Sacerdozio e teologia fondamentale: l’occasione di un Simposio
Con la Conferenza stampa di ieri è stato presentato il progetto di Simposio, che si terrà a febbraio del 2022, organizzato dalla Congregazione dei Vescovi. A presentarlo c’era il Card. Ouellet, il prof. Siret e la prof. Tenace. I tre discorsi, che possono essere letti qui, delineano il quadro entro cui si inserisce il percorso di riflessione e di studio. Si possono notare questi tratti fondamentali:
a) Esplicitamente tutti e tre i relatori si riferiscono al compito di un “ripensamento” del tema del sacerdozio, da riferire a Cristo, a tutta la Chiesa e ai ministri ordinati. Questa impostazione, che discende direttamente dal Concilio Vaticano II, costituisce una sfida centrale per la Chiesa contemporanea. Da cui discendono le diverse vocazioni.
b) Il Simposio, come tale, non può avere che un obiettivo di studio. Meditando sulla tradizione, assumendola nella sua ricchezza, dovrà elaborare una “visione fondamentale” che sappia rimediare a pensieri unilaterali e a parole distorte. Il linguaggio ecclesiale, a 60 anni dal Concilio Vaticano II, continua ad usare la parola “sacerdote” in modo improprio, ossia come sinonimo di “prete”. Anche nella Conferenza stampa, qua e là, si è utilizzata questa terminologia che risulta ambigua e unilaterale. Il Simposio potrà essere anche una preziosa “terapia linguistica”, non solo per i giornalisti.
c) L’ampio respiro dei tre giorni di lavoro (17-19 febbraio 2022) si pone anche in una certa continuità con la “domanda sul sacerdozio” che è emersa negli ultimi Sinodi dei Vescovi (Famiglia, Giovani, Amazzonia) e dovrà affrontare anche le questioni che intorno al sacerdozio si pongono sul piano ecumenico e in relazione alla autorità delle donne nella Chiesa.
d) Sarà una occasione per riflettere sulla “vocazione”, pensata anzitutto in rapporto al battesimo e ai diversi carismi e ministeri di cui la Chiesa ha bisogno specifico. Sarà indirizzato specificamente ai Vescovi e ai formatori dei Seminari, ma si rivolgerà anche ai teologi e a tutto il popolo di Dio.
e) Il sacerdozio, recuperato come qualità di tutta intera la Chiesa, chiederà anche una migliore comprensione del “mistero”, che la “partecipazione attiva” della “comunità sacerdotale” realizza nella azione rituale, che ha come soggetti Cristo, Chiesa, presidenza e ministeri.
Come in ogni Simposio, non si tratterà di “risolvere i problemi”, ma di rimettere in chiaro le radici del sacerdozio e i suoi frutti. Si procederà in modo articolato e sinodale, nella preparazione come nello svolgimento del Simposio. Forse sono proprio i limiti emersi nelle esperienze recenti del cammino ecclesiale – limiti non solo pratici, ma teorici – ad aver suggerito questa “riflessione fondamentale”. Le ampie resistenze clericali, la piaga degli abusi, la autoreferenzialità delle vite, la scarsezza delle vocazioni al ministero stanno certo sullo sfondo e chiedono luce. Il Simposio non le ignora, ma affronta le questioni lavorando sul fondamento. Il linguaggio ecclesiale dimostra di averne bisogno: deve riconsiderare a fondo le forme della mediazione ecclesiale di “Cristo sacerdote, profeta e re” per pensarle in un nuovo equilibrio, uscendo dai modelli rassicuranti del passato e aprendosi a nuove visioni. Un nuovo paradigma è qui in gioco.
Mentre ci si avvia su questa strada con serietà e responsabilità, si deve constatare di dover “lottare contro le nostre stesse parole”. Questo è un buon segno: una Chiesa che è disposta a ripensare le categorie fondamentali con cui parla, pensa e agisce è una chiesa viva. Come ha detto M. Tenace, a proposito del rapporto tra sacerdozio comune dei battezzati e sacerdozio ministeriale:
“Questo rapporto va rivisto in ogni epoca perché ogni epoca esprime una comprensione diversa del rapporto fra i vari membri di uno stesso corpo, ogni epoca elabora un’ecclesiologia aggiornata sulle esigenze della testimonianza nella storia“.
Questa “revisione” è parte essenziale di una riforma della Chiesa. Un nuovo paradigma sta nascendo e ha bisogno di “riflessioni fondamentali”. Ovviamente, come in tutti i Simposi, comporre una “ratio” ben fatta è solo la prima parte del lavoro. Molto dipenderà da quali saranno i discorsi che daranno forma ai singoli temi, da chi li farà, se sapranno interpretare la ricca tradizione e se riusciranno ad aprire il cammino a nuovi orizzonti. La ricetta della pietanza mi pare ben scritta: sugli ingredienti da mettere in pentola e sui cuochi che la cucineranno, diremo a suo tempo.
Rimettere sempre tutto in discussione in Gesù è un grande dono. Se si cerca di farlo per davvero. Ecco alcuni bisogni: una scuola delle libera formazione nelle identità spirituali-filosofiche cercate e nello scambio con gli altri; una sinodalità come crescita nella fede e partecipazione autentica: solo lì le competenze specifiche sono vivificate e trovano la loro adeguata dimensione. Formazione e informazione in mano a finanza e big tech stanno spogliando la gente di tutto. https://gpcentofanti.altervista.org/verso-la-verita-tutta-intera-o-verso-riduttivi-ragionamenti/
Gent.mo prof. dott. Grillo,
mentre vi apprestate ad accendere i fuochi per cucinare le tanto decantate pietanze, c’è qualcuno che sta attivando l’allarme incendio in cucina. No, non si tratta dei soliti tradizionalisti, ma (nientepopodimenoche) di Andrea Riccardi. Consiglio vivamente la lettura della recensione e del saggio, con un forte augurio che la pentola non vi scoppi tra le mani prima ancora di arrivare a fine cottura.
https://www.rossoporpora.org/rubriche/cultura/1010-la-chiesa-brucia-le-sorprese-di-andrea-riccardi.html
Il problema di fondo della pastorale
Aprile 13, 2021 / gpcentofanti
Tra le guide vi possono essere spiritualità che faticano a comprendere le persone, le autentiche, a misura, vie della loro crescita, anche con i loro bisogni. Non si tratta di teorie, quando si lascia lavorare chi comprende la gente se Dio vuole essa viene, anche presto in numero fuori dal comune. E di qui allo stesso modo si può non comprendere i punti di sblocco delle situazioni nella società. Come mai tutto ciò? Si è potuto talora vivere a lungo con discernimenti di logica astratta poi per reazione si può passare a mettere le teorie da parte e a cercare vie pratiche di soluzione. Ma l’uomo non ha bisogno di teorie astratte né di vita pratica senza verità ma di un amore, una fede, che si incarnanino a misura. Dobbiamo cercare il discernimento divino e umano di Gesù che capiva e accompagnava a misura le persone specifiche. https://gpcentofanti.altervista.org/una-chiesa-famiglia/
Da Riccardi ultimo libro sulla Chiesa “Il tramonto della cultura degli obblighi ha condotto a una valorizzazione del giudizio soggettivo del cattolico. O forse la vittoria del soggettivismo ha messo in crisi la cultura degli obblighi”.
Scrivo io: Si comprende che tanti si barcamenano come possono non per una fede fai da te ma perché non trovano un accompagnamento adeguato. La gente potenzialmente è più pronta, per la sua umanità, di certe guide strutturate, a riconoscere il nuovo venire di Gesù. Proprio come allora, nella Sua vita terrena.
La cultura invece rimane nelle gabbie dei ruoli e di altre formalità invece di cercare il vero con l’aiuto di tutti. Si finisce nel paradosso di persone che hanno camminato a lungo nella fede e sono preparatissime culturalmente ma non possono intervenire nel dibattito pubblico perché fuori di questi riconoscimenti formali. Si pensi per esempio a tanti preti che provengono dal mondo della cultura… D’altro canto la esiziale logica degli apparati ha avuto come vittima persino Gesù: da dove gli viene questa sapienza? Non è il figlio del carpentiere e i suoi fratelli e ke sue sorelle non sono tra noi? E si scandalizzavano di lui.