Munera 1/2019 – Federico Simonti >> Ciò che si vede e ciò che non si vede

«Se le merci non possono attraversare le frontiere, lo faranno gli eserciti» sosteneva a metà Ottocento Frédéric Bastiat. Anche un non-liberista come me, non può che ripartire da questa lapidaria profezia dell’economista francese per parlare di frontiera. Già allora, e non senza ironia, Bastiat sosteneva di aver fatto una immense découverte (dal titolo di un suo scritto): notava che mentre venivano investite ingenti somme di denaro per costruire la ferrovia che avrebbe consentito di ridurre gli ostacoli naturali e velocizzare gli scambi commerciali tra Parigi e Bruxelles, «ora tra questi ostacoli ce n’è uno che noi stessi abbiamo posto, e con grandi spese, sono gli uomini imboscati lungo la frontiera, armati fino ai denti e incaricati di opporre difficoltà al trasporto delle merci da un paese all’altro, i doganieri».

Una bella doppia “scoperta” quella dell’economista liberale francese: se, da una parte, il progresso tecnologico lavora da sempre per incrementare gli scambi commerciali tra paesi e di fatto superare ogni tipo di barriera naturale, dall’altra, le regole imposte dagli Stati nazionali rallentano il movimento delle merci con la presenza di frontiere artificiali. Per di più, sostiene Bastiat, quando sui confini ad avere la meglio sono la chiusura e il filo spinato, presto o tardi, all’orizzonte si addenseranno, come nuvole nere che annunciano l’imminente uragano, i cannoni pronti a dichiarare guerra allo straniero al di là della cortina. Infatti, dietro questa dialettica soltanto apparentemente economica tra liberismo e protezionismo, tra il libero scambio delle merci e la difesa dei propri prodotti, si cela un dibattito più complesso, quello che vede, gli uni di fronte agli altri, i sostenitori di una società aperta e i difensori di una società identitaria e di conseguenza chiusa verso l’esterno. Ecco che le frontiere divengono il termometro più idoneo per misurare lo stato di salute di un paese o di una comunità di paesi: regolare e gestire il flusso umano in entrata o in uscita sapendo bilanciare le esigenze interne – tra le altre, il diritto alla sicurezza – con le esigenze di chi ne sta fuori – per esempio, il diritto di migrare –; oppure rimuovere il problema e cercare di convertire le frontiere in muri invalicabili.

Acquista l'articolo
per continuare a leggere acquista questo articolo

Utente biblioteche abbonate: clicca qui »

Share