Munera 2/2021 – Andrea Grillo >> L’animale che ha la parola e la libertà

Una definizione “teologica” della libertà è un elemento originario della cultura occidentale: ha a che fare con la definizione di una teologia tripartita dei tria genera tradita deorum che, da Quinto Mucio Scevola attraverso M. Terenzio Varrone, arriva fino ad Agostino. Tale correlazione teologica della libertà ha tre livelli: quello mitico, quello naturale e quello civile; la parola poetica, la riflessione filosofica e la vita della città sono i suoi luoghi. Tutto questo muta dal momento in cui il teologico si identifica con un approccio “rivelato”, che si pone in un altrove rispetto alla riflessione poetica, politica e filosofica, anche se mantiene relazioni più o meno dirette con ciascuna delle tre. Ma, come è inevitabile, questa nuova accezione guarda a queste tre dimensioni classiche con un certo sospetto. La scelta che vorrei fare, in questo breve testo, è di restare il più possibile nella forma classica di considerazione del rapporto tra libertà e teologia, senza tradire però l’ispirazione giudaico-cristiana. Colloco la libertà in una mediazione filosofica della teologia e in una mediazione teologica della filosofia. Per abbozzare il mio percorso vorrei provare a sostare in quel “luogo comune” in cui Aristotele definisce l’uomo come zòon politikòn (ani- male/vivente politico). La spiegazione che Aristotele fornisce di questa definizione, e che determina una ulteriore definizione dell’uomo in termini di zòon logon echon (animale/vivente che ha la parola), di- schiude uno spazio di meditazione sulla libertà umana che autorizza a discutere, già nel pensiero antico, una lettura semplicemente metafisica dell’uomo.

La tesi che vorrei offrire è perciò la seguente: il sistema metafisico di interpretazione dell’essere, che “si dice in molti modi”, propone la grande divisione tra “sostanza” che permane e “accidente” che passa – e dunque distingue il “proprio” dal “diverso”, l’identità dall’alterità, la necessità dalla contingenza. Tuttavia, grazie alla sorprendente affermazione della Politica di Aristotele sull’uomo come «animale che ha la parola», tale sistema metafisico può riconoscere, alla propria origine, un duplice punto cieco, che ha a che fare con la libertà umana e la grazia divina. Libertà e grazia diventano così, in reciproca relazione, riletture complessive del reale.

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