Munera 1/2024 – Marco Tassella » Tre versi per reimparare l’equilibrio. L’estetica della poesia giapponese

Prima di rispondere alla domanda «abbiamo (ancora) bisogno della poesia?», è essenziale interrogarsi sul significato di quell’“ancora” tra parentesi. Potremmo affermare che sì, non solo abbiamo ancora bisogno della poesia, ma che questo bisogno sia ad oggi anche più forte che in passato. Dovremmo  esplorare, piuttosto, le cause dietro questa persistente necessità. In altre parole, dovremmo indagare, da scrittori, su come possiamo contribuire alla poesia e, da lettori, su cosa essa possa fare per noi. È proprio questo il segreto intrinseco «dentro ogni poesia», il mistero che ha continuato a ispirare migliaia di poeti e milioni di appassionati in tutto il mondo.

Nell’estetica occidentale, questo mistero si concentra principalmente sull’individuo, sul valore del simbolo, sull’interiorità, e su ciò che si cela dietro il significato delle cose. Al contrario, in Oriente, spesso il mistero è legato alle cose stesse, alla sensibilità, al buon gusto, alla semplicità e alla natura. I giapponesi, maestri di morigeratezza e minimalismo da quasi mille anni, hanno fatto della (apparente) semplicità della realtà il cuore della loro poetica. La poesia giapponese, guidata da ideali come l’irregolarità, la sobrietà, la deperibilità e il suggerimento, ha alle spalle quasi mezzo millennio di ricerche sull’eleganza del silenzio.

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