Sul maschile e femminile, in dialogo con Castiglioni (di Mario Imperatori)


La discussione teologica può prendere la forma di un “dialogo tra sordi” in netto dissenso, oppure quella di un “affabile colloquio” tra studiosi in vista di una migliore comprensione del fenomeno. Mi pare che il dialogo tra Castiglioni e Imperatori sia un esempio di ascolto reciproco e di reale lavoro su categorie comuni, per quanto interpretate diversamente e talvolta anche in modo opposto. Ma in una comunanza di intenti e in una reciproca sincera concessione di credito che dà fiducia e aiuta a compiere quei passi di approfondimento che non solo la cultura contemporanea esige, ma la stessa divina rivelazione ci chiede, essendo affidata alle mutevoli parole e imprecise nozioni dei figli dell’uomo. (ag)

In dialogo con Castiglioni

di Mario Imperatori

  1. Maschilità kenotica del Figlio

Ho apprezzato l’esplicito riconoscimento espresso da Castiglioni circa la non irrilevanza del tema della maschilità kenotica di Gesù. Essa è all’origine di quel «maschile singolare»1 che ne caratterizza tutto l’essere e l’operare. Concordo con lui anche sull’affermazione secondo la quale la kenosi sia una realtà innanzitutto divina, in quanto riferita al Figlio del Padre fatto uomo. Aggiungerei tuttavia che questa kenosi divina coinvolge la natura umana assunta al punto da diventare una cosa sola con Lui. E di questa natura fa parte integrante anche la sua dimensione sessuata, con tutta la complessità antropologica della dinamica polarità che la caratterizza e di cui oggi siamo forse maggiormente consapevoli di un tempo.

  1. Homo e vir

Una breve parola sulla differenza tra homo e vir. Nel latino classico tendenzialmente homo si oppone a mulier, mentre vir a femina. Mi pare perciò difficile desessualizzare homo opponendolo a un vir sessualizzato in un modo che sembra quasi evocare la figura dell’androgino, oggi ridivenuta un’icona culturale. Dal punto di vista teologico, va poi ricordato che la cristologia agostiniana definisce esplicitamente come vir il Figlio di Dio fatto uomo, collegandolo con un’ecclesiologia dai tratti anche marcatamente sponsali2, a partire dalla scolastica moderna poi alquanto negletta. Tommaso privilegia invece il termine di natura umana, soprattutto per assicurare l’unità dell’unione ipostatica, dove è la stessa Persona divina del Figlio a donare l’essere concreto alla natura umana assunta, che oggi dobbiamo però considerare inclusiva anche della sua dinamica dimensione polarmente sessuata.

  1. L’essenziale finalità soteriologica della maschilità kenotica assunta dal Figlio

A questo punto diventa inevitabile la domanda circa il perché dell’assunzione da parte del Figlio del Padre del solo polo maschile di quest’unica natura umana. La condiscendenza di Dio rispetto al contesto storico-culturale evocata da Castiglioni ha certamente un peso. Dobbiamo tuttavia illuminarlo considerando anche la concreta finalità soteriologica che presiede a tutto il movimento kenotico del Figlio e che culmina nel suo essere, come Servo crocifisso, il Redentore. In merito al maschile singolare di Gesù ciò significa che egli in nessun modo ha potuto prendere su di sé la maschilità del primo Adamo peccatore, che oggi dobbiamo definire androcentrica. Può invece unicamente trattarsi di una maschilità in grado di salvare uomini e donne dalla lotta tra i sessi collegata al peccato originale. Perciò essa dovrà risultare rigorosamente libera dagli stereotipi di genere presenti nel contesto culturale in cui Gesù ha vissuto. Una libertà con ragione ben evidenziata da una parte della teologia femminista, ma che testimonia nel contempo il peso in realtà relativo esercitato su di Lui dai condizionamenti culturali, essendo Lui non solo vero uomo, ma pure vero Dio. Non sarà invece un caso se l’orgogliosa maschilità degli apostoli abbia dovuto subire una pesante umiliazione col tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e l’abbandono del Maestro da parte degli altri apostoli prima che il Risorto potesse conferire loro, Giuda escluso, la loro specifica missione apostolica. Umiliazione della loro orgogliosa mascolinità che non trova invece riscontro alcuno in quella della femminilità delle discepole, che insieme alla Madre hanno con fede coraggiosamente seguito Gesù fino al sepolcro aperto. Al punto che proprio una di loro, la Maddalena, diventa apostola di apostoli divenuti ormai uomini vacillanti nella fede.

Ma cosa propriamente svela allora di Dio questa profonda riconfigurazione kenotica della maschilità umana del Figlio del Padre? Non già l’abolizione androgina o transuessuale della distinzione sessuale umana, né la sua irrilevanza teologica. In Lui essa risulta invece redenta e confermata nella sua fondamentale dimensione relazionale, già presente fin dalla creazione dell’uomo e della donna. Il suo maschile singolare dice infatti, col linguaggio proprio della carne sessuata umana, la struggente intensità amorosa del desiderio divino della loro redenzione (cf. 1Tim 2,4) e dell’unione con loro. E rimanda con ciò stesso al cuore del mistero dell’Amore trinitario quale sua origine trascendente, come lo stesso Castiglioni riconosce. Non mi sembra questo un modo per inopportunamente ingigantire il valore della maschilità kenotica del Figlio, quanto piuttosto poterne esplicitare la portata liberante e relazionale meglio di quanto fatto in passato. E questo in risposta, cristologicamente e non solo sociologicamente argomentata3, anche alla giusta presa di coscienza della dignità della donna quale attuale segno dei tempi. E come premessa oggi indispensabile per poter affrontare in modo teologicamente avvertito la questione dell’eventuale ammissione o meno anche delle donne al sacramento dell’Ordine e a quale dei suoi tre gradi.

  1. Corpo glorioso, corpo sessuato ed ecclesiologia sacramentale

Quanto poi alla relazione tra corpo sessuato di Gesù e Corpo glorioso di Cristo, mi sembra che non siamo condannati ad un’ignoranza quasi totale, come sembra invece ritenere Castiglioni, favorito in questo anche dall’oblio del tema dei corpi gloriosi in non poca teologia attuale. Abbiamo innanzitutto il normativo e insuperabile dato neotestamentario secondo il quale il Risorto è il Crocifisso e non altri. E questo non come principio teologico astratto o ritrovato puramente letterario, ma bensì mediante l’inatteso e sorprendente farsi presente, quasi imporsi, del Crocifisso risorto ai discepoli dopo la sua morte infamante e con la sua corporeità gloriosa, variamente descritta nei testi, inclusi quelli paolini. Vi è poi «l’impressionante verità dell’ascensione»4 di Gesù, che è il «perno della verità cristiana»5, così come il dogma dell’Assunzione di Maria in cielo in anima e corpo, che un teologo cattolico non può certo ignorare. Un dogma che non va però relegato all’interno di una mariologia poco frequentata. Esso andrà invece strettamente collegato alla risurrezione/ascensione del Figlio e in circolare relazione ermeneutica con essa e con le sue apparizioni. Quasi a proteggere il cuore pulsante della fede cristiana da ermeneutiche razionaliste tuttora operanti. Non solo. Ma proprio nel mistero dell’Assunzione di Colei che non è solo la Mater Dei, ma pure il typos Ecclesiae6, la dimensione relazionale iscritta nella distinzione sessuale umana sembra trovare conferma pure escatologica.

Tutto questo avrà un peso non indifferente nell’articolazione tra il Sacramento primordiale che è Cristo, col Sacramento fondamentale che è la Chiesa e la cui reciproca co-essenzialità definisce centralmente un’ecclesiologia sacramentale. Da questa co-essenziale relazione sacramentale ci sembra difficile infatti espungere come irrilevante la corporeità non soltanto terrena del Verbum caro factum est, fondamento di ogni sacramentalità, ma pure quella gloriosa del Risorto, così come quella di Colei che è typos Ecclesiae. Corporeità diverse che, proprio all’interno della celebrazione eucaristica mirante a fare dell’assemblea il Corpo ecclesiale del Figlio, si intrecciano tutte tra loro in un modo tale per cui, in assenza di un simile, ordinato intreccio, l’eucarestia non è più la celebrazione pasquale delle Nozze dell’Agnello.

Questo cenno ad un’ecclesiologia sacramentale mi sembra cruciale. Il tema del servizio reso al popolo che partecipa dell’unico Sacerdozio di Cristo è sicuramente rilevante, come giustamente sostenuto da Castiglioni. Tuttavia, nel caso del ministero sacramentalmente ordinato, esso ritengo debba venir previamente inquadrato all’interno di un più ampio contesto esplicitamente sacramentale. Pena il serio rischio di ridurre, come già fece a suo tempo Lutero, la specifica sacramentalità dell’Ordine solo al suo essere un servizio tra gli altri reso alla comunità locale e unicamente da quest’ultima regolato7. Esigenza di servizio che dovrebbe peraltro già accomunare l’esercizio di qualsiasi ministero e carisma all’interno della Chiesa. Solo in un esplicito contesto sacramentale, co-essenzialmente connotato, potrà allora venir affrontato il delicato tema della relazione tra il presiedere l’eucarestia non solo in Persona Christi, ma pure in Persona Ecclesiae da parte del ministro ordinato. E vedere quale ruolo, in lui stesso, nonché nella sua relazione con la comunità, giochi anche la cruciale riconfigurazione kenotica della maschilità del Figlio. Rispetto a quest’ultima le battezzate risultano comunque già chiamate a profeticamente svolgere un indispensabile carisma generativo nella fede, ad immagine di quello già svolto dalla Madre e dalle discepole rispetto agli apostoli.

A questo punto la domanda diventa allora non solo come un tale carisma profetico femminile possa oggi venir meglio valorizzato. Ma pure se e in quale dei suoi tre gradi la sua presenza possa eventualmente venir integrata, con la sua specifica rilevanza generativa, anche all’interno dello stesso sacramento dell’ordine, così da poterne meglio significare la co-essenzialità di cui sopra.

Mario Imperatori S.I.

1 Cf. S. SIGOLONI RUTA, Gesù, maschile singolare, Dehoniane, Bologna2020.

2 Cf. L. CONSOLI, L’unità dell’amore. Lineamenti di una teologia dell’amore sponsale in Sant’Agostino, Cittadella, Assisi 2014.

3 Va in proposito ricordato qui A. BISCARDI, Un corpo mi hai dato. Per una cristologia sessuata, Cittadella, Assisi 2012, che rimane tra le poche ricerche di cristologia sessuata.

4 P. SEQUERI, Il grembo di Dio, Città Nuova, Roma 2023, 20

5 Ib., 211.

6 Cf. Lumen gentium nn. 63-64.

7 Ci sembra purtroppo ben documentarlo proprio il peraltro interessante intervento di F. ROSSI DE GASPERIS, «L’umorismo della Lettera agli Ebrei», Il Regno-Attualità 8/2024, 267-269, richiamato dallo stesso Castiglioni in nota.

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