomeno storico è il Caeremoniale episcoporum, che dedica una parte specifica a questo tema, proprio come competenza propria del Vescovo2. Il rimaneggiamento del libro avviene proprio in conseguenza della grande riscoperta della liturgia come “linguaggio elementare” della Chiesa. Vediamo più nel dettaglio questa novità.
Di sicuro la trattazione più ampia dei “sacramentali”, che possiamo trovare nella tradizione teologica, è del tutto recente. E’ susseguente alla Riforma liturgica ed è entrata a costituire il Caeremoniale episcoporum nel 1984. Si tratta di un volume “defilato”, che può riservare grandi sorprese. Paolo Tomatis ne ha offerto di recente una lettura sorprendente3. Prima di esaminarla, tuttavia, vorrei brevemente considerare quanto diversa è la forma attuale del Cerimoniale rispetto alla forma precedente.
La riforma del Cerimoniale e dell’episcopato
Ciò che esisteva “prima” corrispondeva perfettamente ad una idea di “cerimonia” – che rimane nel titolo del testo anche oggi – intesa precisamente mediante la “distinzione” tra culto e santificazione. Il “cerimoniale” era lo strumento per le “cerimonie” che facevano capo alla persona del Vescovo. Poiché il Vescovo è stato, per almeno un millennio, identificato per la “potestas iurusdictionis” e non per la “potestas ordinis” (che gli derivava dall’essere presbitero-sacerdote), il “libro delle cerimonie del vescovo” aveva un carattere del tutto peculiare. Il Concilio si rese subito conto che, modificando la “teologia dell’episcopato” – ossia teologizzando e sacramentalizzando una funzione giurisdizionale – avrebbe dovuto aprire un processo di profonda modificazione del “rituale episcopale”. Due cose erano chiare: che la cosa si sarebbe fatta solo “alla fine”, e che però occorreva intervenire subito per le cose più urgenti. Così avvenne nel 1968: contestualmente alla approvazione dei “nuovi riti di ordinazione”, venivano modificate le norme del cerimoniale del vescovi, con la Istruzione “Pontificales ritus”. Ma l’intervento definitivo sarebbe avvenuto solo dopo un lungo lavoro, che giunse al termine solo nel 1984.
Il Cerimoniale del Concilio di Trento
Per capire la novità dell’impianto, dentro il quale trovano posto i sacramentali, dobbiamo considerare il “sistema” precedente. Una intelligenza sistematica qui si rivela decisiva. Già considerando l’indice del Cerimoniale tridentino (la cui ultima edizione è del 1886) vediamo una enorme differenza. Siamo di fronte ad un paradigma diverso. Il testo si struttura in tre libri:
a) Il primo libro normava il Vescovo nello spazio: le vesti, le azioni, i collaboratori, le cerimonie ordinarie;
b) Il secondo libro normava il Vescovo nel tempo della preghiera quotidiana e nel ritmo dell’anno liturgico, con dettagliata descrizione;
c) Il terzo libro era invece integralmente dedicato a cerimonie legate ai rapporti tra autorità. Un libro che, con la fine del potere temporale del 1870, di fatto era già entrato in una sorta di limbo.
Questa struttura si occupa delle “cerimonie episcopali”, ordinandole come indicato. Ovviamente manca del tutto sia della coscienza che il Vescovo esprime la “pienezza del sacramento dell’ordine”, sia della relazione strutturale con i diversi sacramenti, salvo la celebrazione della messa.
Il nuovo Cerimoniale e la sua impostazione
La struttura del testo del 1984 è completamente ripensata. Alcuni elementi del primo e del secondo libro sono stati spostati nelle appendici, mentre la struttura appare la seguente:
Proemio, di carattere storico
Parte Prima: La liturgia episcopale in genere
Parte Seconda: La Messa
Parte Terza: La Liturgia delle Ore e le Celebrazioni della Parola di Dio
Parte Quarta: Le celebrazioni dei Misteri del Signore durante l’Anno Liturgico
Parte Quinta: I Sacramenti
Parte Sesta: I Sacramentali4
Parte Settima: Giorni memorabili nella vita di un Vescovo
Parte Ottava: Celebrazioni Liturgiche connesse con gli atti solenni del Governo Episcopale
Il non detto del Caeremoniale Episcoporum
Mai, in tutta la storia della Chiesa, vi era stata una tale riformulazione del profilo delle azioni episcopali, corposa attestazione di relazione ecclesiale con le vocazioni, con lo spazio, con il tempo, con le persone. Questo è stato possibile sulla base di un doppio decisivo mutamento, che suona come una duplice soglia di riforma del ministero:
– La consacrazione episcopale è uscita dall’ambito dei sacramentali ed è diventata la pienezza del sacramento dell’ordine;
– L’esercizio della “potestas ordinis” del Vescovo, recuperata in pienezza e non più separata dalla “potestas iurisdictionis”, si è estesa non soltanto all’ambito dei sacramenti, ma anche a tutta la “liturgia della Chiesa”.
Fino ad oggi non abbiamo ancora elaborato a fondo questi mutamenti sostanziali. Dalle “potestates” ai “munera” c’è una differenza categoriale che implica un nuovo paradigma di pensiero e di azione.
1E. Mazza, Sacramentali e sacramenti: una questione teologica prima che pastorale, “Rivista di pastorale liturgica”, 307(2014), 4-18.
2 Questo è però uno sviluppo assai tardo, della fine del XX secolo. Si tratta di una sistemazione che merita di essere osservata in prospettiva, con un confronto tra questo “strumento” e il precedente. Lo sviluppo del Cerimoniale, come “ordo” che assume la prospettiva della differenza tra sacramenti e sacramentali, scaturisce da una rilettura della tradizione in cui – anzitutto nell’episcopato – il recupero della “dignità sacramentale” coincide con una grande differenza tra “azione liturgica” e “cerimonia pubblica”.
3Cfr. P. Tomatis, Le Cérémonial des Eveques du Vatican II. Un ‘précipité’ de la Réforme Liturgique, “La Maison-Dieu”, 296/2(2019), 123-138.
4 Che comprendono: Benedizione dell’Abate, Benedizione dell’Abbadessa, Consacrazione delle Vergini, Professione Perpetua dei Religiosi, Professione Perpetua delle Religiose, Istituzione dei Lettori e degli Accoliti, Funerali che Presiede il Vescovo, Posa della Prima Pietra o l’Inizio dei Lavori per la Costruzione di una Chiesa, Dedicazione di una Chiesa, Dedicazione di una Chiesa nella quale già si celebrano i Santi Misteri, Dedicazione di un Altare, Benedizione di una Chiesa, Benedizione dell’Altare, Benedizione del Calice e della Patena, Benedizione di un nuovo Fonte Battesimale, Benedizione di una nuova Croce da esporre alla Pubblica Venerazione, Benedizione della Campana, Rito della Incoronazione di un’Immagine della Beata Vergine Maria, Benedizione di un Cimitero, Pubblica Supplica in un caso di una grave profanazione di una Chiesa, Processioni, Esposizione e Benedizione Eucaristica, Benedizioni impartite dal Vescovo.
Distorsioni da cui può liberare un’autentica, non formalistica, personale e comunitaria, ricerca del vero.
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