“Ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti” (Lc 12,19). Prossimità e distanze tra Vangelo e Qohelet
Il vangelo di questa domenica XVIII del tempo ordinario ci offre un caso esemplare di rapporto complesso tra Primo e Nuovo testamento. Mette infatti in rapporto il Vangelo con il testo di Qohelet sulla “vanità delle vanità”. Vi sono molti punti di contatto tra la parabola dell’uomo ricco e il testo sapienziale. Dei molti punti di contatto vorrei far emergere un testo decisivo del Vangelo, in cui l’uomo ricco parla alla propria anima e dice: “Ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti”. Il testo non è anzitutto una espressione di “cupidigia”, ma è la citazione quasi letterale di un testo del Qohelet, che non compare nella prima lettura, ma che si colloca immediatamente dopo il testo proclamato come prima lettura. Vi si dice infatti così
“Allora quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? [23]Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità! [24]Non c’è di meglio per l’uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. [25]Difatti, chi può mangiare e godere senza di lui?” (Qo 2, 22-25)
E’ assai interessante che ciò che viene espresso dall’uomo ricco è un “ideale sapienziale” del popolo di Israele. Ovviamente ciò non significa che “di per sé” le 4 azioni siano garanzia di “salvezza”. Ma rappresentano piuttosto “soglie” significative di rapporto con Dio. Questo è decisivo anche per interpretare il senso della parabola e per non cadere in una lettura semplicemente “moralistica”. Non si tratta, infatti, di respingere le 4 azioni come “peccati”, ma di recuperare il loro senso più pieno e più vero.
Anzi, potremmo dire che la “maledizione” dell’uomo ricco sta nell’aver sottratto alle 4 azioni la loro verità temporale. Perdendo il rapporto con il tempo, riposo, cibo, bevanda e gioco diventano pericolosi.
D’altra parte la struttura stessa della Chiesa si alimenta di queste 4 azioni. E anche la grande tradizione cristiana della ascesi si colloca in una relazione non univoca con il riposarsi, con il mangiare, con il bere e con il divertirsi.
Il discorso che l’uomo ricco fa alla sua anima è un discorso molto serio, che ha perso il contatto con il tempo. Ma la Chiesa eredita lo stesso discorso dal suo Signore. Impara da lui a “riposarsi, mangiare, bere e divertirsi”. Come?
Anzitutto sapendo “fare festa”. Il riposo resta un grande ideale cristiano, di cui abbiamo bisogno per ritrovare il ritmo del tempo.
Al centro del “riposo festivo” sta il mangiare/bere che Gesù ci ha lasciato e che noi ripetiamo “in memoria di Lui”. Ogni eucaristia risponde alla verità del “mangia” e “bevi”.
Infine il “divertirsi”, il saper uscire dall’assolutismo dei diritti e dei doveri, per riscoprire i doni che li fondano. Saper “fare culto”, saper “giocare davanti a Dio” è una risorsa decisiva della fede cristiana.
Così, nell’intreccio tra la sapienza dell’Ecclesiaste e la parabola di Gesù la Chiesa può prendere sul serio ciò che l’uomo ricco dice alla sua anima: non per la cupidigia, ma per la grazia di un dono ricevuto gratuitamente e gratuitamente offerto.