Rahner, Martini e Francesco: una perla preziosa
In un post di ieri presentavo il volume curato da M. Vergottini Le perle di Martini appena uscito per i tipi EDB. Pubblico qui il mio commento ad una “perla” tratta da un testo di Martini del 1991
12.3. Il coraggio di opporsi alla decadenza morale e sociale
“Infatti, come ha scritto Karl Rahner, ogni azione che l’uomo compie in quanto persona umana, se si lascia condurre dalla dinamica della solidarietà, che è la dinamica dello Spirito, è amore del prossimo che si fa concreto e, pure al di fuori della confessionalità dell’azione, riceve il suo peso assoluto in responsabilità, in significato e in validità eterna.”
(All’incontro con gli impegnati nel socio-politico – Rozzano, 23.04.1991; in ISL XII, 241)
Sulla scia del pensiero di un altro grande gesuita del XX secolo, Karl Rahner, il cardinale Martini esprime un principio che può essere declinato in vari modi: ci troviamo di fronte ad una teoria del cristiano anonimo? Oppure ad una rinuncia alla differenza cristiana? O si tratta piuttosto di una preziosa valorizzazione delle potenzialità implicite nel comportamento umano? Oppure di una generale percezione in positivo della laicità nelle migliori sue espressioni ? Tutte queste sono ermeneutiche legittime e in qualche modo anche ben fondate. Ma nelle parole di Martini, risalenti a 26 anni fa, risuona qualcosa che oggi, alla luce del pontificato di Francesco – a sua volta gesuita – acquisiscono un valore quasi profetico e paradigmatico.
Diremo allora che qui Martini propone una lettura non autoreferenziale della differenza cristiana. Egli cerca, come successore di Rahner, e come precursore di Francesco, di uscire dal modulo reattivo, apologetico e censorio, così tipico dell’antimodernismo degli inizi del XX secolo. La scoperta della eguaglianza e della libertà come condizione della fraternità è la grande provocazione tardo-moderna: essa cerca di arrivare al cuore della fraternità passando per una via sorprendente e quasi scandalosa: la via della libertà e la via della eguaglianza. Per quasi due secoli questa è stata quasi identificata con la eresia più rischiosa. Ma quanta potenza in questa visione “umile” del Vangelo. Quanta umana sagacia e quanta ispirazione divina trapela da queste poche righe, che restano ancora oggi difficili da capire, e forse anche da digerire
Nel cuore di un tempo difficile, come gli inizi degli anni ‘90, durante i quali la profezia conciliare sembrava appannarsi, nella insistita ed spesso esasperata ricerca di una “differenza” che vantasse la pretesa di giudicare tutto e tutti, sulla base di “valori non negoziabili” e nella certezza di escludere ogni relazione con azioni “intrinsecamente malvagie”, la voce di Martini, maturata in un diuturno confronto con la Parola e con la esperienza degli uomini – senza riduzioni e senza censure, verso la prima come verso la seconda – sembra venire quasi da un altro mondo.
Oggi è facile che, proprio in virtù del rapido sviluppo successivo al 13 marzo 2013, noi possiamo perdere di vista la “audacia” di questa sua parola sapiente e coraggiosa. Che giungeva quasi inaspettata, in un contesto in cui al discernimento si preferiva la condanna senza incontro, alla prudente considerazione di tutte le circostanze la definizione immediata ed astratta di una condizione o di una “stato”.
Non era certo per una carenza di identità che C. M. Martini poteva arrivare a questa considerazione universale della solidarietà e della fratellanza. Ma proprio la sua identità di cristiano, di vescovo, di pastore, gli imponeva, con la sicurezza radicata nel centro della fede, la rilettura di ogni esistenza umana secondo una logica più elementare e più accogliente. Il “peso assoluto” di ogni azione responsabile è un mistero al quale siamo aperti dalla fede nel Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Questo cambia radicalmente la prospettiva sul mondo moderno, permette di leggerne in controluce, sia pure nelle mille rughe ed ombre, uno slancio salutare e uno splendore abbagliante. Nella sequenza tra Rahner, Martini e Francesco troviamo non solo una tradizione gesuita in diverse generazioni, ma anche una progressiva riconciliazione sapienziale con il significato più profondo del mondo moderno, riletto alla luce di un Vangelo che sa riconoscere i soggetti e prendersi a cuore la vita degli uomini e delle donne. Per credere ed essere credibili oggi, non 200 anni fa.