Speciale di Jesus sul Vaticano II


Sul numero 10/2012 della rivista “Jesus” si può leggere: 

LITURGIA: «MODERNA ANTICHITÀ»O «VECCHIA MODERNITÀ»?

di Andrea Grillo


A 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, la nuova liturgia appare come un “guadagno per sempre” ma anche come una “ferita aperta”. Moltissimi abitano in modo strutturalmente diverso la loro Chiesa grazie alle liturgie riformate, ma resta anche una domanda non banale sul cammino compiuto e su come continuarlo . Il nuovo clima inaugurato dal Concilio può ospitare benevolmente anche la sua stessa negazione, le voci scomposte di chi agita la propria presunzione (e/o disperazione) reclamando il mito di una “liturgia di sempre”. Proviamo a capirne le cause. 


Il dovere della memoria autentica (senza presunzione e senza disperazione)


Che cosa sta all’inizio di tutto quel “movimento” che ha condotto a Sacrosanctum Concilium e poi alla Riforma Liturgica? Solo una serie di intuizioni di studiosi? Un cedimento alle mentalità moderne o protestanti? Una imposizione di elites ecclesiali sul corpo della Chiesa? No, nulla di tutto questo. Alla origine sta piuttosto una grande crisi dei riti cristiani, la cui consapevolezza risale già alla prima metà del 1800. Se ascoltiamo P. Guéranger in Francia e A. Rosmini in Italia, che parlano negli anni 30 del XIX secolo, già costatiamo la presenza di una “questione liturgica” che affatica e appesantisce la Chiesa. La irrilevanza della liturgia, la separazione nell’atto di culto di chierici e laici, la mancanza di esperienza celebrativa del popolo di Dio: questo è il problema che deve essere affrontato. Così scopriamo che il rapporto tra crisi e riforma deve essere ricostruito secondo una corretta successione di “causa-effetto”: poiché vi era una profonda crisi dei “riti tridentini” si è cominciato a riflettere sulla liturgia e sulla sua riforma. Questo ci autorizza a pensare la tradizione. E’ invece profondamente falso e storicamente sbagliato capovolgere il rapporto e ritenere che la crisi sia scaturita dalla Riforma: il tradizionalismo, ad un tempo presuntuoso e disperato, riscostruisce il rapporto in modo capovolto e smarrisce il senso della vicenda ecclesiale del XX secolo, leggendola in modo totalmente distorto. 

Il Movimento Liturgico riscoper la liturgia come “fons”

Ma è giusto chiedersi: come si è tentato di rispondere a questa crisi rituale, che ha toccato l’Europa a partire dalla fine del XVIII secolo? Ciò che chiamiamo Movimento Liturgico costituisce la risposta a questa crisi, ed è costituito da diverse componenti. Da una parte vi è stato lo studio della storia, dei padri antichi, al medioevo, fino all’epoca moderna, per comprendere meglio la tradizione liturgica della Chiesa. Ma d’altra parte vi è stato anche un lavoro teologico di ripensamento del culto e dei sacramenti, per legare più strettamente l’azione di Dio e l’azione dell’uomo che in essi si realizza. Infine, ma forse dovremmo dire azitutto, vi è stato un interesse pastorale per precisare le forme di partecipazione e di celebrazione dell’azione rituale.Tutto questo è cominciato nella prima metà del XIX secolo e ha assunto un ruolo portante dai primi del ‘900, per poi farsi azione riformatrice della Chiesa, a partire dagli anni 50, e infine grande pedagogia liturgica per la riforma della Chiesa, a partire dagli anni 80.

Le diverse fasi del Movimento Liturgico

E’ quindi utile identificare almeno tre periodi di questo Movimento Litugico: la prima fase, che va dal XIX secolo fino al 1947, è caratterizzata da una profonda ricerca storica, teologica e pastorale, senza mettere al centro il tema della Riforma; viceversa, la seconda fase, che va dal 1947 al 1988, mette l’accento sulla Riforma della liturgia, a cominciare dalla Veglia Pasquale e dalla Settimana Santa (con Pio XII), e, attraverso il Concilio Vaticano II, giunge fino al 1988, quando avvengono tre fatti di grande importanza: Giovanni Paolo II scrive la Vigesimus quintus annus, a 25 anni da Sacrosanctum Concilium; viene approvato il Rito romano per le Diocesi dello Zaire, come primo caso di inculturazione della liturgia;  infine si compie lo scisma lefebvriano, anche per ragioni liturgiche. A una generazione da SC si apre una terza fase del ML, nella quale ci troviamo oggi, caratterizzata dalla “recezione della Riforma”, ossia dalla iniziazione e formazione liturgica. 

La fase della “Riforma”

Il Movimento liturgico ha alimentato la fase della riforma almeno in tre modi: fornendo con serietà e rigore le basi testuali per una comprensione più profonda della tradizione liturgica. Non si è trattato né di giochi di potere, né di arbitrii, né di semplificazioni. Se vi sono stati, si devono alle forze dell’anti-concilio, non a quelle convinte della Riforma. In secondo luogo. alimentando la spiritualità ecclesiale e comunitaria con una riflessione sul valore fontale del culto cristiano che non aveva precedenti nella storia della Chiesa e della teologia. Infine, mediante una accurata ricerca pastorale, per riscoprire il ruolo della Parola per la liturgia cattolica, la partecipazione attiva di tutto il popolo all’intero rito liturgico, la ministerialità non sequestrata da asfissie clericali, la sapienza di una adeguata sequenza rituale ecc. Non vi è dubbio che l’ars celebrandi sia grandemente cresciuta grazie al lavoro diuturno e instancabile di tanti soggetti e comunità toccate dalla “grazia” di questa riscoperta dell’azione rituale come luogo di comunione intima tra il Signore e la sua Chiesa. Non è stata una riscoperta facile, né un percorso agevole: ma il XX secolo ha visto una crescita liturgica e celebrativa veramente straordinaria, in Europa come in Africa, in America come in Asia.   

La fase della “Iniziazione/Formazione”

Le sfide che la fase successiva e attuale lancia alla fase precedente non sono piccole: esse assumono da un lato il volto di una “negazione della necessità della Riforma”, cavalcata da tutte le forme di tradizionalismo e aiutata anche da alcuni atti ufficiali, soprattutto da quelli che ammettono forme di pericoloso parallelismo rituale tra riti vecchi e riti nuovi. D’altro lato essa prende le forme della “tentazione della sufficienza”, che consiste nel credere che la Riforma possa identificarsi semplicisticamente con i nuovi  strumenti (libri rituali). 
Parafrasando una espressione ufficiale, potremmo dire che oggi la sfida sta tra una “moderna antichità”, propugnata dalla logica della Riforma, e una “vecchia modernità”, che oppone alla logica della riforma le forme di un oscuratismo nostalgico fatto di rigidità disciplinare, persecuzione degli abusi senza attenzione a recuperare gli usi, letteralismo latinocentrico nelle traduzioni senza alcuna fiducia nella vitalità delle “lingue nuove”, blocco di ogni tendenza di adattamento con la preoccupazione di identificare la universalità con la uniformità. Si tratta di tendenze provvisorie e marginali, per quanto dotate di qualche residuo potere. Ben presto è nella logica delle cose che la terza fase esca dalle sue esitazioni e prosegua in quel servizio alla tradizione che è costituito da una liturgia realmente fedele a Dio e all’uomo, calata nella esperienza dei diversi popoli e per questo capace di generare unità nella differenza, con simpatia e con apertura di cuore. Non sarà facile e bisognerà avere nello stesso tempo coraggio e pazienza. Tuttavia questa è l’unica speranza per una Chiesa che voglia camminare “sulle orme del concilio tridentino e Vaticano I” (DV 1),  ma per procedere avanti e non per tornare indietro. 


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