Munera 2/2017 – Gianluca Pastori >> Dove va l’America? Il voto presidenziale e i tanti dubbi di un paese che cambia

Le recenti elezioni presidenziali statunitensi hanno lanciato una serie di segnali forti rispetto all’evoluzione dello scenario politico del paese. Come da diversi anni a questa parte, esse hanno messo in luce una marcata polarizzazione fra la posizione dei candidati dei due diversi schieramenti. Nella fase delle primarie, esse hanno accentuato altresì le profonde divisioni esistenti all’interno degli schieramenti stessi. Al di là dell’esito finale, nessuno dei due candidati è parso possedere davvero la capacità unificante necessaria a sanare le molte fratture che l’amministrazione Obama (pure nata sotto il segno di importanti aspettative) si è lasciata alle spalle su temi delicati quali gli squilibri sociali interni agli Stati Uniti, il ruolo del paese nel mondo o il complesso rapporto fra uso della forza e diritto internazionale. Se da un lato ciò appare problematico per la condotta di breve periodo dell’azione di governo, sul lungo termine questa situazione lascia presagire ulteriori problemi. Il successo di Donald Trump sul fronte repubblicano e i buoni risultati di Bernie Sanders su quello democratico sono, infatti, segnali importanti del malcontento che attraversa l’opinione pubblica d’Oltreoceano, malcontento che sembra fare fatica a trovare uno sbocco nei canali della rappresentanza tradizionale e che appare destinato a tradursi in un confronto politico sempre più incattivito e autoreferenziale.

Lungi dal rappresentare il prodotto unico delle figure che si sono confrontate nel corso della campagna elettorale, questi elementi sembrano essere il risultato di trasformazioni profonde intervenute nel panorama politico statunitense. Da una parte, sembra, infatti, essere venuto meno il consenso “istituzionale” che – salvo rare eccezioni – è da sempre esistito intorno alla figura del presidente come soggetto super partes. Dall’altra, le macchine dei partiti sembrano sempre meno capaci di incanalare il consenso e di indirizzare il voto popolare a favore dei propri candidati. La crisi apparente di bacini elettorali consolidati è un altro aspetto che confluisce nell’equazione: sia nelle primarie, sia nel voto presidenziale, in varie occasioni, bacini di voto ritenuti sicuri si sono dimostrati o inaspettatamente volatili o insufficienti a contrastare altre e più traversali forme di aggregazione, come accaduto nel caso della Florida durante le primarie repubblicane (quando il favorito Marco Rubio è stato sconfitto da Donald Trump con quasi venti punti percentuali di scarto) o nel North Carolina durante il voto presidenziale, quando il candidato repubblicano è riuscito a staccare di oltre quindici punti percentuali quello democratico, anche a causa dell’incapacità di quest’ultimo di capitalizzare il tradizionale voto giovanile, femminile e delle minoranze.

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