Quattro letture di S. Giuseppe nel culto cattolico


Consideriamo il succedersi di 4 modelli di “culto” di San Giuseppe, nella sua identità maschile e nella sua funzione in rapporto al Figlio e alla Sposa.

a) La tradizione antica e medievale giungeva, con le forme moderne di culto, che si sono sviluppate soprattutto in ambiente francescano e carmelitano, ad un “modello di virtù” in cui giustizia, temperanza, fortezza e prudenza venivano esaltate. La grande “summa” che troviamo nei “Temperamenti spirituali” di S. Francesco di Sales costituisce, in certo modo, il vertice di questa prima lettura identitaria: l’uomo virtuoso, in cui fede, speranza e carità diventano virtù cardinali. E la concentrazione sulla “buona morte” affida al compimento della vita il magistero devoto più alto.

b) La rilettura dei papi tardo-moderni – diremmo tra Vaticano I e Vaticano II, tra Pio IX e Pio XII – declina il modello classico in una nuova prospettiva: fa di Giuseppe il patrono di una Chiesa assediata e colpita, negata e insultata. Le virtù dello Sposo casto e del padre che esercita l’autorità nella obbedienza sono un registro privilegiato da contrapporre alla società dei diritti, della esperienza, del soggetto, delle emancipazioni. Poi come Giuseppe artigiano (per non dire Gesù falegname) diviene il modello da contrapporre all’operaio che lotta e che pretende. La fortuna del modello popolare di culto, e la crescita rituale della festa di S. Giuseppe, con la sua duplicazione prima nel tempo pasquale e poi il 1 maggio, trova qui la sua fortuna e il suo limite.

c) Un papa, come Giovanni XXIII, che forse aveva ipotizzato di darsi il nome papale di “Giuseppe”, e che era anche il frutto del culto ottocentesco del Santo mite e umile di cuore, vira improvvisamente e fa di Giuseppe il Patrono del Concilio che coraggiosamente rilegge la tradizione. Così la stessa figura che poteva essere il comodo supporto ai molti profeti di sventura, viene ricollocata sul fronte di una Chiesa mite, povera, misericordiosa e aperta. Il testo della lettera apostolica Le voci – piccolo capolavoro sulla soglia del Concilio – ricostruisce la vicenda tardo moderna e imposta una entrata solenne di Giuseppe nel canone della messa, insieme ad una profonda rilettura non più apologetica del santo.

d) Dopo i toni biblico-spirituali con cui Giovanni Paolo II assume la svolta di Giovanni XXIII, papa Francesco riprende il cammino con una ulteriore originalità, mettendo al centro il punto che la tradizione aveva trattato con maggior imbarazzo e con una certa ritrosia: ossia la dimensione paterna. Un padre che sa lavorare e sa sognare esercita una paternità da riscoprire, da declinare, da rileggere, anche in rapporto alla crisi che la “pandemia” ha riservato alla vita di uomini e donne, di giovani e vecchi. L’atto di devozione e di culto diventa occasione di uscita, di cambio di paradigma, di conversione e di sogno.

Quest’ultima tappa appare però segnata da un interno paradosso: il confronto tra la lettera apostolica Patris corde e il Decreto della Penitenzieria Apostolica, che disciplina le “indulgenze” durante l’anno dedicato a S. Giuseppe  (2020-2021), accende grandi scintille di frizione tra nuovo e vecchio paradigma. La ripresa del respiro sapienziale e il confronto urgente con la realtà si unisce al ritorno di un revival nostalgico dai toni antimodernistici, apologetici, fino ad una matematica delle indulgenze davvero imbarazzante. Nella storia del culto a S. Giuseppe un testo del 2020 si accompagna ad un decreto che pare fermo al 1870: così la tradizione ecclesiale anche qui sa sognare un vasto giardino fiorito e lieto, ma non desiste dal gestire un piccolo museo blindato e triste.

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