Sul diaconato aperto alle donne: risposta parziale ad A. Grillo (di M. Imperatori)


Nell’ambito del dibattito sviluppatosi in seguito ad un dialogo tra M. Nardello e me, su “SettimanaNews”, vi era stato un primo intervento di M. Imperatori (qui) al quale avevo risposto (qui). Ora M. Imperatori precisa in che senso ritiene che la riserva maschile possa avere un fondamento teologico riferibile alla “apostolicità” e quindi immodibificabile. Credo che meriti di essere letto con attenzione, per la cura con cui è scritto. Mi riservo di rispondere in un secondo momento. (ag)

Risposta parziale a A. Grillo

L’argomento dell’apostolicità, che riferisco qui alla sola presidenza maschile dell’eucarestia in rappresentanza sacramentale del Figlio fatto uomo, mi sembra risultare meno fragile se considerato alla luce del fatto che la liturgia, insieme ad elementi indubbiamente cangianti e storicamente contestuali, ne custodisce però in sé altri appartenenti invece alla Traditio viva della Chiesa, considerata nel suo significato più alto e vincolante. La domanda diventa a questo punto se tale presidenza costituisca o meno uno di questi elementi irrinunciabili. Non mi sembra una questione secondaria, anche perché mai la Chiesa potrebbe rinunciare alla nozione di Traditio viva, incluso il suo carattere normativo, sul quale essa deve di certo operare in ogni tempo un discernimento adeguato, impossibile tuttavia da realizzare senza un previo sentirsi responsabilmente legata da una fede che non si è data da se stessa, ma le è stata invece trasmessa, attraverso mediazioni autorevoli e in ultima analisi da Dio stesso.

Mi pare tuttavia impossibile rispondere oggi a una simile domanda senza prima interrogarsi, all’interno del nostro contesto attuale e con l’attenzione rivolta alla dignità della donna che esso giustamente esige, sul significato teologico dell’assunzione del solo polo maschile dell’unica natura umana da parte del Figlio di Dio. Un fatto che non va perciò subito storicisticamente derubricato a fatto meramente contestuale, in quanto potrebbe risultare portatore di un ben più profondo significato anche cristologico. La Tradizione ha certo affermato la vera natura umana del Figlio fatto uomo, comprensiva di corpo e di anima razionale, fino ad includervi la stessa volontà umana. Ma la questione circa la concreta dimensione sessuata dell’unica natura umana assunta dalla Persona del Figlio è invece rimasta inevasa. C’è da pensare provvidenzialmente, visti gli indubbi condizionamenti della cultura patriarcale.

Indagare il significato teologico dell’assunzione del polo maschile dell’unica natura umana da parte del Figlio di Dio, nel nostro attuale contesto dovrebbe, prima di ogni altra cosa, ben evidenziare come essa vada in verità centralmente connessa alla dinamica rigorosamente kenotica che presiede a tutto il mistero dell’incarnazione del Verbo (cf. Fil 2,5-11). Il che implica prendere immediata e chiara distanza, teologicamente argomentata, rispetto a quell’esercizio di potere androcentrico della mascolinità da parte del primo Adamo, frutto in realtà del peccato originale ben più di quanto la tradizione abbia in passato mai ritenuto (cf. Gen 3,14). L’ultimo Adamo è evidentemente senza alcun peccato per poter redimere da esso uomini e donne. E oggi capiamo meglio che lo è precisamente anche in riferimento all’esercizio androcentrico del potere maschile sulla donna da parte del primo Adamo.

Non solo. Ma questa mascolinità strutturalmente kenotica del Redentore può dire col linguaggio della Leib sessuata umana solo parzialmente tutto l’humanum che egli vuol redimere, in quanto tale humanum risulta evidentemente comprensivo anche del suo polo femminile. Il polo maschile da Lui unicamente assunto risulta pertanto portatore di una intrinseca dimensione relazionale, ben visibile proprio nel suo necessario rimando a quello femminile, che inizia già col fenomeno della nascita. Nel caso dell’incarnazione del Verbo, questo strutturale riferirsi al polo femminile, che inizia fin dal suo concepimento nel grembo di Maria, esprime perciò, proprio col linguaggio limitato della Leib sessuata maschile in lei generata, la volontà divina di rinnovare la relazione con ogni essere umano, uomo o donna che sia. Tale volontà divina risulterà dunque animata da un’imprescindibile e gratuita reciprocità che per grazia tocca prima di ogni altra proprio la relazione con Dio, il cui indebolimento compromette la capacità relazionale umana nella sua interezza. Iniziando proprio dalla relazione uomo-donna, che come nessun’altra dice l’essere umano creato ad immagine e somiglianza con Dio e che proprio per questo l’ultimo Adamo vuol redimere assumendola direttamente in sé, fino a lasciarne intravvedere una dimensione relazionalmente escatologica, già adombrata dalla corporeità gloriosa del Risorto e da quella di sua Madre.

Tutta questa ricca e complessa dinamica relazionale viene centralmente coinvolta nella presidenza dell’eucarestia in rappresentanza sacramentale del Figlio, iniziando proprio dalla sua mascolinità kenoticamente e mai androcentricamente connotata. Tale dinamica non potrà perciò non venir attentamente vagliata in tutti i suoi aspetti quando si vuol trattare dell’eventualità di una presidenza femminile dell’eucarestia in quello che è il cuore dell’esercizio dei due ultimi gradi del ministero ordinato. Il che mette inevitabilmente in gioco pure la questione relativa al significato anche teologico della distinzione sessuale umana e rispetto alla quale la tentazione di prendere scorciatoie più o meno gnosticamente androgine e/o transessuali, tentazione alla quale anche alcune correnti femministe risultano oggi sensibili, sappiamo in realtà non essere nuova all’interno della storia della tradizione cristiana.

Un’ultima osservazione, questa volta più direttamente riferita a von Balthasar. Dubito molto che il pensiero accademico, conservatore o progressista, sia in grado di darne una valutazione obiettiva cogliendone, al di là di singole espressioni letterali magari discutibili, il vero cuore pulsante. E questo fintanto che si ostini a non voler considerare come in realtà, dal 1940 in poi, tutta la sua teologia si sviluppi e cresca in organica sinfonia anche operativa proprio con l’opera di una donna, la mistica coniugata A. von Speyr. La relazione uomo-donna risulta dunque qui teologicamente intrinseca e centrale come in ben pochi altri casi nella storia della teologia.

Mario Imperatori

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