Nessuna pittura, nemmeno la più realista, riproduce alcunché, perché essa sempre produce. Ma essa non produce tanto una cosa, ancora meno un oggetto, quanto un effetto. Un effetto nel visibile, o piuttosto – attraverso il visibile – nello e sullo spettatore. Questo effetto non mostra qualcosa allo spettatore se non per donargli uno stato d’animo – un’affezione, una gioia, un dolore, un’intonazione, una passione. In breve, precisamente, uno stato d’animo.
Questo è ciò che tenta ogni pittore degno di questo nome. Egli tuttavia non vi perviene se non alla condizione che l’effetto a cui egli aspira si ritrovi non turbato da troppe perturbazioni: da intenzioni troppo coscienti, da determinazioni sociali o psicologiche pesanti, da evidenti calcoli da virtuoso, etc. L’effetto si purifica nella misura in cui il pittore dimentica se stesso. Tra le tante posture contemporanee, l’arte povera e l’Art brut puntano a questa ascesi.
Paolo Guerriero ci tocca proprio perché le costrizioni involontarie che pesano sul suo lavoro lo purificano e gli permettono di raggiungere talvolta, se non spesso, un effetto puro, un effetto purificato e purificante, esercitato sul suo spettatore.