Teologia e esperienza spirituale: su “Dio rimane” di Debora Rienzi


Pubblico la prima parte della Prefazione al volume di Debora Rienzi, Dio rimane. Ri-orientamenti teologici, Assisi, Cittadella, 2023.

Il lavoro teologico al servizio della esperienza spirituale. Per parlare a tutti

Tra le esigenze più urgenti di questi tempi avventurati e complessi, che la Chiesa vive in un grande trapasso di paradigmi, vi è la difficile convergenza di un triplice compito: da un lato appare urgente la riformulazione più adeguata del “depositum fidei”, che origina dalla “indole pastorale” inaugurata solennemente dal Concilio Vaticano II; in secondo luogo vi è la sfida di una comprensione più ampia e più integrale del soggetto del lavoro teologico destinato e chiamato a questo compito; in terzo luogo vi è la importanza indifferibile di una lettura più profonda dei vissuti spirituali di tutti gli uomini e donne, tanto più se legati a scelte dichiaratamente religiose. Vi è dunque un lavoro sull’oggetto, sui soggetti e sulle forme di esperienza/espressione che segnano la vita in senso spirituale.

Facilmente si possono trovare, in ciascuno di questi tre diversi campi, ottimi contributi: non manca il pensiero teologico che si rinnova con efficacia, appaiono nuovi soggetti ecclesiali che si mostrano capaci di belle sintesi, si possono trovare anche proposte spirituali significative e veramente credibili. Ma è raro che si incontrino, nello stesso testo e nella stessa persona, tutti e tre questi aspetti e ognuno caratterizzato da un livello di originalità molto convincente.

Questo libro, che costituisce una di queste eccezioni, scaturisce dal mondo monastico femminile camaldolese, pensa teologicamente la tradizione ecclesiale, scruta a fondo la esperienza di Dio e apre orizzonti di intesa e di corrispondenza tra mondi culturali apparentemente lontani, distanti quando non antitetici e apparentemente incompatibili. Nelle note del libro si incontrano autori che di solito si ignorano. Questo è già un piccolo miracolo.

La struttura del volume e gli stili diversi con cui è scritto fa grande impressione. Le tre parti indicano il senso di un “ri-orientamento” a tre livelli. Anzitutto, nella prima parte, un cambio di paradigma sul piano delle argomentazioni. Quanto è vasto e grande il mistero di Dio e quanto piccole e fragili le parole con cui cerchiamo di “fissarlo”. Una serie di “passaggi” caratterizzano questa parte: sul piano teologico si passa dalle dottrine alla carne, dal sacrificio al desiderio, dal naturale all’ecologico; sul piano delle “immagini di Dio”, ci si muove dal tappabuchi al partner, dall’onnipotente al presente, da uomo a donna; infine, sul piano del linguaggio, si guarda a Gesù, come stile e linguaggio di Dio, si passa poi dalla forma del trattato alla poesia, per poter garantire l’orizzonte che attesti e renda possibile un “innamorarsi nudi e in silenzio” di Dio.

Questo primo riorientamento, che dialoga gomito a gomito con una buona parte della teologia fondamentale contemporanea, si apre poi ad una seconda parte in cui

i “passivi” di Dio costituiscono la ossatura di una esperienza spirituale interpretata dal riferimento alla Scrittura e in dialogo stretto con le scienze (non solo alle scienze umane, ma anche alle scienze dure). La sequenza dei passivi è singolarmente efficace e va dal desiderio all’amore: Dio desiderato, Dio intuito, Dio scoperto, Dio detto, Dio chiamato, Dio contraddetto, Dio amato. In questo percorso accidentato e stupendo, tormentoso e consolante, nasce per gli umani l’accesso alla libertà. Proprio nello spazio dischiuso dalle prime due parti si colloca la meditazione che costituisce la terza parte, che porta il titolo: Della relazione non-duale con Dio. E’ costituita da una “lettera alla amata” e da una “risposta” in cui l’ascolto della Parola di Dio, maturato nella rilettura interiore, sprigiona una risposta di riconsiderazione dell’umano e della sua relazione con Dio. Un Dio che promette beata imperfezione, che “è” nel dire “Non ci Sono solo Io” e che invita l’uomo con la frase “Vieni in me che sono Vuoto” suscita una risposta, che alle parole nuove risponde con esperienze nuove: nel faccia a faccia o nell’anima ad anima con Dio matura la coscienza della compartecipazione a Dio di ogni essere; nella correlazione sociale, che è anche conflitto e silenzio, si dischiude la assimilazione di “vita tua vita mea” come orizzonte di fratellanza e di pace. Qui Dio è percepito, in modo non contraddittorio, come “lontanovicinanza”, come unione di distacco e comunione, di desiderio e di timore, di amore e morte. Se l’ultimo passaggio può essere espresso da due parole “composite” come Post-teismo e preghiera transpersonale, nel dialogo con le correnti più aperte ed audaci della teologia contemporanea, l’intento fondamentale del libro è così ben riassunto dalla autrice:

“L’invito sotteso a tutte queste pagine è di imparare, o reimparare, a sentire Dio. Dando credito all’interiorità personale, dove percepiamo silenziosamente la vicinanza carnale di un’energia vitale più forte della morte. Questa Energia non è diversa da noi, ma temiamo di confessarlo”.

In questa sintesi, così ben formulata, allo stesso tempo nella semplicità e nella profondità, annotiamo alcuni elementi di fiducia che un libro come questo può accendere nel cuore sensibile di chi lo vorrà leggere:

a) Una tradizione monastica, che ha fatto della meditazione sapienziale lo stile di una mediazione teologica non accademica ma non meno profonda, trova qui una ripresa singolarmente efficace. Nelle note del testo sono presenti in modo evidente fonti monastiche, fonti spirituali, messe però in dialogo con filoni di sapienza biblica, psicologica, scientifica assai sorprendenti. Questo modo di “restituire a Dio il suo posto”, maturato nel silenzio, nella interiorità, ma anche nell’intelletto e nella ragione, è molto promettente.

b) Assai interessante è il fatto che questa operazione di ascolto e di meditazione della esperienza spirituale contemporanea vengano da una monaca, che la sintesi di riorientamento maturi nel percorso biografico e scientifico di una donna che ha fatto della vita monastica la sua regola. Leggendo queste pagine scopriamo quanto siamo stati poveri nel rinunciare a formare teologicamente generazioni e generazioni di monache. E come oggi l’accesso alla formazione teologica anche delle monache dischiuda mondi e modi necessari per “reimparare a sentire Dio”. Una autorità nuova emerge da questa fine tessitura di pensiero, esperienza e biografia.

c) In terzo luogo non si può non notare, fin dalle prime righe del testo, il controllo stilistico del linguaggio che viene alla autrice da una esperienza di “parola creativa” che ha segnato a fondo tutto il percorso di ripensamento e di riespressione che caratterizza questo volume. Ed è singolare il fatto che questo sia vero non solo nelle parti più “personali” e interiori, ma anche nel modo di presentare le argomentazioni, nella percezione delle questioni di metodo e nelle pretese giustamente sistematiche del discorso. La teologia, quando è seria, deve cercare e trovare il suo linguaggio più opportuno. Quando trova lo stile, non sbaglia l’oggetto.

Queste diverse caratteristiche di Debora Rienzi (che è appunto teologa, monaca, donna e poetessa) hanno reso possibile la nascita di un testo che non si lascia troppo facilmente catalogare: in quale scaffale lo metteremo nella nostra Biblioteca? Dovrebbe stare allo stesso tempo nel settore della “teologia fondamentale”, della “teologia biblico-spirituale”, della “sapienza monastica” e del “dialogo con il pensiero contemporaneo” e anche in quello della “poesia”. Categorie bibliche, sistematiche, psicologiche e letterarie sono fuse in un tono sapienziale che non è mai compiaciuto, ma sempre esposto e sottoposto ai propri limiti.

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