Munera 2/2021 – Editoriale

Da più di un anno a questa parte, stiamo assistendo alla più grande limitazione delle libertà personali dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, perlomeno in Europa e in altri paesi democratici. Limitazioni nella socialità, negli spostamenti, nel culto sono divenute vita quotidiana in modalità che mai avremmo immaginato prima dello scoppio della pandemia. Certamente non lo avremmo immaginato in Italia, dato che si tratta di libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione della Repubblica.

Una inedita limitazione delle libertà (al plurale) ci pone così davanti alla necessità di interrogarci sulla natura della libertà (al singolare): che cosa significa essere liberi?

È sempre così: il suo improvviso venir meno permette di sperimentare, a caro prezzo, l’importanza di ciò che fino a quel momento si era dato per scontato. Oggi che, sfiniti da una lunga emergenza sanitaria, ci ritroviamo confinati e limitati in quasi tutte le espressioni della vita quotidiana, percepiamo quanto la libertà sia essenziale. Ma facciamo fatica a dire che cosa sia quella libertà che tanto ci manca.

Essa è certamente un insieme di piccole cose: ritrovarsi con i familiari e con gli amici, viaggiare, andare al cinema o a una mostra d’arte, prendere un caffè seduti al tavolino di un bar, mangiare una pizza in compagnia, spostarsi senza dover rendere conto a nessuno, fare una passeggiata sotto le stelle nel cuore della notte. Tutto questo lo comprendiamo molto bene: è ciò che ci manca.

Eppure percepiamo che la libertà non è soltanto questo. È certamente un insieme di diritti, oggi molto limitati, ma è anche un peso e una responsabilità, dalla quale non a caso cerchiamo spesso di sfuggire. Ed è anche un dono, del quale siamo debitori nei confronti di qualcuno che assume così per noi la figura dell’autorità: l’incontro con l’altro ci limita e ci interrompe, eppure ci restituisce a noi stessi.

La libertà è assenza di costrizioni esteriori e, in questo senso del termine, essa è oggi enormemente più limitata di quanto non lo fosse prima della pandemia. Ma è anche autonomia, ossia capacità di dare norme a sé stessi, scegliendo tra opzioni diverse. Inoltre – ed è un terzo senso del termine – la libertà è capacità di essere una cosa sola con sé stessi, di volere profondamente ciò che si fa, di aderire pienamente al proprio agire. La libertà è così un diritto da rivendicare e anche un compito mai concluso per un essere umano che nasce capace di libertà, ma che diventa effettivamente libero nel tempo. La libertà ha una sua maturazione.

L’icastica formulazione di Agostino di Ippona – «Ama e poi fai ciò che vuoi» – reca con sé una verità antropologica. Soltanto superficialmente la libertà è la possibilità vuota di amare o di non amare (o addirittura di odiare). Soltanto se agisci motivato dall’amore sei libero. Quando agisci mosso dalla paura, dal rancore, dall’invidia, puoi anche muoverti in uno spazio di non costrizione e di scelta autonoma tra opzioni diverse e tuttavia fai l’esperienza di non essere realmente libero, di non essere una cosa sola con te stesso: di non volere veramente ciò che fai. Solo se agisci motivato dall’amore – di te stesso e dell’altro da te – sei libero.

Oggi che costrizioni e impedimenti sono numerosi ed estremamente frustranti per la nostra esistenza individuale e collettiva abbiamo dunque l’opportunità di una riflessione più profonda su ciò che ci manca. Su che cosa significhi essere veramente liberi. Di qui il dossier che questo numero di Munera ospita, con contributi sulla comprensione biblica della libertà, su quella greca, su quella propria della tradizione filosofica occidentale e finanche su quella orientale. Ma anche sull’idea di libertà che è propria della nostra Carta Costituzionale e del nostro ordinamento giuridico: quell’idea di libertà che deve dunque ispirare il nostro convivere civile in questo momento così drammatico di restrizioni delle libertà.

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