L’architettura del XX secolo è stata attraversata da un Leitmotiv altalenante e a variabile intensità, ma presente in tutte le nazioni occidentali, una convinzione espressa dai suoi molti protagonisti: la capacità delle conformazioni spaziali dell’abitare – dal singolo edificio alle città e ai paesaggi – di influenzare i comportamenti umani intervenendo a definirne, alme- no per qualche aspetto, i modi.
Nell’interpretazione più ottimistica, tale influsso è coinciso con l’orientamento alla felicità del vivere; in quella più socializzante, con il perseguimento dell’equità sociale fra i ceti; in quella più politica, con un’oscillazione tra riformismo e utopia spazialmente organizzata.
Nella prima metà del secolo scorso, nel complesso e vario svolgimento dei molti progetti, perseguiti ma solo in pochi casi realizzati, è emersa un’ideologica volontà di rifondare ex novo fisicamente il mondo abitato, azzerando dove possibile le millenarie eredità ambientali, monumentali e stilistiche. Nella seconda metà e dopo due devastanti guerre mondiali, si è assistito a una produzione edilizia e a una concentrazione urbana in crescita esponenziale, dominate da sperimentazioni tecnologiche ardite, emblematicamente evidenti nella diffusione di grattacieli sempre più alti e dalle forme più varie.
Il leitmotiv sopra indicato, mai del tutto abbandonato, ha perso forza coinvolgente negli ultimi decenni a favore di architetture con funzione pubblica celebrative del talento umano e insieme, poco o tanto, indifferenti al benessere dei loro abitanti.